domenica 29 gennaio 2017

Pornography


 
Per l'argomento trattato, sconsiglio la lettura ai non maggiorenni.
La pornografia è la rappresentazione dell'oscenità. E' mostrare ciò che non dovrebbe essere mostrato, ma taciuto, velato, tenuto nascosto. L'oscenità non è necessariamente di natura sessuale. Osceno è anche un corpo decomposto, un corpo martoriato, col ventre aperto, da cui fuoriescono viscide e maleodoranti frattaglie, nature morte intrise di sangue pallido come l'acqua. Osceno è un orizzonte affondato nel grigiore e deturpato da neri scheletri, relitti dell'era industriale, oscena è una poesia zoppa e deforme.
Se, dunque, la vita stessa può essere oscena, la sua rappresentazione, l'arte, è pornografia (1).
Come non considerare oscene certe incisioni di Albrecht Durer (2) e pornografici quasi tutti i dipinti di Bosch (3), alcune opere di Courbet (4) e le sculture di Rodin (5)?
E possiamo aggiungere alla serie anche Tropico del Cancro, un romanzo che già alla sua uscita nel 1934 fu considerato scandaloso e osceno e, secondo me, della pornografia più sublime.
Henry Miller è scrittore a me congeniale, perchè è il fratello gemello di Celine, partoriti entrambi da quella gran madre e gran bagascia che è Parigi.
Parigi è come una puttana. Da lontano pare incantevole, non vedi l'ora di averla fra le braccia. E cinque minuti dopo ti senti vuoto, schifato di te stesso. Ti senti truffato.
In Tropico si è subito sommersi da una narrazione fluente e torrenziale, la lettura a volte è ardua perchè il flow narrativo è in presa diretta da molteplici e multiformi punti di vista. Ma una volta entrati nell'universo dello scrittore americano e carpita la chiave di lettura, il romanzo decolla.
Uomini e donne arrivano insieme come branchi d'avvoltoi su una carcassa fetente, si accoppiano e subito volano via. Avvoltoi che piombano dal cielo come pietre pesanti. Artiglio e becco, questo siamo! Un enorme apparato intestinale che fiuta la carne morta.”
E... “L'Europa è satura d'arte e i suoi musei stracolmi di tesori, ma la sua terra è piena di morte e ossa” (6).
Ecco la chiave.
Miller, uomo in fuga dal Nuovo mondo, descrive una doppia decadenza: la carcassa della civiltà occidentale (europea) in orrida decomposizione, e la caduta degli uomini, che segue di poco quella degli dei.
Siamo sfiniti, annoiati, logori come genere (umano). Sorpassati. Antichi. Presto, qualche altra specie prenderà il nostro posto sul podio.
L'arte sta nell'andare fino in fondo, se cominci con i tamburi, devi finire con il tritolo”. Allora andiamo fino in fondo a cercare la verità.
Soltanto coloro i quali lasciano entrare la luce nelle proprie viscere riescono a tradurre quel che c'è nel cuore”.
E mostrare tutto, ma proprio tutto.
“Un giorno scriverò un libro su di me, sui miei pensieri. Non voglio dire un saggio di analisi introspettiva... Voglio dire che mi stenderò sul tavolo operatorio, e metterò in mostra le budella... ogni cosa, accidenti.”
Questa è pornografia!
E ora guardate quel nudo lassù... Andava bene, finchè non si è messa a disegnare la fica. Chissà a cosa pensava, ma l'ha fatta così grossa che le ci è scivolato dentro il pennello e non è più riuscita a tirarlo fuori.
E ancora...
Per mostrarci come dev'essere un nudo tira fuori una grossa tela ultimata da lui di recente. Rappresentava lei, splendido esempio di vendetta ispirato dalla coscienza sporca. L'opera di un pazzo: cattiva, meschina, maligna, brillante. Ti dava l'impressione che lui l'avesse spiata dal buco della chiave, che l'avesse colta in un momento di distrazione, mentre sovrappensiero si toccava il naso, o si grattava il culo. Sedeva sul sofà di crine di cavallo, in una stanza senza ventilazione, in una stanza enorme senza finestre; poteva anche essere il lobo anteriore della ghiandola pineale. Dietro di lei la scala a zigzag che portava alla balconata; coperta da un tappeto verde-bile, un verde come quello che può sortire da un mondo scoppiato.
Ma la cosa di maggior rilievo erano le natiche, asimmetriche e piene di croste; pareva che stesse sollevando il culo dal sofà per mollare una grossa scoreggia. Il volto era idealizzato: appariva dolce e virgineo, puro come una pasticca per la tosse. Ma il petto era esteso, gonfio come di gas di fogna; pareva nuotare in un mare mestruale, un feto ingigantito con lo sguardo ottuso, sciropposo di un angelo.
Bellezza non bellezza, oscenità pornografiche, il gusto dell'orrido che può essere soddisfatto soltanto attraverso una curiosità disarmante e morbosa.
E il protagonista del tutto accidentale, una semplice comparsa estratta a caso dalla lista degli attori principali, non subisce il trattamento-Kurtz (7) - eppure Cuore di tenebra riecheggia nei vicoli parigini e si riflette in quel fiume scuro e profondo come la notte -, chiamato, lui malgrado, a raccontare in prima persona la caduta agli inferi.
Ma ci salvano, qua e là, piccoli acquerelli, appena abbozzati, deboli sprazzi di luce presto inghiottiti dal buio, che dipingono la disperazione come grandiosi affreschi.
Nel chiaro scabro delle luci, la piccola puttana con la gamba di legno e dietro lei il vicolo buio, spalancato come l'inferno.
E... fuochi d'artificio!
In vita mia non ho mai guardato una fica con tanta serietà. Quasi che non ne avessi mai vista un'altra prima. E quanto più la guardavo, tanto meno mi diventava interessante. Basti questo a dimostrarti che non c'è proprio dentro nulla, specialmente quando l'hai rasata. E' il pelo che te la rende misteriosa. Ecco perchè una statua ti lascia freddo.
T'infiammi tutto per niente... per un cretto col pelo sopra, o magari senza pelo. E' così completamente privo di senso che provavo una specie di fascino a guardarlo. Credo di averlo studiato per dieci minuti, anche di più.
Tutto questo mistero del sesso, e poi ti accorgi che è nulla, un buco e basta. Non sarebbe divertente trovarci dentro un'armonica... oppure un calendario?”
Nel finale ritorna Celine, nelle strane vesti di un americano a Parigi (8).
“Il sole tramonta. Sento questo fiume che scorre dentro di me, il suo passato, la terra antica, il clima mutevole. Le colline gli fanno dolce corona: il suo corso è stabilito.”
(Nota di chiusura) “It doesn't matter if we all die” (Non importa se moriamo tutti), cantava Robert Smith in One hundred years, canzone di Pornograpy (1982), quarto album dei The Cure. Io preferisco The hanging garden, stessa vena poetica e disperata, ma al quadrato. Pornography è un disco che sprofonda nella malinconia e nel nichilismo, suoni, scarni e nervosi, venati di rabbia, su cui si arrampica la voce quasi afona di Smith. Le canzoni sono inni all'annientamento e al rifiuto della vita. Che è pornografia. Appunto.

