giovedì 29 maggio 2014

Amare l'Italia. Un sogno ancora possibile?


Qualche tempo fa, in un post intitolato “Italiani brava gente?” intraprendevo un’analisi (auto)critica (auto, perché sono italiano anch’io) sulle nostre peculiarità di popolo immaturo, disordinato e fantasioso, ma, a volte, crudele.

Oggi, voglio ospitare gli aforismi e i contributi di alcuni scrittori indipendenti e di giornalisti, più o meno famosi.

E non sarò imparziale, le loro frasi sono tutte a favore dell’Italia e degli Italiani e proiettano una luce di speranza sulla nostra Patria.

Ogni tanto ce lo meritiamo, o no?

Allora, perché amare l’Italia?

1)      Per i profumi, i colori e i sapori del Sud (Maurizio Ferrera)

2)      Per il Servizio sanitario nazionale. Ci fa sentire cittadini (Maurizio Ferrera)

3)      Perché gli americani vanno in analisi, noi ci sediamo a cena con i figli (Beppe Severgnini)

4)      Per la lingua italiana. Musicalità e sfumature che l’inglese nemmeno s’immagina (Maurizio Ferrera)

5)      Perché parliamo in inglese, soprattutto quando parliamo italiano (Beppe Severgnini)

6)      Perché in ogni laboratorio del mondo c’è un computer, una pianta e un italiano (Beppe Severgnini)

7)      Per le feste di paese (Edoardo Segantini)

8)      Perché abbiamo insegnato a mangiare al mondo (Beppe Severgnini)

9)      Per l’odore di sugo la domenica mattina (Edoardo Segantini)

10)  Perché abbiamo cappuccinizzato il pianeta e in Italia un caffè non si nega a nessuno (Beppe Severgnini)

11)  Per le sfogliatelle napoletane (Paolo Conti)

12)  Perché siamo geniali. Nessuno è altrettanto bravo a trasformare una crisi in una festa (Beppe Severgnini)

13)  Perché abbiamo gusto. Sappiamo istintivamente che cos’è bello, originale e genuino (Beppe Severgnini)

14)  Perché, talvolta, anteponiamo l’estetica all’etica. E’ sbagliato, ma resta comunque uno spettacolo (Beppe Severgnini)

15)  Per Roma e i Fori imperiali visti dalla terrazza del Vittoriano (Gianna Fregonara)

16)  Per le Alpi viste dalla Pianura Padana (Gianna Fregonara)

N.B. Io le guardo tutti i giorni e vi assicuro che è vero.

17) Perché a Memphis ci copiano il caffè, ma noi a Melfi gli facciamo le Jeep (Beppe Severgnini)

18) Per la famiglia, sposarsi e fare dei figli e soprattutto restare uniti (Orsola Riva)

19) Perché siamo attirati dalle eccezioni e ci dimentichiamo delle regole (Beppe Severgnini) Scusa Beppe, l’ho un po’ modificata, ma così fila meglio.

20) Per il cinema di Fellini, tra il sogno e la malinconia (Giangiacomo Schiavi)

21) Perché in Sicilia la linea più breve tra due punti è un arabesco (Beppe Severgnini, ma pare che sia di Ennio Flaiano)

22) Perché il traghetto verso Olbia è un viaggio al termine della notte (Beppe Severgnini, ma ancora un rimando, stavolta a Celine)

23) Perché negli aeroporti all’alba sembriamo una nazione ordinata (Beppe Severgnini)

24) Perché gli italiani hanno saputo dipingere, scolpire, raccontare, cantare, recitare, arredare e vestire la vita (Beppe Severgnini)

25) Perché abbiamo scoperto l’America per caso (Beppe Severgnini)

26) Per il Brunello di Montalcino (Simona Ravizza) VERO VERO!

