«AL
DI LÀ DELLA SUPERFICIE DI CRISTALLO C’ERA UN MONDO UGUALE A QUELLO
CHE SI TROVAVA AL DI QUA. UN MONDO SORPRENDENTEMENTE IDENTICO, EPPURE
SPAVENTOSAMENTE A ROVESCIO.»
Heinrich
Dammerschlaft apre gli occhi in una stanza dell’Hotel Vasteland. È
confuso, spaesato, spaventato. Non sa come ci è finito, nè per
quale motivo. Non sa neanche a chi appartenga il volto che lo fissa
dallo specchio, non conosce neppure il suo nome. Così, dopo un
totale reset delle informazioni contenute nella sua memoria, deve
ricostruire tutto, tassello dopo tassello, evitando di sembrare un
folle, cosa che complicherebbe ulteriormente la sua agghiacciante
situazione. Ma, come se non bastasse, il corpo senza vita di una
splendida donna.
In un incalzante
ritmo che conduce oltre una linea di assurda credibilità, un romanzo
straordinario che ricorda le atmosfere di Lewis Carroll.
Abbiamo letto con
molto interesse il suo bellissimo testo e riteniamo che si tratti di
un’opera notevole nella sua brevità, dalla prosa quasi poetica,
incalzante e rapida, senza bisogno di orpelli stilistici spesso fini
a se stessi, profondo, ricco di temi ed originale.
Genere
letterario: Narrativa Crossover
Pubblico
di riferimento: Colto
Punti
rilevanti: Lettura a più livelli, contenuti, aspetto formale
Impianto
tecnico e ampio, struttura ortogonale, con scenari descritti,
interiori e suggeriti; ritmo cadenzato, leggibilità buona,
comprensione buona ma esigente.
Un romanzo di ottima
fattura. E non mi pare poca cosa. Un ingarbugliato gomitolo dalla
dimensione onirica e sognante, eppure una vicenda di semplice
umanità, seppure dalle mille sfaccettature, fatta di avversità,
destino e di amore, di speranza d’amore, come ponte tra mondi
differenti. Il testo segue più binari, filtrando le vicende in una
sequenza di movimenti disparati, traslando e incrociando trame e
sfumature in un articolato itinerario. Siamo di fronte ad un lavoro
per alcuni aspetti netto, sintetico e senza eccessi, ma allo stesso
tempo introspettivo, rarefatto e meditato. Un’esperienza letteraria
dall’eloquio pregno. L’autore evita baratri scoscesi e
filosofici, seppur avventurandosi in un esercizio d’equilibrio
appena sull’orlo, come pure picchi di lirismo. Il finale
rappresenta una soluzione a molte cose, un ciclico tornare
all’incontro con la donna/mito, dopo la sofferta accettazione del
(non) cambiamento, e il recupero della felicità. Stilisticamente
come pure semanticamente è articolato e un po’ impegnativo.
Linguisticamente è valido. Buono.
Tra Schnitzler e
Baricco.
E'
un modo mirabile di concepire un racconto, il cervello è in
funzione, sempre.
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