(1) Ma non è vero il contrario. La pornografia non è arte.
(2) Cristo alla colonna, per esempio.
(3) Hyeronimus Bosch, pittore fiammingo vissuto a cavallo fra il XVI e il XV secolo. Date un'occhiata a Il giardino delle delizie, L'inferno musicale (nel quale gli strumenti musicali perdono la loro funzione originaria e diventano altro, ad esempio, strumenti di tortura), I sette peccati capitali.
(4) Gustave Courbet, pittore impressionista. Su L'origine du monde avevo già avuto modo di scrivere: http://angelo-medici.blogspot.it/2013/07/lorigine-du-monde_9.html
(5) L'idolo eterno, Un sospiro sensuale, Iris, messagére des dieux e Donna accovacciata, ad esempio.
(6) Kenneth Clark, storico dell'arte.
(7) Trattamento-Kurtz, bel modo di disegnare il protagonista di un romanzo, mai in presa diretta, mai dentro l'inquadratura, ma soltanto attraverso le voci altrui e in nessun caso mostrarlo realmente. L'uno e l'altro Kurtz, il protagonista di Cuore di tenebra, scritto da Joseph Conrad nel 1899 (titolo originale, Heart of darkness) e di quell'altro capolavoro che è Apocalypse Now, girato da Francis Ford Coppola nel 1979. Da allora, per quanto mi riguarda, Kurtz ha la faccia di Marlon Brando.
(8) “Lontano, il rimorchiatore ha fischiato; il suo richiamo ha passato il ponte, ancora un'arcata, un'altra, la chiusa, un altro ponte, lontano, più lontano... Chiamava a sé tutte le chiatte del fiume tutte, e la città intera, e il cielo e la campagna, e noi, tutto si portava via, anche la Senna, tutto, che non se ne parli più.” (Viaggio al termine della notte, Louis-Ferdinand Cèline, 1932).



