sabato 21 maggio 2016

La dura legge del karma


Il mondo fluttua sull'acqua, l'acqua sul vento, il vento sul vuoto (1). E la vita aleggia sul karma. Il karma è l'opera che incessantemente ordiamo (2).

Il karma è una legge naturale, il riflesso oggettivo delle nostre azioni, come l'eco della nostra voce in un canyon, come le onde in uno stagno dopo che si è lanciato un sasso. Le nostre azioni producono infiniti riflessi nel Tutto, predisponendo le nostre vite a venire.

L'uomo non si salva se è malvagio, le sue cattive azioni genereranno incarnazioni in cui riceverà il castigo; ma l'uomo non si salva neppure se compie buone azioni. Per ognuna di queste riceverà ricompense in altrettante vite future. Il peccatore non è punito per i suoi peccati, sono questi a punirlo, dice Christmas Humphreys e anche il benefattore, aggiungo io, non è ricompensato per le sue buone azioni, ma sono queste a premiarlo. Il bene e il male sono la stessa identica cosa, Il bene e il male ci rendono prigionieri del samsara, l'eterno ritorno, il circolo di nascita, morte e rinascita; ancora legati al phava chakra, la ruota del divenire. Neppure Dio, che non è immortale, ne è risparmiato: Brahma muore per rinascere Brahma. Non c'è altro modo per slegarsi, per scendere dalla giostra. Raggiungere il satori, la rivelazione.

Sono libero” dice Siddharta seduto sotto l'Albero della conoscenza “ogni nuova vita è annientata, il dovere è compiuto. Non tornerò su questa terra”.

Tao-hsin pregò il Maestro di indicargli la via della liberazione. “Chi ti ha incatenato?” chiese il Maestro. “Nessuno.” rispose Tao-hsin. “Allora sei già libero.” (3)

Il satori è la condizione in cui le nostre azioni non producono più alcun riflesso, alcuna eco, alcuna onda, come uno specchio che non riflette la luce, come uno stagno ghiacciato. Perchè abbiamo finalmente capito, abbiamo compreso che il mondo non è che illusione, il mondo è apparenza. Vedere soltanto una parte della verità non è vedere la verità; non si possono inseguire i riflessi dello specchio, perchè lo specchio si rompe e il riflesso scompare. Niente è ciò che sembra. Nascere e morire è soltanto sognare di nascere e morire. Non si nasce e non si muore davvero. La vita è sogno.

Il Sam-sara è già il Nirvana; raggiungeremo quest'ultimo quando capiremo il primo. Dobbiamo sfondare le porte della percezione e oltrepassare la superficie delle cose. Allora, anche l'ultimo, rinsecchito filo d'erba potrà essere un Buddha.


    (1) Cos'è il buddismo, Jorge Luis Borges (1976).
    (2) Antico detto tibetano.

    (3) La catena, storia zen.


domenica 15 maggio 2016

Samsara


Sono uno spirito vagante

in questa festa

di bagliori e alcool

Li sento passeggiare sul mio corpo

lontani da ogni solitudine

si stanno dividendo la mia carne

in questa solitudine

Ho vagato nel deserto

e mi sono perso

nel vuoto incantato

al di là della vita

prima della morte

Madre

questo sia l'ultimo risveglio


(Da Utopia Planities, Angelo Medici 1992)



COPYRIGHT 1992 ANGELO MEDICI

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Riproduzione vietata


Rinascita


Narrate aedi:

"Dalle putride schiere dei morti

dalle lande senza ritorno

confuse nella nebbia

del peccato

mai nessuno ha lambito

il fiume della vita"

Eppure io vi dico

incorreggibili sofisti:

Sono nato dalla morte

Padre il mio dolore

Madre l'odore acido

della tempesta

Sono tornato dal nulla

tuffandomi

nella fertile acqua dei sogni

lontano

dalla foresta ululante

di lupi e di terrore

Oggi io sono rinato

(Da Utopia Planities, Angelo Medici 1992)


COPYRIGHT 1992 ANGELO MEDICI

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sabato 14 maggio 2016

Scienza o saggezza?


Il silenzio è il luogo in cui ci rifugiamo quando vogliamo restare da soli. Nella solitudine e nel silenzio giungono da luoghi inesplorati della coscienza pensieri e riflessioni; fuggevoli, impalpabili considerazioni che affiorano da abissi privi di luce, perforando substrati di perbenismo e socialmente accettabile. Il silenzio è la migliore palestra delle riflessioni. Il silenzio è la lama che penetra nel ghiaccio della coscienza e lo dilania.

Nel silenzio ovattato della notte, circondato da ombre incombenti come spettri, una lunga scia di riflessioni, eteree e volatili, della stessa sostanza dei sogni, come direbbe il Bardo, squarciano il buio della mia coscienza.

L'uomo moderno possiede la scienza ma ha perso la saggezza, così come l'uomo antico possedeva la saggezza ma non ancora la scienza.

