venerdì 2 novembre 2018

Seattle e dintorni



La prima volta che ascoltai Smells like teen spirit (1) rimasi folgorato.

Ecco, pensai, è proprio quello che sto cercando di suonare da anni. Ma qualcuno ci era arrivato prima di me.

Essenziale, rabbiosa, dritta al cuore.

Era la canzone – icona del grunge, forse dell'intera musica rock, qualcosa di molto viscerale, senza sovrastrutture, artifici e inganni. Non ve n'era bisogno. Era la canzone universale (2).

L'icona e la bandiera, dicevo, del grunge, l'ultimo vero movimento rock, io credo. L'ultima vera ventata di novità.

Dalle parti di Seattle sapevano il fatto loro, mi dissi, avevano trovato la formula giusta, la tempesta perfetta scatenata dal Dio del Rock: chitarre distorte su amplificatori tirati al limite, versi la cui ruvidezza faceva concorrenza alla carta vetrata, urlati su melodie improbabili e il giusto equilibrio fra ironia e cinismo. Un ibrido di punk e metal, che andava oltre il punk e il metal.

In Molise le mode e i trend arrivavano sempre in ritardo. Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, imperversava ancora la dark-wave (e il punk non è mai arrivato), mentre il resto del mondo, da tempo, si stava dedicando a qualcos'altro. Perciò, affermare che restammo sopraffatti e quasi scandalizzati è un eufemismo. Ma l'impermanenza non è caratteristica del solo buddismo. Appartiene anche al rock. Niente dura per sempre.

Non durò, infatti. Soltanto il tempo di uno sparo, il volo di una pallottola. Il calibro 12 che si sparò in faccia Kurt Cobain e i miei sogni di giovane con addosso vent'anni che pesavano come cento andarono in pezzi e morirono con lui. Qualcuno lo imitò, forse per altri motivi, forse per lo stesso motivo atroce di quando hai poco più di vent'anni – la consapevolezza dell'impossibilità della vita – e non so se fu fortunato, o sfortunato, a non riuscirvi.

In qualche modo morii anch'io. Smisi per anni di ascoltare rock e suonare la chitarra, mi dedicai alla musica classica (almeno i compositori non si potevano suicidare. Non c'era il rischio che si sparassero in testa. Erano tutti morti da tempo) e al folk celtico – irlandese. Cercai di imparare a suonare il violino (!). Per fortuna non vi riuscii.

Un altro suicidio mancato.

Ho raccontato in altri post di questo blog come e perchè ricominciai a suonare e comporre musica. Ma questa è un'altra storia. Chi mi segue – quei pochi coraggiosi – sa bene che questo è avvenuto da molto tempo e per parte mia aggiungo soltanto che mi pare di avere trovato la mia strada musicale, sotto forma di versi levigati, urlati su una rumorosa foschia di chitarre distorte.

Ma non è questo il punto, come dicevo. Il punto è questo bel libro (3) che mi è capitato per caso e forse per sbaglio fra le mani, proprio quando stavo per uscire sconsolato dalla libreria senza avere trovato, come al solito, quello che stavo cercando. I still haven't found what I'm looking for. il ritornello della mia vita

Qualcuno dice che il caso non esiste e neppure gli sbagli, che sono premeditati scherzi del subconscio. Ora ne sono convinto anch'io. E' il potere della eachiness di William Jones. C'è del sacro in tutte le cose, anche nei frammenti insignificanti di tempo. Ed è quel sacro a sconfiggere il caso.

Sono in auto e sto andando al lavoro. La selezione random del lettore mp3 estrae dalla lotteria sonora un altro classico dei Nirvana. Stavolta tocca a Rape me. Non sorrido neppure pensando all'ironia della sorte. Stamattina il giorno nascente è stato come un oltraggio. Svegliarmi è stato come stuprare i sogni uno a uno. Non sorrido perchè, in fondo, me l'aspettavo.

La musica scorre sopra i pattern di luoghi comuni, scivola senza sforzo sui fast food, i centri commerciali, le catene dei negozi, lo scialbo grigiore dei capannoni industriali, il paesaggio della monotonia urbana.

Sono vivo e vegeto e lui è morto. Ma chi di noi due è morto davvero? Chi di noi due ha vissuto davvero (4)? Io che sorvolo la superficie delle cose e vi rimbalzo sopra come un sasso, o lui che la superficie non l'ha soltanto attraversata, ma l'ha fracassata come uno specchio, mandandola in frantumi nelle mille schegge dell'illusione. Attraversare la superficie e andare a fondo, trascendere il duale, aggrovigliare i giochi infiniti di Maya, dea dell'illusione e della morte e confonderla al punto da farle scambiare la verità per l'apparenza.




(1) Era l'inverno 1991, erano i Nirvana e fu all'interno di una Panda troppo affollata, nel bel mezzo di una profonda conversazione esistenziale. Ci misi più tempo a scoprire Pearl Jam, Alice in chains e Soundgarden/Audioslave del mai troppo compianto Chris Cornell. Ma intanto una porta era stata aperta. Anzi, sfondata.

(2) E a tutt'oggi è ancora viva e palpitante. Provate ad ascoltarla nelle infinite versioni dello spazio profondo del web, in particolare quella dei Think up anger. Funziona sempre.

(3) Grunge. Il rock dalle strade di Seattle di Claudio Todesco.

(4) Ogni artista è un individuo asociale. Non perchè lo voglia, ma perchè non può proprio fare diversamente (Pablo Picasso).