domenica 15 gennaio 2017

Post-religione


Dopo il post sulla post (scusate il gioco di parole) ideologia (Critica delle ideologie), tanto per stare allegri, eccovi un post sulla post (chiedo ancora perdono) religione.

Da anni mi chiedo a cosa serva la religione, se abbia ancora un senso, o che scopo abbia, ammesso che l'abbia ancora.

Innanzitutto, occorre fare un bel distinguo e tracciare un fossato invalicabile tra fede e religione, poiché sono cose del tutto diverse e non è detto che chi ha fede sia anche religioso e che chi è religioso abbia fede. Sembra scontato, ma non lo è affatto.

La fede è (o dovrebbe essere) un fenomeno esclusivamente privato, mentre la religione non è altro che il credo organizzato, gerarchico e burocratico, zeppo di regole, divieti e precetti.

Si può trasformare la fede in religione, il rapporto controverso fra razionale e irrazionale?

La fede, la relazione con il Divino è una dimensione, sempre privata e personale, unica per ciascuno di noi e non può essere condivisa. Da qui la perfetta inutilità delle religioni, create da alcuni uomini, non da Dio, per altri uomini. In fondo, crediamo in ciò di cui abbiamo bisogno di credere.

Mi piacerebbe se un qualunque sacerdote, alla mia affermazione: “Non sono religioso”, rispondesse: “Neppure io”. Lo abbraccerei di cuore. Ma non so se esista un tal genere di ecclesiastico. Ecco, io credo che la religione abbia preso il sopravvento sulla fede e soltanto la prima sia ormai importante. La forma più che la sostanza, la superficie al posto della profondità, la teoria invece della realtà.

Una matassa inestricabile di leggi e leggine, dogmi ed esegesi, talmente aggrovigliata che per seguire la strada di Dio, più che un prete, avrebbe fatto comodo un avvocato. (1)

Ogni popolo ha cercato di trovare la sua strada verso Dio, spesso smarrendola.

Per fortuna, ce ne sono centinaia di religioni al mondo, anche togliendo dal conto quelle americane così pacchiane e false, con tanto di alleluia, lustrini e cori gospel, che servono solo a far raspare un mucchio di soldi al predicatore più abile con la lingua. O quelle per soli ricchi sfondati, che prima svuotano loro il cervello e poi il conto in banca. Religioni per tutti i gusti e per tutti gli uomini sotto ogni latitudine. (2)

Ma allora, a cosa serve la religione?

...la notte è buia e sembra non avere fine e, come se non bastasse, ci sono tanti cataclismi, terremoti, tsunami e malattie di tutti i tipi. Una risposta pronta e rassicurante fa sempre comodo averla sul comodino, racchiusa in una bella Bibbia o in un bel Vangelo, stampato in ogni facciata rigorosamente in Times New Roman, che fa il tutto più credibile e degno di devozione. (3)

Abbiamo paura. Ce la facciamo sotto. Ecco perchè non possiamo fare a meno delle consolazioni ingannatorie delle religioni.

E' più facile essere religiosi che aver fede.

