La
prima volta che ascoltai Smells like teen spirit (1)
rimasi folgorato.
Ecco,
pensai, è proprio quello che sto cercando di suonare da anni. Ma
qualcuno ci era arrivato prima di me.
Essenziale,
rabbiosa, dritta al cuore.
Era la
canzone – icona del grunge, forse dell'intera musica
rock, qualcosa di molto viscerale, senza sovrastrutture, artifici e
inganni. Non ve n'era bisogno. Era la canzone universale
(2).
L'icona
e la bandiera, dicevo, del grunge, l'ultimo vero
movimento rock, io credo. L'ultima vera ventata di novità.
Dalle
parti di Seattle sapevano il fatto loro, mi dissi, avevano
trovato la formula giusta, la tempesta perfetta scatenata dal Dio
del Rock: chitarre distorte su amplificatori tirati al limite,
versi la cui ruvidezza faceva concorrenza alla carta vetrata, urlati
su melodie improbabili e il giusto equilibrio fra ironia e cinismo.
Un ibrido di punk e metal, che andava oltre il punk e il metal.
In
Molise le mode e i trend arrivavano sempre in ritardo. Alla fine
degli anni Ottanta del secolo scorso, imperversava ancora la
dark-wave (e
il punk non è mai arrivato), mentre il
resto del mondo, da tempo, si stava dedicando a qualcos'altro.
Perciò, affermare che restammo sopraffatti e quasi scandalizzati è
un eufemismo. Ma l'impermanenza non è caratteristica del solo
buddismo. Appartiene anche al rock. Niente dura per sempre.
Non
durò, infatti. Soltanto il tempo di uno sparo, il volo di una
pallottola. Il calibro 12 che si sparò in faccia Kurt
Cobain e i miei sogni di giovane con addosso vent'anni che
pesavano come cento andarono in pezzi e morirono con lui. Qualcuno lo
imitò, forse per altri motivi, forse per lo stesso motivo atroce di
quando hai poco più di vent'anni – la consapevolezza
dell'impossibilità della vita – e non so se fu fortunato, o
sfortunato, a non riuscirvi.
In
qualche modo morii anch'io. Smisi per anni di ascoltare rock e
suonare la chitarra, mi dedicai alla musica classica (almeno i
compositori non si potevano suicidare. Non c'era il rischio che si
sparassero in testa. Erano tutti morti da tempo) e al folk
celtico – irlandese. Cercai di imparare a suonare il violino
(!). Per fortuna non vi riuscii.
Un
altro suicidio mancato.
Ho
raccontato in altri post di questo blog come e perchè ricominciai a
suonare e comporre musica. Ma questa è un'altra storia. Chi mi segue
– quei pochi coraggiosi – sa bene che questo è avvenuto da molto
tempo e per parte mia aggiungo soltanto che mi pare di avere trovato
la mia strada musicale, sotto forma di versi levigati, urlati su una
rumorosa foschia di chitarre distorte.
Ma non
è questo il punto, come dicevo. Il punto è questo bel libro (3) che
mi è capitato per caso e forse per sbaglio fra le mani, proprio
quando stavo per uscire sconsolato dalla libreria senza avere
trovato, come al solito, quello che stavo cercando. I still
haven't found what I'm looking for. il ritornello della mia
vita
Qualcuno
dice che il caso non esiste e neppure gli sbagli, che sono
premeditati scherzi del subconscio. Ora ne sono convinto anch'io. E'
il potere della eachiness di William
Jones. C'è del sacro in tutte le cose, anche nei
frammenti insignificanti di tempo. Ed è quel sacro a sconfiggere il
caso.
Sono
in auto e sto andando al lavoro. La selezione random
del lettore mp3 estrae dalla lotteria sonora un altro classico dei
Nirvana. Stavolta tocca a Rape me. Non sorrido
neppure pensando all'ironia della sorte. Stamattina il giorno
nascente è stato come un oltraggio. Svegliarmi è stato come
stuprare i sogni uno a uno. Non sorrido perchè, in fondo, me
l'aspettavo.
La
musica scorre sopra i pattern di luoghi comuni, scivola senza sforzo
sui fast food, i centri commerciali, le catene dei negozi, lo scialbo
grigiore dei capannoni industriali, il paesaggio della monotonia
urbana.
Sono
vivo e vegeto e lui è morto. Ma chi di noi due è morto davvero? Chi
di noi due ha vissuto davvero (4)? Io che sorvolo la superficie delle
cose e vi rimbalzo sopra come un sasso, o lui che la superficie non
l'ha soltanto attraversata, ma l'ha fracassata come uno specchio,
mandandola in frantumi nelle mille schegge dell'illusione.
Attraversare la superficie e andare a fondo, trascendere il duale,
aggrovigliare i giochi infiniti di Maya, dea dell'illusione e
della morte e confonderla al punto da farle scambiare la verità per
l'apparenza.
(1)
Era l'inverno 1991, erano i Nirvana e fu all'interno di una
Panda troppo affollata, nel bel mezzo di una profonda conversazione
esistenziale. Ci misi più tempo a scoprire Pearl Jam, Alice in
chains e Soundgarden/Audioslave del mai troppo compianto Chris
Cornell. Ma intanto una porta era stata aperta. Anzi, sfondata.
(2) E
a tutt'oggi è ancora viva e palpitante. Provate ad ascoltarla nelle
infinite versioni dello spazio profondo del web, in particolare
quella dei Think up anger. Funziona sempre.
(3)
Grunge. Il rock dalle strade di Seattle di Claudio
Todesco.
(4)
Ogni artista è un individuo asociale. Non perchè lo voglia,
ma perchè non può proprio fare diversamente (Pablo
Picasso).
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