Per l'argomento trattato,
sconsiglio la lettura ai non maggiorenni.
La
pornografia è la rappresentazione dell'oscenità. E' mostrare ciò
che non dovrebbe essere mostrato, ma taciuto, velato, tenuto
nascosto. L'oscenità non è necessariamente di natura sessuale.
Osceno è anche un corpo decomposto, un corpo martoriato, col ventre
aperto, da cui fuoriescono viscide e maleodoranti frattaglie, nature
morte intrise di sangue pallido come l'acqua. Osceno è un orizzonte
affondato nel grigiore e deturpato da neri scheletri, relitti
dell'era industriale, oscena è una poesia zoppa e deforme.
Se,
dunque, la vita stessa può essere oscena, la sua rappresentazione,
l'arte, è pornografia (1).
Come
non considerare oscene certe incisioni di Albrecht Durer (2) e
pornografici quasi tutti i dipinti di Bosch (3), alcune opere
di Courbet (4) e le sculture di Rodin (5)?
E
possiamo aggiungere alla serie anche Tropico del Cancro,
un romanzo che già alla sua uscita nel 1934 fu considerato
scandaloso e osceno e, secondo me, della pornografia più sublime.
Henry
Miller è scrittore a me congeniale, perchè è il fratello
gemello di Celine, partoriti entrambi da quella gran madre e
gran bagascia che è Parigi.
“Parigi
è come una puttana. Da lontano pare incantevole, non vedi l'ora di
averla fra le braccia. E cinque minuti dopo ti senti vuoto, schifato
di te stesso. Ti senti truffato.”
In
Tropico si è subito sommersi da una narrazione fluente
e torrenziale, la lettura a volte è ardua perchè il flow
narrativo è in presa diretta da molteplici e multiformi punti di
vista. Ma una volta entrati nell'universo dello scrittore americano e
carpita la chiave di lettura, il romanzo decolla.
“Uomini
e donne arrivano insieme come branchi d'avvoltoi su una carcassa
fetente, si accoppiano e subito volano via. Avvoltoi che piombano dal
cielo come pietre pesanti. Artiglio e becco, questo siamo! Un enorme
apparato intestinale che fiuta la carne morta.”
E...
“L'Europa è satura d'arte e i suoi musei stracolmi di
tesori, ma la sua terra è piena di morte e ossa” (6).
Ecco
la chiave.
Miller,
uomo in fuga dal Nuovo mondo, descrive una doppia decadenza:
la carcassa della civiltà occidentale (europea) in orrida
decomposizione, e la caduta degli uomini, che segue di poco quella
degli dei.
Siamo
sfiniti, annoiati, logori come genere (umano). Sorpassati. Antichi.
Presto, qualche altra specie prenderà il nostro posto sul podio.
“L'arte
sta nell'andare fino in fondo, se cominci con i tamburi, devi finire
con il tritolo”. Allora andiamo fino in fondo a cercare la
verità.
“Soltanto
coloro i quali lasciano entrare la luce nelle proprie viscere
riescono a tradurre quel che c'è nel cuore”.
E
mostrare tutto, ma proprio tutto.
“Un
giorno scriverò un libro su di me, sui miei pensieri. Non voglio
dire un saggio di analisi introspettiva... Voglio dire che mi
stenderò sul tavolo operatorio, e metterò in mostra le budella...
ogni cosa, accidenti.”
Questa
è pornografia!
“E
ora guardate quel nudo lassù... Andava bene, finchè non si è messa
a disegnare la fica. Chissà a cosa pensava, ma l'ha fatta così
grossa che le ci è scivolato dentro il pennello e non è più
riuscita a tirarlo fuori.”
E
ancora...
“Per
mostrarci come dev'essere un nudo tira fuori una grossa tela ultimata
da lui di recente. Rappresentava lei, splendido esempio di vendetta
ispirato dalla coscienza sporca. L'opera di un pazzo: cattiva,
meschina, maligna, brillante. Ti dava l'impressione che lui l'avesse
spiata dal buco della chiave, che l'avesse colta in un momento di
distrazione, mentre sovrappensiero si toccava il naso, o si grattava
il culo. Sedeva sul sofà di crine di cavallo, in una stanza senza
ventilazione, in una stanza enorme senza finestre; poteva anche
essere il lobo anteriore della ghiandola pineale. Dietro di lei la
scala a zigzag che portava alla balconata; coperta da un tappeto
verde-bile, un verde come quello che può sortire da un mondo
scoppiato.
Ma
la cosa di maggior rilievo erano le natiche, asimmetriche e piene di
croste; pareva che stesse sollevando il culo dal sofà per mollare
una grossa scoreggia. Il volto era idealizzato: appariva dolce e
virgineo, puro come una pasticca per la tosse. Ma il petto era
esteso, gonfio come di gas di fogna; pareva nuotare in un mare
mestruale, un feto ingigantito con lo sguardo ottuso, sciropposo di
un angelo.”