Se, invece, la fede ce l’hai, allora sono cazzi, perché è tutta un’altra storia, un altro paio di maniche e in tutta sincerità non è un buon affare. Non puoi fare finta come gli altri, non puoi dissimulare le tue certezze, devi fare professione di fede, proclamare, predicare, praticare tutto il santo giorno, non è mica da tutti. E non puoi farne a meno.

È difficile starsene in faccia al mondo con la nostra immensa, spropositata fede. Il mondo non capisce, non comprende i nostri solidi convincimenti. Il mondo ha bisogno di qualcosa di più semplice, non domanda supereroi. Chiede persone normali. (4)

Persone normali. Che dubitano tutto il giorno di essere nel giusto.

...da qualche tempo dubitava della sua fede. Essa era ormai qualcosa che rimbalzava come una pallina da ping-pong tra il dubbio e la certezza e se la svignava tra diffidenza e perplessità. Era come una luce scialba attraverso la nebbia, che un momento si vede, l’altro momento non si scorge più e ti chiedi se l’hai vista davvero o non sia stata, piuttosto, solo un’allucinazione, uno scherzo dei tuoi occhi. Niente di certo, niente di sicuro, un giorno più vicino, un giorno più lontano. Da Dio. (5)

Forse è giunto il momento di rinunciare alle religioni.

Ci sono giorni in cui penso che sarebbe meglio se non ci fossero le religioni. La conoscenza e la pratica della religione sono state utili, questo è vero, per tutte le fedi. Oggi però non bastano più, spesso portano al fanatismo e all’intolleranza e in nome della religione si sono fatte e si fanno guerre. Nel XXI secolo abbiamo bisogno di una nuova etica che trascenda la religione. La nostra elementare spiritualità, la predisposizione verso l’amore, l’affetto e la gentilezza che tutti abbiamo dentro di noi a prescindere dalle nostre convinzioni sono molto più importanti della fede organizzata. A mio avviso, le persone possono fare a meno della religione, ma non possono stare senza i valori interiori e senza etica.

La religione ha creato vittime e carnefici, il Dalai Lama non ha tutti i torti. Senza chiese, moschee e sinagoghe, senza bibbie e vangeli, Talmud e Torah, senza Corano, Veda e Upanishad, senza integralismi, crociate, guerre sante e...

...e, se facessimo a meno anche di Dio? (6)

Uhm... non mi aspettavo la domanda. Ma proviamo lo stesso a rispondere.

Anzi, se non erro, ci provò Nietzsche per primo a rispondere. Egli pensava che l'abbandono della fede in Dio potesse sviluppare completamente la creatività umana, liberandosi della divinità come un intralcio, l'umanità smetterebbe di scrutare verso il regno divino e imparerebbe ad apprezzare questa terra, che non è un paradiso, ma neppure l'inferno. L'uomo senza Dio sarebbe un uomo libero, non dovrebbe più portare il peso delle colpe passate e del peccato originale, sarebbe egli stesso Dio. (7)

I secondi a rispondere furono gli americani, negli anni sessanta, con la teotanatologia (8), una teoria elaborata da teologi cristiani ed ebraici. La cultura moderna ha perso del tutto il senso del sacro, la perdita di sacralità dell'Essere divino l'ha dunque condotto alla morte. Secondo una deriva estrema di questo pensiero, si può stabilire una data abbastanza precisa e il luogo della Sua dipartita: Dio è morto ad Auschwitz. (9)

Morto Dio (10) e crollata la fede, la religione vacilla, ma non troppo. Siamo in una fase post – cristiana, post-moderna, ma non ancora post-religiosa. Solo a restare nel cattolicesimo, proliferano religioni che ci viene naturale dichiarare spin off di quella originale, come il cristianesimo liberale, l'esistenzialismo cristiano, la teologia filosofica continentale, l'ortodossia radicale, l'ermeneutica della religione, la teologia non dogmatica.

Insomma, la religione è dura a morire.



(1) La città verticale, Angelo Medici 0111 Edizioni.

(2) Ibidem.

(3) Sempre lì.

