Non
sei di questo secolo, mi è stato detto di recente. Tu appartieni
all'Ottocento.
Sono
d'accordo, ma soltanto in parte. Non appartengo a questo secolo, ma
sono un uomo del Novecento. Sono il figlio partorito in una notte di
tempesta dalle allucinazioni positiviste. I totalitarismi del secolo
scorso, lo spaesamento morale, la trasformazione dell'individuo in un
pezzo dell'ingranaggio, in un altro mattone nel muro, la crisi
d'identità, la morte di Dio, la caduta delle ideologie. Ecco i miei padri e le mie altrettante madri.Ma non è vero neppure questo. C'è chi è futurista e chi è passatista (1). O anche presentista, se il neologismo regge. La verità è che non sto bene in nessun luogo, figuriamoci se posso sentirmi a mio agio in una determinata fascia temporale. Sono un senza tempo.
E senza ideologie.
Bene, dopotutto, e oltre la Critica della ragion pura, la Critica della ragion pratica e la Critica del giudizio (2), pare esserci spazio per una Critica delle ideologie.
Le ideologie sono come avveniristici caschi che ci impongono sulla testa, muniti di lenti e auricolari, che ci fanno percepire una realtà che non esiste, o altamente distorta; attraverso il filtro delle lenti, la mediazione delle cuffie, ci fanno vedere e sentire quello che vogliono. Le ideologie tentano di accecarci con visioni mai nitide e sempre unilaterali. Ci mostrano come unico mondo possibile, una realtà imbrigliata e artefatta, a uso e consumo di pochi. Le ideologie, da che mondo è mondo, non sono mai state orientate alla felicità degli uomini, ma solo per alcuni di essi. Esse sono maglie di catene che ci rendono schiavi e le mani che ne tengono il capo opposto sono così distanti, che è impossibile capire a chi appartengono. L’ideologia non è che una truffaldina rappresentazione della realtà, finalizzata alla conquista del potere, pura e semplice volontà di potenza.
Ma niente è per sempre, nessuno è immortale e nulla è eterno. Come Dio morì nel Novecento (3), le ideologie tirano le cuoia qui e ora, nel Duemila, in questo secolo che si dimostra lunghissimo (in contrapposizione al Secolo breve), già nei primi decenni, come un treno senza fine, uno snowpiercer (4) che cerca di fare capolino dalle nevi perenni del tempo.
E tuttavia questo evo post-ideologico non è segnato dalla nascita di una nuova etica, dalla rigenerazione morale o dal (ri)sorgere di correnti di pensiero, ma da un'inarrestabile deriva culturale che presto ci precipiterà in un abisso d'ignoranza e in un deserto valoriale, sullo sfondo di una profonda crisi tradottasi in precariato economico, sociale e morale.
Questo è il tempo dell'individualismo e dell'egoismo. Ognuno definisce se stesso e i propri valori sulla scorta della propria esperienza e giudizio personali. Oggi tutti possono sentirsi qualcosa o qualcuno e idealizzare quest'approccio esclusivamente soggettivo in un giudizio oggettivo, definitivo e valido per tutta l'umanità. Basti pensare a come nascono i nuovi splendori dello star system, quasi sempre privi di qualunque talento, ai quali è sufficiente una comparsata in uno dei numerosi talent show televisivi. Ma, come quest'ultimo è ormai lontano dall'arte, così la nostra era è distantissima dall'etica.
Non solo stanno crollando le ideologie, ma franano le colonne portanti del mondo così come lo conosciamo, un autentico terremoto di devastazione epocale. Sta sopraggiungendo un nuovo ordine mondiale. Da una parte, gli Stati Uniti trumpiani, loro per primi a-ideologici, somigliano sempre più alla Russia imperiale di Putin e stanno abdicando al ruolo di leadership politica, militare e culturale mondiale per tornare a un isolazionismo di stampo pre-rooseveltiano. Dall'altra, un'Europa sempre più debole e divisa, abbandonata a se stessa sia dai nordamericani, sia dal Regno unito, rassegnata a impersonare il vaso di coccio fra la Russia minacciosa e il colosso economico e militare cinese (5), mentre potenze regionali come Iran, Turchia e India si affacciano alla ribalta e giocano a muso duro, con sfrontatezza e senza regole, calpestando i diritti civili. Senza dimenticare il fermento che scuote un mondo arabo ormai in crisi fra tradizione e modernità.
