lunedì 25 novembre 2013

Io, Hemingway e l'iceberg


Scrivere è come una droga. Quando comincio non riesco a smettere e quando smetto sento un male fisico e insopportabile, funesto come una crisi di astinenza e netto come il taglio delle membra.

Hemingway ha scritto, invece, ne Il principio dell’iceberg (The Fifth Column and the First Fourty – Nine Stories), che quando smette di scrivere si sente svuotato, ma nello stesso tempo anche carico, come quando ha fatto l’amore con qualcuno che ama. Io a volte, quando faccio l’amore mi sento solo svuotato.

Nel precedente post, ho pubblicato il racconto di un venerdì sera particolare, Friday night. Era la mia versione di un racconto di Hemingway, intitolato Oggi è venerdì. Era da un po’ che volevo metterci le mani e farne una variante meno scarna e teatrale e più narrativa.

Spero non me ne vogliate.

Naturalmente Hemingway resta Hemingway e io solo me stesso.

giovedì 21 novembre 2013

Friday Night


La bettola era affollata di avventori. Era venerdì sera, ora di punta. Contadini dalle vesti lacere, stanchi della fatica dei campi e muratori, falegnami e altri artigiani si potevano riconoscere dalla polvere, dalla segatura e da altri frammenti del loro lavoro, impigliati nei capelli e nelle barbe. Prostitute siriane facevano gruppo a sé. Ogni tanto una di esse si staccava dal gruppo vociante e sguaiato, che costituiva anche il nucleo principale del locale, intorno al quale gli avventori ronzavano come mosche, per andare a proporre a qualcuno di essi prestazioni irripetibili.

Chini sui loro bicchieri, su assi di legno inchiodati insieme da tempo immemorabile a costituire un lungo bancone di bar, stavano tre personaggi pensierosi. Tra questi e il resto della bettola c’era il vuoto e nessuno osava attraversarlo e avvicinarsi, neppure le prostitute.

“Bello spettacolo, oggi vero?” disse Frusciante.

“Già” rispose Morales laconico. Aveva un’aria sofferente.

“Jeremiah, un altro giro!” ordinò Kozlowski.

“Grazie tenente!” esclamò tutto accaldato Frusciante.

“Cos’hai Morales?”

“Niente, ho mal di testa. E’ tutto il giorno che ho mal di testa”

“Sei qui da troppo tempo” disse Frusciante.

“Già, da troppo” rispose laconico Morales, tornando a tuffare lo sguardo dentro il suo bicchiere vuoto.

“Ecco un altro giro signori!” esclamò Jeremiah il vinaio arrivando con le coppe.

“Questo è quello buono, come le avevo promesso, tenente. Rosso scuro, come il sangue. Alla vostra salute, signori!”

Nel servirli, Jeremiah urtò il braccio di Morales, rovesciando parte del vino.

“Gesù Cristo!” esclamò.

“Dove?” si allarmarono i militari. L’oste sbiancò.

“Da nessuna parte” rispose Morales abbassando il tono della voce “Imprecavo”

“E’ che siamo tutti un po’ nervosi da questo pomeriggio” fece il tenente al vinaio, tentando di giustificarsi.

“Ho mal di testa” disse Morales.

“Questo le farà bene, signore” disse l’oste “E’ di quello buono, che tengo in riserva”.

Poi, avvicinandosi al tenente “Non lo servo mica a tutti” aggiunse sussurrando e ammiccando “Dico bene, tenente?”

Il tenente non rispose. Quell’ammiccare repentino e fraudolento gli aveva fatto venire i brividi. Si volse e con un rapido roteare d’occhi scandagliò tutta la bettola. Meglio darsi un’occhiata alle spalle, ogni tanto. Una delle prostitute siriane ricambiò la sua ampia guardata con un’occhiata invitante. Il tenente declinò l’invito abbassando lo sguardo sulla sua coppa di vino.  

“Perché, che è successo oggi pomeriggio?” chiese l’oste con malcelata indifferenza.

“Raccontagli tenente”

“Si raccontaglielo tenente” fece Morales “E raccontagli di come si è oscurato il cielo, di come è caduta la folgore, di come si è rivoltata la terra!“ aggiunse dolorante.