(4) Stesso libro.

(5) Idem. Ora però compratevelo, altrimenti devo trascriverlo tutto.

(6) “E se Dio non esistesse? Il suo stesso non esistere avrebbe del divino, solo a Lui è dato il potere di non esistere.” (Zeidlis il Papa, Isaac Singer)

(7) “L’amara scoperta che Dio non esiste ha ucciso la parola destino. Ma,… affermare che siamo gli unici artefici della nostra esistenza è follia: se neghi il destino, la vita diventa una serie di occasioni perdute… e si spreca il presente rendendolo un’altra occasione perduta.” - Oriana Fallaci può permettersi di non essere d'accordo in Un uomo.

(8) Dal greco θεός, theos, Dio, θάνατος, thanatos, morte e λόγος, logos, discorso.

(9) “...c'è Auschwitz, dunque non può esserci Dio.” (Primo Levi).

(10) Secondo gli indù, neppure Dio (Brahma) è immortale; egli muore per rinascere Brahma.



domenica 8 gennaio 2017

Critica delle ideologie



Non sei di questo secolo, mi è stato detto di recente. Tu appartieni all'Ottocento.
Sono d'accordo, ma soltanto in parte. Non appartengo a questo secolo, ma sono un uomo del Novecento. Sono il figlio partorito in una notte di tempesta dalle allucinazioni positiviste. I totalitarismi del secolo scorso, lo spaesamento morale, la trasformazione dell'individuo in un pezzo dell'ingranaggio, in un altro mattone nel muro, la crisi d'identità, la morte di Dio, la caduta delle ideologie. Ecco i miei padri e le mie altrettante madri.
Ma non è vero neppure questo. C'è chi è futurista e chi è passatista (1). O anche presentista, se il neologismo regge. La verità è che non sto bene in nessun luogo, figuriamoci se posso sentirmi a mio agio in una determinata fascia temporale. Sono un senza tempo.
E senza ideologie.
Bene, dopotutto, e oltre la Critica della ragion pura, la Critica della ragion pratica e la Critica del giudizio (2), pare esserci spazio per una Critica delle ideologie.
Le ideologie sono come avveniristici caschi che ci impongono sulla testa, muniti di lenti e auricolari, che ci fanno percepire una realtà che non esiste, o altamente distorta; attraverso il filtro delle lenti, la mediazione delle cuffie, ci fanno vedere e sentire quello che vogliono. Le ideologie tentano di accecarci con visioni mai nitide e sempre unilaterali. Ci mostrano come unico mondo possibile, una realtà imbrigliata e artefatta, a uso e consumo di pochi. Le ideologie, da che mondo è mondo, non sono mai state orientate alla felicità degli uomini, ma solo per alcuni di essi. Esse sono maglie di catene che ci rendono schiavi e le mani che ne tengono il capo opposto sono così distanti, che è impossibile capire a chi appartengono. L’ideologia non è che una truffaldina rappresentazione della realtà, finalizzata alla conquista del potere, pura e semplice volontà di potenza.
Ma niente è per sempre, nessuno è immortale e nulla è eterno. Come Dio morì nel Novecento (3), le ideologie tirano le cuoia qui e ora, nel Duemila, in questo secolo che si dimostra lunghissimo (in contrapposizione al Secolo breve), già nei primi decenni, come un treno senza fine, uno snowpiercer (4) che cerca di fare capolino dalle nevi perenni del tempo.
E tuttavia questo evo post-ideologico non è segnato dalla nascita di una nuova etica, dalla rigenerazione morale o dal (ri)sorgere di correnti di pensiero, ma da un'inarrestabile deriva culturale che presto ci precipiterà in un abisso d'ignoranza e in un deserto valoriale, sullo sfondo di una profonda crisi tradottasi in precariato economico, sociale e morale.
Questo è il tempo dell'individualismo e dell'egoismo. Ognuno definisce se stesso e i propri valori sulla scorta della propria esperienza e giudizio personali. Oggi tutti possono sentirsi qualcosa o qualcuno e idealizzare quest'approccio esclusivamente soggettivo in un giudizio oggettivo, definitivo e valido per tutta l'umanità. Basti pensare a come nascono i nuovi splendori dello star system, quasi sempre privi di qualunque talento, ai quali è sufficiente una comparsata in uno dei numerosi talent show televisivi. Ma, come quest'ultimo è ormai lontano dall'arte, così la nostra era è distantissima dall'etica.