Gli uomini contemporanei, dice Ananda Coomaraswamy (1), sono determinati a continuare ad andare avanti, non si sa dove, e questo viaggio senza direzione si chiama Progresso.

Abbiamo perso la saggezza delle antiche civiltà, ce la siamo lasciata dietro con la stessa noncuranza con cui ci gettiamo alle spalle i rifiuti, i sottoprodotti, i fine serie delle nostre produzioni industriali e culturali. Abbiamo perso la saggezza che faceva si che ogni individuo fosse indispensabile e nessuno inutile, e neppure uno veniva lasciato indietro.

Ma l'uomo moderno ha fallito la sua missione epocale, coniugare la scienza con la saggezza, giacchè l'una non può sopravvivere senza l'altra. Ci siamo infranti su questo scoglio dualistico e su quella roccia nel mare si è infranta la stessa modernità. Perchè questo non è il futuro illuminato che ci aspettavamo e al quale avevamo diritto, ma una sorta di medioevo tecnologico, uno scenario niente affatto rassicurante. La soddisfazione dei bisogni umani è andata oltre il suo naturale grado, si è tramutata in sadismo esasperato, muto, individualista e fine a se stesso. Non c'è limite al desiderio perchè non ci sono limiti ai mezzi di soddisfazione. La scienza ha raffinato la tecnologia e non c'è praticamente nulla al mondo che non possiamo produrre o ri-produrre; così, non ci sono confini alla quantità di oggetti che possiamo desiderare e che potremmo possedere. Si è generata una sorta di perverso feticismo verso le cose. E la depravazione tecnologica in cui l'offerta crea la domanda e non viceversa: non sapevamo di avere bisogno dello smartphone finchè non è arrivato. Io sinceramente mi sarei accontentato del mio vecchio stupidphone!

Oggi non è importante essere, oggi è importante apparire. Non sono ciò che sono, ma sono ciò che sembro. Nella società delle apparenze, sono importanti gli status symbol. La barca, il Rolex, la Mercedes. Insomma, rosari e catene di simboli e forme che valgono più della sostanza. Ma soffermiamoci su quest'ultimo simbolo. La Mercedes. Mi vengono in mente cortei di grigie, tetre autovetture con al volante grigi, tetri conducenti. Uomini rinsecchiti, con accanto donne altrettanto rinsecchite, che credono di aver raggiunto il top del successo, il grado estremo della lussuria, l'apice delle ricchezze, l'acme delle loro vuote vite e cercano di mostrarlo al mondo, a cominciare dal traffico cittadino. Potere del simbolo.

Ma è soltanto un esempio, avrei potuto parlare allo stesso modo di Porsche Cayenne, Luis Vuitton e di molteplici altri archetipi delle apparenze. Il mondo è vuota forma, il mondo è soltanto apparenza.

Anche se tutto è inganno e illusione

e la verità sempre ineffabile

pure la montagna mi guarda...

Cervo e corvo, rosa rossa

mare azzurro, mondo screziato:

raccogliti - e tutto si sfalda

nell'informe innominato.

Raccogliti, rientra in te

impara a guardare...

Raccogliti - il mondo è apparenza.

Raccogliti – l'apparenza è l'Essere. (2)

Mi sforzo di ascoltare, ma sento solo rumore. Mi sforzo di capire, ma vedo soltanto confusione. Mi sforzo di guardare, ma vedo solo dolore. Nell'impero dell'individualismo siamo in guerra gli uni contro gli altri. Parliamo, parliamo, parliamo, ma non sappiamo più comunicare.

Se comunicare è mettere in circolo, in relazione, esporre e diffondere un'idea, in un mondo tiranneggiato dai social in cui tutti parlano ma nessuno ascolta e non ci fermiamo neppure per un attimo a riflettere su ciò che si dice, è davvero arduo affermare che stiamo comunicando.

Ma tutto questo, non è scienza né saggezza. Se l'era antica possedeva la saggezza e l'età moderna era dominata dalla scienza, nell'evo post-moderno abbiamo perso entrambe.



(1) Am I my brother's keeper? (1948).

(2) Giovane novizio nel monastero zen, Herman Hesse (1960).


La sottile arte della conversazione


Gli uomini non amano chiacchierare perchè credono che sia importante quel che si dice e temono di non aver nulla da dire; ma le donne sanno bene che non è così. La questione fondamentale è non lasciar cadere la conversazione, non permettere che si spenga il fuoco.

Non l'avevo mai capito.

Devo a Katherine Mansfield (Racconti incompiuti) questo mio inaspettato satori, perchè da povero sprovveduto maschietto, non ci sarei mai arrivato. La conversazione è per me l'esame più difficile: rischio spesso di fare scena muta. Dico le tre, quattro cose (escludendo il tempo, il traffico e gli apprezzamenti sul governo) che sento di dover dire e taccio per minuti così lunghi che paiono un'eternità colma d'imbarazzo.