In effetti, quel pomeriggio, una grossa nuvola nera si era levata a occidente e aveva tagliato a metà il cielo. Era una nuvola strana, fosca e densa, gravida di presagi, che gettava una mesta ombra oscura sulla terra e prometteva tempesta. Le due metà del cielo si guardavano minacciose, come un occhio nero guarda un altro occhio azzurro, come se l’inferno ed il paradiso si scrutassero grandiosi e imponenti e si specchiassero l’uno nell’altro, due abissi gemelli e antitetici. Poi, l’occhio nero aveva inghiottito quello azzurro e tutto era sparito nella sua ombra, come se mai nulla fosse esistito sulla faccia della terra.

“Taci soldato!” fece imperioso il tenente “E’ segreto militare” aggiunse con un tono che non ammetteva repliche.

Si fece silenzio e spensero i loro pensieri nei bicchieri. L’oste se ne stava ritto in piedi presso di loro, dall’altra parte del bancone, contemplandosi i piedi con evidente imbarazzo. Si chiedeva perché mai gli fosse venuto in mente di porre quella domanda, ma la sua curiosità aveva avuto il sopravvento e ora si arrovellava cercando un plausibile e neutro argomento di conversazione per poter interrompere quell’imbarazzante silenzio. Per sua sfortuna, Frusciante arrivò prima di lui.

“Io dico che se l’è cavata bene oggi” disse.

Altro silenzio trapassato da sguardi interrogativi. L’oste ebbe un presentimento e tentò di arretrare, ma trovò subito il muro.

“Si, il tizio oggi sulla croce” aggiunse Frusciante.

“Voglio dire, non è da tutti, si è comportato in modo esemplare. Sai, quando ti inchiodano le mani, non è un bel momento e poi, quando tirano su la croce, è la parte  più terribile, sapete, io ne ho visti tanti e in quel momento tutti vorrebbero scendere, se potessero e fuggire via lontano, ve lo assicuro e invece lui, lui neanche un lamento.” insistè Frusciante.

“Non so, ho mal di testa” rispose Morales.

“Diceva che era il figlio di Dio, ma allora, mi domando, se era davvero figlio di Dio, perché non è sceso dalla croce e non ci ha inceneriti tutti con un solo sguardo?” continuò Frusciante con noncuranza.

“Balle, tutte balle!” fece il tenente.

Il bettoliere si fece ancora più pallido e tentò di scomparire nell’ombra.

“E poi, tutta quella folla, tutta quella gente che è venuta a vederlo morire sulla croce. Non c’è mai nessuno alle esecuzioni, solo i parenti stretti, a volte neppure quelli, perché provano vergogna.” incalzò Frusciante.

L’oste prese a tremolare nell’ombra, ma nessuno potè vederlo.

“E c’erano tante donne e come piangevano! Ho sentito dire che gli uomini della sua banda l’avevano abbandonato, l’hanno tradito e lasciato solo lì a morire. Ma le donne no, loro lo hanno seguito fino all’ultimo. E il resto della storia la conoscete già, tuoni, fulmini e saette e tutta la gente che scappava, che confusione! Insomma, è stato proprio un bello show!” andava avanti Frusciante imperterrito e non c’era verso di farlo tacere. Era piuttosto brillo.

“Sentite, dobbiamo proprio parlarne?” chiese implorante Morales “Ho mal di testa!”

“Ha ragione” ammise subito Kozlowski “Basta così soldato!” intimò a Frusciante.

Poi, rivolto a tutti “E adesso ascoltatemi bene. Il tizio sulla croce non era figlio di Dio, figlio di Dio è solo l’Imperatore e questo è il motivo per cui era sulla croce. Era solo un millantatore, un agitatore sociale, andava dicendo in giro che tutti gli uomini sono liberi e uguali. E questo è l’altro motivo per cui era sulla croce. E vi pare poco? Tutti gli uomini sono liberi e uguali? Queste sono idee pericolose, qualcuno prima o poi finisce per crederci e si mette in testa di fare la rivoluzione! Al giorno d’oggi si va sulla croce per molto meno.”

Mentre Kozlowski così tuonava, l’oste rabbrividiva nella sua ombra e si fece silenzio nell’osteria. Perfino le prostitute ascoltavano il tenente, mute e immobili come splendide statue silenziose.

“Era un delinquente, un farabutto, un bugiardo ipocrita come tutti gli altri, ecco cos’era, altro che figlio di Dio! E non è sceso dalla croce, non ha lanciato fulmini dagli occhi e fiamme dal culo e la pioggia, il temporale e il terremoto quando è spirato sono stati solo coincidenze. Era un uomo come tutti gli altri, come me e come voi!”