Bellezza
non bellezza, oscenità pornografiche, il gusto dell'orrido che può
essere soddisfatto soltanto attraverso una curiosità disarmante e
morbosa.
E il
protagonista del tutto accidentale, una semplice comparsa estratta a
caso dalla lista degli attori principali, non subisce il
trattamento-Kurtz (7) - eppure Cuore di tenebra
riecheggia nei vicoli parigini e si riflette in quel fiume scuro e
profondo come la notte -, chiamato, lui malgrado, a raccontare in
prima persona la caduta agli inferi.
Ma ci
salvano, qua e là, piccoli acquerelli, appena abbozzati, deboli
sprazzi di luce presto inghiottiti dal buio, che dipingono la
disperazione come grandiosi affreschi.
“Nel
chiaro scabro delle luci, la piccola puttana con la gamba di legno e
dietro lei il vicolo buio, spalancato come l'inferno.”
E...
fuochi d'artificio!
“In
vita mia non ho mai guardato una fica con tanta serietà. Quasi che
non ne avessi mai vista un'altra prima. E quanto più la guardavo,
tanto meno mi diventava interessante. Basti questo a dimostrarti che
non c'è proprio dentro nulla, specialmente quando l'hai rasata. E'
il pelo che te la rende misteriosa. Ecco perchè una statua ti lascia
freddo.
T'infiammi
tutto per niente... per un cretto col pelo sopra, o magari senza
pelo. E' così completamente privo di senso che provavo una specie di
fascino a guardarlo. Credo di averlo studiato per dieci minuti, anche
di più.
Tutto
questo mistero del sesso, e poi ti accorgi che è nulla, un buco e
basta. Non sarebbe divertente trovarci dentro un'armonica... oppure
un calendario?”
Nel
finale ritorna Celine,
nelle strane vesti di un americano a Parigi (8).
“Il
sole tramonta. Sento questo fiume che scorre dentro di me, il suo
passato, la terra antica, il clima mutevole. Le colline gli fanno
dolce corona: il suo corso è stabilito.”
(Nota
di chiusura) “It doesn't matter if we all die” (Non
importa se moriamo tutti), cantava Robert Smith in One
hundred years, canzone di Pornograpy (1982),
quarto album dei The Cure. Io preferisco The hanging
garden,
stessa vena poetica e disperata, ma al quadrato.
Pornography è un disco che sprofonda nella malinconia
e nel nichilismo, suoni, scarni e nervosi, venati di rabbia, su cui
si arrampica la voce quasi afona di Smith. Le canzoni sono
inni all'annientamento e al rifiuto della vita. Che è pornografia.
Appunto.
(1) Ma non è vero
il contrario. La pornografia non è arte.
(2) Cristo
alla colonna, per esempio.
(3)
Hyeronimus Bosch, pittore fiammingo vissuto a cavallo fra il
XVI e il XV secolo. Date un'occhiata a Il giardino delle
delizie, L'inferno musicale (nel quale gli
strumenti musicali perdono la loro funzione originaria e diventano
altro, ad esempio, strumenti di tortura), I sette peccati
capitali.
(4)
Gustave Courbet, pittore impressionista. Su L'origine du
monde avevo già avuto modo di scrivere:
http://angelo-medici.blogspot.it/2013/07/lorigine-du-monde_9.html
(5)
L'idolo eterno, Un sospiro sensuale,
Iris, messagére des dieux e Donna accovacciata,
ad esempio.
(6)
Kenneth Clark, storico dell'arte.
(7)
Trattamento-Kurtz, bel modo di disegnare il
protagonista di un romanzo, mai in presa diretta, mai dentro
l'inquadratura, ma soltanto attraverso le voci altrui e in nessun
caso mostrarlo realmente. L'uno e l'altro Kurtz,
il protagonista di Cuore di tenebra, scritto da
Joseph Conrad nel 1899 (titolo originale, Heart of
darkness) e di quell'altro capolavoro che è Apocalypse
Now, girato da Francis Ford Coppola nel 1979. Da
allora, per quanto mi riguarda, Kurtz ha la faccia di Marlon
Brando.
(8)
“Lontano, il rimorchiatore ha fischiato; il suo richiamo ha
passato il ponte, ancora un'arcata, un'altra, la chiusa, un altro
ponte, lontano, più lontano... Chiamava a sé tutte le chiatte del
fiume tutte, e la città intera, e il cielo e la campagna, e noi,
tutto si portava via, anche la Senna, tutto, che non se ne parli
più.” (Viaggio al termine della notte,
Louis-Ferdinand Cèline, 1932).
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