sabato 14 maggio 2016

Scienza o saggezza?


Il silenzio è il luogo in cui ci rifugiamo quando vogliamo restare da soli. Nella solitudine e nel silenzio giungono da luoghi inesplorati della coscienza pensieri e riflessioni; fuggevoli, impalpabili considerazioni che affiorano da abissi privi di luce, perforando substrati di perbenismo e socialmente accettabile. Il silenzio è la migliore palestra delle riflessioni. Il silenzio è la lama che penetra nel ghiaccio della coscienza e lo dilania.

Nel silenzio ovattato della notte, circondato da ombre incombenti come spettri, una lunga scia di riflessioni, eteree e volatili, della stessa sostanza dei sogni, come direbbe il Bardo, squarciano il buio della mia coscienza.

L'uomo moderno possiede la scienza ma ha perso la saggezza, così come l'uomo antico possedeva la saggezza ma non ancora la scienza.

Gli uomini contemporanei, dice Ananda Coomaraswamy (1), sono determinati a continuare ad andare avanti, non si sa dove, e questo viaggio senza direzione si chiama Progresso.

Abbiamo perso la saggezza delle antiche civiltà, ce la siamo lasciata dietro con la stessa noncuranza con cui ci gettiamo alle spalle i rifiuti, i sottoprodotti, i fine serie delle nostre produzioni industriali e culturali. Abbiamo perso la saggezza che faceva si che ogni individuo fosse indispensabile e nessuno inutile, e neppure uno veniva lasciato indietro.

Ma l'uomo moderno ha fallito la sua missione epocale, coniugare la scienza con la saggezza, giacchè l'una non può sopravvivere senza l'altra. Ci siamo infranti su questo scoglio dualistico e su quella roccia nel mare si è infranta la stessa modernità. Perchè questo non è il futuro illuminato che ci aspettavamo e al quale avevamo diritto, ma una sorta di medioevo tecnologico, uno scenario niente affatto rassicurante. La soddisfazione dei bisogni umani è andata oltre il suo naturale grado, si è tramutata in sadismo esasperato, muto, individualista e fine a se stesso. Non c'è limite al desiderio perchè non ci sono limiti ai mezzi di soddisfazione. La scienza ha raffinato la tecnologia e non c'è praticamente nulla al mondo che non possiamo produrre o ri-produrre; così, non ci sono confini alla quantità di oggetti che possiamo desiderare e che potremmo possedere. Si è generata una sorta di perverso feticismo verso le cose. E la depravazione tecnologica in cui l'offerta crea la domanda e non viceversa: non sapevamo di avere bisogno dello smartphone finchè non è arrivato. Io sinceramente mi sarei accontentato del mio vecchio stupidphone!

Oggi non è importante essere, oggi è importante apparire. Non sono ciò che sono, ma sono ciò che sembro. Nella società delle apparenze, sono importanti gli status symbol. La barca, il Rolex, la Mercedes. Insomma, rosari e catene di simboli e forme che valgono più della sostanza. Ma soffermiamoci su quest'ultimo simbolo. La Mercedes. Mi vengono in mente cortei di grigie, tetre autovetture con al volante grigi, tetri conducenti. Uomini rinsecchiti, con accanto donne altrettanto rinsecchite, che credono di aver raggiunto il top del successo, il grado estremo della lussuria, l'apice delle ricchezze, l'acme delle loro vuote vite e cercano di mostrarlo al mondo, a cominciare dal traffico cittadino. Potere del simbolo.

Ma è soltanto un esempio, avrei potuto parlare allo stesso modo di Porsche Cayenne, Luis Vuitton e di molteplici altri archetipi delle apparenze. Il mondo è vuota forma, il mondo è soltanto apparenza.

Anche se tutto è inganno e illusione

e la verità sempre ineffabile

pure la montagna mi guarda...

Cervo e corvo, rosa rossa

mare azzurro, mondo screziato:

raccogliti - e tutto si sfalda

nell'informe innominato.

Raccogliti, rientra in te

impara a guardare...

Raccogliti - il mondo è apparenza.

Raccogliti – l'apparenza è l'Essere. (2)

Mi sforzo di ascoltare, ma sento solo rumore. Mi sforzo di capire, ma vedo soltanto confusione. Mi sforzo di guardare, ma vedo solo dolore. Nell'impero dell'individualismo siamo in guerra gli uni contro gli altri. Parliamo, parliamo, parliamo, ma non sappiamo più comunicare.

Se comunicare è mettere in circolo, in relazione, esporre e diffondere un'idea, in un mondo tiranneggiato dai social in cui tutti parlano ma nessuno ascolta e non ci fermiamo neppure per un attimo a riflettere su ciò che si dice, è davvero arduo affermare che stiamo comunicando.

Ma tutto questo, non è scienza né saggezza. Se l'era antica possedeva la saggezza e l'età moderna era dominata dalla scienza, nell'evo post-moderno abbiamo perso entrambe.



(1) Am I my brother's keeper? (1948).

(2) Giovane novizio nel monastero zen, Herman Hesse (1960).


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