Fece una pausa per prendere fiato “Anche se devo ammettere che è stato piuttosto in gamba oggi sulla croce”

“Allora perché ho mal di testa?” chiese Morales “E perché mi sento un vuoto dentro, così profondo che nemmeno questo buon vino riesce a colmare?”

“Perché mi sento male da morire?”

“Sei qui da troppo tempo” rispose Frusciante.

“Si” fece eco il tenente “Sei qui da troppo tempo.”

“E’ lei che è qui da troppo, tenente!” dichiarò Morales con tono inaspettatamente duro.

“Ed è da troppo tempo nell’esercito. Ha combattuto troppe guerre e si è chiuso in sé stesso, perché ha perso la fiducia nei suoi simili” concluse con sicurezza, guardandolo dritto negli occhi, piantandogli addosso quei suoi occhi azzurri intensi, non più offuscati dal mal di testa e ora  limpidi come un’accusa.

Il tenente lo guardò con meraviglia, ma in cuor suo sapeva che il soldato aveva detto il vero. Era e sapeva di essere un uomo colmatosi di odio e abituatosi a odiare. L’impatto profondo con la vita lo aveva fatto crescere, diventare adulto in poco tempo, sacrificando a essa i suoi anni migliori. Attraverso gli occhi azzurri di Morales rivedeva la sua gioventù, la sua vita sprecata al servizio dell’Impero, tutte le battaglie che aveva combattuto, i compagni che aveva perso, i nemici sconfitti, in un enorme cumulo di morti, morti, morti, morti ovunque e sopra di loro la perfida ingannatrice con la falce in pugno e il suo sussurro indecifrabile nella bocca senza labbra. E adesso, in quella notte di un venerdì fuori dal tempo, in quella bettola lurida e nauseabonda dall’altra parte del mare, si accorse di avere appena avuto un altro scontro con la vita e di essere diventato vecchio in un colpo solo. Ma non rispose a Morales, si limitò a sorridere e disse:

“Torniamo in caserma”

“Sei fortunato Jeremiah, oggi è giorno di paga” aggiunse lasciando un gruzzolo di monete sonanti sul bancone.

“Grazie, signor tenente!” disse una voce dall’ombra. L’oste si era accorto che erano in quantità superiore al dovuto.

“I soldi sono come la merda, Jeremiah, più li maneggi, più ti sporchi.” fece il tenente rovesciando indietro la testa ed esplodendo in una grassa risata.

L’oste li seguì con lo sguardo mentre si allontanavano verso l’uscita e gli altri clienti si scansarono per lasciarli passare. Uscì dall’ombra ed emise un sospiro di sollievo. Si sentì lieve e poco importante, quasi fosse stato trasparente nella sua bettola di infimo ordine. Poi contò con cura le monete che gli avevano lasciato i soldati, le fece tintinnare nella mano e sorrise soddisfatto.
COPYRIGHT 2013 ANGELO MEDICI
Tutti i diritti riservati
Riproduzione vietata