E anche la società non attraverserà indenne questi riti di passaggio (6); da un lato l'avanzamento inarrestabile di un neocapitalismo globalizzato e globalizzante, pervicace e immorale, che appiattisce, uniforma e livella le richieste di beni, estremizzando e orientando al pessimismo la legge di Say (7), dall'altro le differenze sociali ed economiche sempre più marcate, condurranno fatalmente a una comunità post-capitalista senza classi e post-ideologica. Le classi sociali stanno perdendo infatti i tradizionali riferimenti politici, dottrinari e dunque ideologici, ma dubito che questa occasione epocale possa essere sfruttata per una rinascita morale, poichè le colonne portanti dell'etica, della giustizia e della cultura saranno state abbattute dall'individualismo più sfrenato e dall'egoismo più dissoluto.
(1)
Futurism vs passéism, canzone dei Blonde Redhead
in Fake can be just as good del 1995 e il seguito
Futurism vs passéism Part 2, contenuta nel disco In
an expression of the inexpressibile del 1998.
(2) Kritik der reinen vernunft (1781), Kritik der
praktischen vernunft (1788) e Kritik der urteilkraft
(1790) sono le opere più importanti del filosofo prussiano Immanuel
Kant. Quello di “il cielo stellato sopra di me, la
legge morale in me”.
(3)
“Dio è morto! E noi l'abbiamo ucciso!“ (Friedrich
Nietzsche, La gaia scienza, 1882). Lo uccidemmo
perchè non seppe proteggerci dal fragore di due guerre mondiali e
dall'orrore dei campi di sterminio. Ci accorgemmo che Egli era sulla
nostra stessa barca e dunque lo gettammo in mare. E con la sua
dipartita, scorgemmo la fine del mondo occidentale.
(4)
Bucaneve, titolo di un film del 2013 del regista
sudcoreano Bong Joon-ho.
(5)
Non oso pensare a un'egemonia culturale cinese, per quanto alcuni
episodi cinematografici (interessante il neorealismo di Le
biciclette di Pechino) e letterari non mi sembrano affatto da
disprezzare.
(6)
Bisognerebbe rileggere Riti di passaggio (1980), Calma
di vento (1987) e Fuoco sottocoperta (1989),
della trilogia Ai confini della terra di William
Golding. E anche Il signore delle mosche (1954).
(7) Jean-Baptiste Say, economista francese nato a Lione nel 1767 e
deceduto a Parigi nel 1832, creò la legge omonima, secondo la quale
l'offerta crea la domanda (di beni e servizi). “Un prodotto
terminato offre da quell'istante uno sbocco ad altri prodotti per
tutta la somma del suo valore. Difatti, quando l'ultimo produttore ha
terminato un prodotto, il suo desiderio più grande è quello di
venderlo, perché il valore di quel prodotto non resti morto nelle
sue mani. Ma non è meno sollecito di liberarsi del denaro che la sua
vendita gli procura, perché nemmeno il denaro resti morto. Ora non
ci si può liberare del proprio denaro se non cercando di comperare
un prodotto qualunque. Si vede dunque che il fatto solo della
formazione di un prodotto apre all'istante stesso uno sbocco ad altri
prodotti.” (Traité d'economie politique,
1803). La sua legge fu aspramente contestata da John Maynard Keynes,
il padre della macroeconomia. “Il capitalismo non è
intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non
mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a
disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto,
restiamo estremamente perplessi.” ebbe a scrivere nel 1933
in Autosufficienza nazionale.
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