Non solo stanno crollando le ideologie, ma franano le colonne portanti del mondo così come lo conosciamo, un autentico terremoto di devastazione epocale. Sta sopraggiungendo un nuovo ordine mondiale. Da una parte, gli Stati Uniti trumpiani, loro per primi a-ideologici, somigliano sempre più alla Russia imperiale di Putin e stanno abdicando al ruolo di leadership politica, militare e culturale mondiale per tornare a un isolazionismo di stampo pre-rooseveltiano. Dall'altra, un'Europa sempre più debole e divisa, abbandonata a se stessa sia dai nordamericani, sia dal Regno unito, rassegnata a impersonare il vaso di coccio fra la Russia minacciosa e il colosso economico e militare cinese (5), mentre potenze regionali come Iran, Turchia e India si affacciano alla ribalta e giocano a muso duro, con sfrontatezza e senza regole, calpestando i diritti civili. Senza dimenticare il fermento che scuote un mondo arabo ormai in crisi fra tradizione e modernità.
E anche la società non attraverserà indenne questi riti di passaggio (6); da un lato l'avanzamento inarrestabile di un neocapitalismo globalizzato e globalizzante, pervicace e immorale, che appiattisce, uniforma e livella le richieste di beni, estremizzando e orientando al pessimismo la legge di Say (7), dall'altro le differenze sociali ed economiche sempre più marcate, condurranno fatalmente a una comunità post-capitalista senza classi e post-ideologica. Le classi sociali stanno perdendo infatti i tradizionali riferimenti politici, dottrinari e dunque ideologici, ma dubito che questa occasione epocale possa essere sfruttata per una rinascita morale, poichè le colonne portanti dell'etica, della giustizia e della cultura saranno state abbattute dall'individualismo più sfrenato e dall'egoismo più dissoluto.
(1) Futurism vs passéism, canzone dei Blonde Redhead in Fake can be just as good del 1995 e il seguito Futurism vs passéism Part 2, contenuta nel disco In an expression of the inexpressibile del 1998.
(2) Kritik der reinen vernunft (1781), Kritik der praktischen vernunft (1788) e Kritik der urteilkraft (1790) sono le opere più importanti del filosofo prussiano Immanuel Kant. Quello di “il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me”.
(3) “Dio è morto! E noi l'abbiamo ucciso!“ (Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, 1882). Lo uccidemmo perchè non seppe proteggerci dal fragore di due guerre mondiali e dall'orrore dei campi di sterminio. Ci accorgemmo che Egli era sulla nostra stessa barca e dunque lo gettammo in mare. E con la sua dipartita, scorgemmo la fine del mondo occidentale.
(4) Bucaneve, titolo di un film del 2013 del regista sudcoreano Bong Joon-ho.
(5) Non oso pensare a un'egemonia culturale cinese, per quanto alcuni episodi cinematografici (interessante il neorealismo di Le biciclette di Pechino) e letterari non mi sembrano affatto da disprezzare.
(6) Bisognerebbe rileggere Riti di passaggio (1980), Calma di vento (1987) e Fuoco sottocoperta (1989), della trilogia Ai confini della terra di William Golding. E anche Il signore delle mosche (1954).
(7) Jean-Baptiste Say, economista francese nato a Lione nel 1767 e deceduto a Parigi nel 1832, creò la legge omonima, secondo la quale l'offerta crea la domanda (di beni e servizi). “Un prodotto terminato offre da quell'istante uno sbocco ad altri prodotti per tutta la somma del suo valore. Difatti, quando l'ultimo produttore ha terminato un prodotto, il suo desiderio più grande è quello di venderlo, perché il valore di quel prodotto non resti morto nelle sue mani. Ma non è meno sollecito di liberarsi del denaro che la sua vendita gli procura, perché nemmeno il denaro resti morto. Ora non ci si può liberare del proprio denaro se non cercando di comperare un prodotto qualunque. Si vede dunque che il fatto solo della formazione di un prodotto apre all'istante stesso uno sbocco ad altri prodotti.” (Traité d'economie politique, 1803). La sua legge fu aspramente contestata da John Maynard Keynes, il padre della macroeconomia. “Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi.” ebbe a scrivere nel 1933 in Autosufficienza nazionale.