lunedì 18 novembre 2013

Una grande bellezza

Il tema portante del mio racconto L’alieno (ne L’impero del vento – SBC Edizioni 2013) è lo scontro tra scienza e umanesimo, un conflitto durissimo, con conseguenze drammatiche, simbolicamente rappresentato dalle figure di un ostinato ufficiale scientifico e il tentativo di ribellione di uno studioso di lingua e letteratura universale.
Io sono convinto che questa contrapposizione si riproduca all’infinito nel nostro quotidiano in forme sempre nuove, che, tuttavia, ricalcano i medesimi schemi. In questo credo di essere, io stesso, il frutto della dicotomia tra studi scientifici e studi umanistici, originatasi a seguito della riforma della pubblica istruzione Croce – Gentile. Non per niente, prima della laurea in giurisprudenza, sono stato studente del liceo classico e, anche se all’epoca non ne ero tanto convinto, ora lo dico con orgoglio.
Dopo la riforma degli studi, si reputò con sicurezza che la bellezza fosse evaporata dalle materie scientifiche e si potesse ritrovare solo in quelle umanistiche.
Ma vi è chi sostiene che il bello non rifugga neppure i settori scientifici del sapere, compresa, ahimè, la matematica, verso la quale nutro una profonda, istintiva avversione. Sinceramente faccio molta fatica a vedere il bello nella “sezione aurea” o nei logaritmi, trovo il pensiero matematico troppo astruso e freddo, privo di emozioni e ritengo, invece, che la bellezza sia soprattutto questo, emozione dinanzi a un verso poetico, godere della curva morbida e piena di una scultura, della pennellata ricca e pastosa di un dipinto, assaporare il fraseggio armonico di una melodia, anche se devo ammettere che vi è un rapporto molto stretto tra musica e matematica, che non potrebbero esistere l’una senza l’altra. Per non parlare della seduzione dei sistemi filosofici alla base del pensiero occidentale, anche se, in alcuni casi, la fascinazione che ha esercitato sulle masse attraverso il pensiero distorto di alcuni oligarchi ha prodotto grandi mali. Ma come diceva La Rochefoucauld, la filosofia trionfa facilmente sui mali passati e sui mali futuri, ma quelli presenti trionfano su di lei.
Tuttavia, se consideriamo la scienza come il tentativo di capire, spiegare e riprodurre in forma non empirica le leggi che regolano la bellezza dell’universo – il moto dei pianeti, la perfezione simmetrica dei frattali, il fascino quasi geometrico di alcuni minerali -, allora, forse posso comprendere.
Marie Curie sosteneva che la scienza fosse una grande bellezza, forse nel senso che ho appena espresso. Ma io resto della mia opinione, quella con cui avevo aperto il post e credo di avere dalla mia parte il punto di vista di Tommaso d'Aquino, che sosteneva che il bello è ciò che è gradito agli occhi (Pulchra sunt quae visa placent).
Mi dispiace, ma non sono in grado di cogliere l’ineffabile, sfuggente bellezza dei numeri.