lunedì 2 gennaio 2017

Breve conversazione fra scienza e logos


Non è un caso che le classi dirigenti occidentali non siano composte da scienziati, ma per lo più, da personalità con formazione umanistica. Il tutto in linea con la tradizione dell'Occidente (ma non solo) di porre limiti all'agire tecnico-scientifico. Ed è un bene, oltre che un'impostazione consolidata da almeno due secoli.

Il fine di un apparato tecnico-scientifico non sarà mai il benessere e il progresso dell'umanità. Il suo vero scopo sarà l'aumento indefinito della potenza, e dunque, uno sforzo fine a se stesso, dedito esclusivamente ad accrescere il potere tecnologico. Uomini tormentati dal delirio di onnipotenza, incapaci di provare compassione per i propri simili e per gli animali (1), pervasi da una sorta di anestesia emotiva, governati da una nera triade composta da antisocialità, narcisismo e sadismo. A condire per bene il tutto, allucinazioni da eccesso post-ideologico e lucidità da eccesso di vuoto. Una nuova ideologia dopo la morte di tutte le ideologie: il fondamentalismo del nulla.

L'umanesimo non può nulla senza la scienza, ma la scienza senza l'umanesimo (senza cioè porre l'uomo al centro e arginare il delirio tecnocratico) sarà una madre che partorisce mostri.

E' già accaduto.

Il positivismo ebbe Frankenstein per figlio (2), la sua caduta novecentesca produsse Sarik/Sarikov nelle catene di montaggio dell'industria sovietica (3), a sua volta aborto e distorsione del materialismo socialista ottocentesco, e poi Dachau, Bergen Belsen, Buchenwald. L'esperimento del non-uomo. E Srebrenica, Abu Grahib e Aleppo. L'esperimento continua nel nuovo millennio. E tutto questo, purtroppo, non nella fantasia letteraria.

Sembra fantascienza, ma non lo è. E' l'espressione di una crisi del presente, lo spaesamento e la vertigine di un tempo differente sotto il quale si cela il presente stesso (4). Un mondo ibrido, fatto di presente e futuro?

Non so rispondere. E dopo un po' il silenzio diventa insopportabile, romba nel cavo auricolare con il fragore del mare in tempesta.

L'entropia è la naturale tendenza delle cose a mettersi in disordine, a sconvolgere il Kosmòs e tornare al Chaos primordiale. Tutto torna a essere quello che era, anche l'ordine apparentemente immutabile ritorna a sconvolgersi nel disordine. Tutto e ogni cosa ritorna al seme, tutto e ogni cosa ritorna alla fresca morte, alla morte verde (5). L'alternativa al Chaos non è il Kosmòs, ma l'annientamento, la dissoluzione, la morte.

La verità è che forse siamo stanchi. Sfiniti, annoiati, logori come genere (umano). Sorpassati. Antichi. Presto, qualche altra specie prenderà il nostro posto sul podio.

Abbiamo fatto il nostro tempo. Non resta che farci da parte e fissare la discesa inesorabile degli anni.

Senza scienza e senza logos.


(1) E' ancora elevato il numero di ricercatori che sostengono l'irrinunciabilità della vivisezione e della sperimentazione sugli animali.

(2) Frankenstein; o, il moderno Prometeo, romanzo del 1818 di Mary Shelley.

(3) Il cane che si fece uomo, in Cuore di cane, romanzo di Michail Bulgakov del 1925.

(4) Prefazione di Fabrizio Farina a Viaggi nel tempo.

(5) Sound of thunder, Ray Bradbury, 1953.