giovedì 7 novembre 2013

Intervista a Antonio Passagli


Oggi ospito Antonio Passagli, ovvero colui che ha scritto la prefazione alla mia trilogia di racconti “L’impero del vento” e colgo l’occasione per porgli alcune domande sulla scrittura e sullo scrivere, in genere.
-          Antonio, tu hai scritto alcuni saggi su Emerson e Thoreau e so che sei un grande estimatore dei trascendentalisti, tra i quali, Hawthorne… -
-          Già. Tutti conoscono La lettera scarlatta, ma pochi hanno letto i Twice told tales, una raccolta di racconti apprezzata perfino da Borges
-          Ma tu ti consideri più uno scrittore, o più un saggista? –
-          Direi che, senza dubbio, sono un saggista amante della filosofia, ma mi interesso anche di letteratura, soprattutto americana –
-          Quali sono i tuoi scrittori preferiti? –
-          Credo di non avere scrittori preferiti, ma mentirei se non citassi Poe, Hemingway, Steinbeck e De Lillo e, passando per il vecchio continente, anche Sartre, Camus, Gide... e Malaparte. In generale, però, preferisco parlare di filosofia… -
-          Vai avanti –
-          Ecco, vedi, Henry David Thoreau era sia un filosofo, che uno scrittore, per essere modesto, dirò che era un po’ come me. Egli passò molti anni nella natura, abitando in una capanna, per ritrovare sé stesso. Il frutto del suo estraniamento dal mondo fu il Walden. Ma voglio leggerti un passo della Disobbedienza civile, che trovo ancora molto attuale:
«Questa è, di fatto, la definizione di una rivoluzione pacifica, se una simile rivoluzione è possibile. Se l'esattore delle tasse, od ogni altro pubblico ufficiale, mi chiede, come uno ha fatto:
"Ma cosa devo fare?"
La mia risposta è:
"Se vuoi davvero fare qualcosa, rassegna le dimissioni".
Quando il suddito si è rifiutato di obbedire, e l'ufficiale ha rassegnato le proprie dimissioni dall'incarico, allora la rivoluzione è compiuta. » -
-          Direi proprio di si. E’ ancora attuale. E Antonio Passagli scrittore ? –
-          Ho scritto alcuni racconti brevi. Da qualche tempo sto lavorando a un romanzo, ma per varie vicissitudini, non ne sono ancora venuto a capo –
-          Che tipo di vicissitudini? –
-          Diciamo pure guai. In fondo, il mio cognome è molto simile a quello di un famoso Antonio… -
-          Intendi Antonio Passaguai? –
-          Già, proprio lui. Lo conosci? –
(Risata) - Ne ho sentito parlare. Comunque, ho letto alcuni tuoi racconti. Li ho trovati molto raffinati, la tua scrittura è molto netta e precisa. Sono storie che definirei simmetriche, parallele, l’una collegata all’altra. Mi hanno ricordato molto Borges. Ma parlami del tuo romanzo da terminare –
-          E’ un romanzo di mare, una storia un po’ alla Conrad, solo che si svolge ai nostri tempi e devo aggiungere che, stranamente, richiama la tragedia del Costa Concordia, solo che l’avevo scritta prima che accadesse –
-          Forse sei stato profetico –
-          Direi di no. Faccio meglio ad ammettere che mi sono ispirato al Lord Jim di Conrad, alla parte in cui l’equipaggio con grande codardia abbandona la nave e i passeggeri al proprio destino, credendo che stia per affondare, ma i passeggeri riescono con grande coraggio a riportare la nave a terra, sani e salvi… -
-          Si, ho letto Lord Jim e devo dire che, in genere, adoro Conrad, anche se preferisco Nostromo, Cuore di tenebra e i Racconti del mare. Sai, ripensando alla rivoluzione secondo Thoreau, che mi hai letto prima e a Lord Jim, mi viene da pensare che sembrerebbe quasi che la classe politica stia abbandonando al proprio destino la nave Italia e noi italiani, che siamo i suoi passeggeri, dobbiamo trarci d’impaccio con le nostre forze, senza contare su di essa… –
-          Mmmm, lettura interessante. Io però, mi riferivo a un aspetto più letterario, che politico. Sai, il comandante Schettino e il comandante De Falco, quello del “Vada a bordo c… !” per intenderci, sembrano usciti dalla penna di Conrad
-          Paragone interessante e affascinante. I romanzi di mare, in genere, sono piuttosto affascinanti, no? –
-          Direi proprio di si e aggiungo che il mare è il rifugio di chi non ha patria –
-          Sembra una frase degna del Capitano Nemo di Verne… -
-          E invece, ho solo parafrasato Nick Sloan, ovvero, colui che ha fatto sì che il relitto del Costa Concordia tornasse a galleggiare come si conviene a una nave, una bella nave… –
-          Davvero? –
-          Già, proprio così –
-          Perché dici “rifugio di chi non ha patria”? Non ne hai forse una? –
-          Una patria formale ce l’ho, com’è vero che sono italiano. Ma una patria sostanziale, la sto ancora cercando… -
-          Vuoi dire che non ti trovi bene in Italia? –
-          Non sempre… -
-          Intendi per la situazione politica, per la crisi economica e dei valori, per la società italiana? –
-          Un po’ per tutto. Diciamo che se voi siete d’acqua dolce, io sono di acqua salata. Sempre acqua è, ma mi manca qualcosa, mi manca il sale della vita. –
-          E in Italia manca –
-          Già, un pesce d’acqua salata non sopravvive in acqua dolce, ma una volta non era così, c’era più attenzione all’arte, alla cultura, più fervore in svariati campi. Oggi sembra che la crisi economica abbia distrutto non solo il PIL, ma ci abbia anche risucchiato il cervello e divorato il cuore –
-          Analisi impietosa, ma veritiera, temo –
-          Purtroppo si… e volevo aggiungere, se posso… -
-          Dì pure –
-          Volevo dire che il mio problema è di carattere esistenziale. In realtà, la questione è che io esisto solo nei tuoi romanzi… –
-          Già. E’ vero. E se Schettino e De Falco sembrano usciti dalla penna di Conrad, come dicevamo prima, tu, senza ombra di dubbio, sei uscito dalla mia –
-          Ed è ora che rientri nelle pagine del tuo libro. Ma devo chiederti un’ultima cosa prima d’andare –
-          Certo, chiedi pure –
-          Quando pensi di pubblicarlo? –
-          Bè, ora sono un po’ impegnato con la revisione del mio primo romanzo. Diciamo che tra un paio d’anni si potrebbe aprire una finestra interessante… -
-          Allora dovrò avere pazienza… -
-          Purtroppo, si. Antonio, desidero ringraziarti pubblicamente per la bella prefazione che hai voluto scrivere per il mio libro… -
-          E’ stato un vero piacere –
-          Grazie ancora e buona fortuna –
-          In bocca al lupo! –
-          Crepi! –