27) Perché abbiamo inventato la pizza, la Vespa, la Fiat 500, la Olivetti Lettera 22 e la giacca da donna. Quando facciamo le cose semplici, non ci batte nessuno. (Beppe Severgnini)

28) Per il patriottismo mite di un Paese in guerra con nessuno (Gian Antonio Stella)

29) Perché sappiamo pensare con le mani (Beppe Severgnini)

30) Per la Nutella (Maria Luisa Villa)

31) Perché ogni tanto rovesciamo la bandiera (Rosso a sinistra) (Beppe Severgnini) Aggiungo io, rosso a sinistra? E’ proprio dove dovrebbe essere!

32) Per il Tricolore (Maria Luisa Villa)

33) Perché sono italiano e non vorrei essere nient’altro (Angelo Medici)

 

Bè quanti sono, trentatrè motivi? E vi pare poco?

Allora, RIALZATI ITALIA!

giovedì 22 maggio 2014

Figli di Caino


 

Un breve commento a L’infinito nel palmo della mano, romanzo breve di Gioconda Belli, scrittrice nicaraguense di origine italiana. Il titolo è tratto da una bellissima, intensa poesia di William Blake.

Per vedere il mondo in un granello di sabbia

E il paradiso in un fiore selvatico

Tieni l’infinito nel palmo della mano

E l’eternità in un’ora

Il romanzo è la storia rivista e corretta, sul piano letterario, dei nostri progenitori, Adamo ed Eva. L’autrice c’induce a porci molte domande. Il peccato era inevitabile? Potevamo restare per sempre nel Giardino dell’Eden?

Chiunque altro fosse stato al posto loro, avrebbe colto e mangiato il frutto proibito. Chiunque, dico, perché uscire dal Paradiso terrestre e entrare nella Storia e conquistare la Conoscenza era il nostro destino. Perdere l’Eden era scritto nel nostro DNA. Il peccato originale era ineluttabile, la condizione posta da una divinità annoiata dall’eternità per avventurarsi nel mondo e, attraverso il gesto proibito di Eva, dare inizio alla Storia.

Noi sappiamo poco della discendenza di Adamo ed Eva. Certo, conosciamo Caino e Abele, come ce li hanno tramandati le Sacre Scritture, ma l’autrice, attraverso le sue ricerche personali, attribuisce loro una discendenza più ampia. Oltre ai figli maschi, v’erano due femmine, Luluwa e Aklia, la prima destinata in moglie ad Abele e la seconda a Caino.

Dunque, l’incesto è alla base della razza umana? Se non ci fossimo riprodotti tra consanguinei, costretti dalla circostanza di essere pochi, ci saremo estinti. Non lo fanno, forse, anche gli animali? Ciò che ci distingue da essi è la conoscenza, la consapevolezza del se, il sapere di esistere. Forse, quando è nata la nostra coscienza di essere creature altre, tutt’affatto diverse dagli animali, l’incesto è stato considerato un atto orripilante.

Tuttavia, le decisioni dei genitori non hanno seguito. Caino ama Luluwa e ne è ricambiato, mentre Aklia è sempre più attratta dalle scimmie antropomorfe. E Abele cade, sotto la mano del fratello, in una pozza di sangue.

Luluwa e Caino abbandonano i genitori e vanno per il mondo, mano nella mano, mentre Aklia corona finalmente il suo sogno di tornare al mondo ancestrale, primitivo, selvaggio delle scimmie con le quali siamo, con tutta evidenza, fortemente imparentati.

Non c’è nulla da fare, siamo discendenti di Caino, i figli dell’incesto, la generazione del male.

Secondo la versione di Gèrard de Nerval (La Regina di Saba), da Caino e Luluwa nascono i Figli del Fango, mentre dall’unione di Aklia e Seth, terzo figlio di Adamo ed Eva, nato dopo la morte di Abele, i Figli del Fuoco. Seth è anche il dio del caos nella mitologia egizia e forse, simboleggia l’elemento ferino, animalesco della psiche umana. Le due discendenze popolano il mondo. Ai Figli del Fango spetterà la ricchezza, il potere e la saggezza, ai Figli del Fuoco la tecnologia e l’arte, ma anche la fatica, la miseria e la solitudine.

Verso la fine, tuttavia, l’esposizione cala di tensione narrativa. La scena dell’addio tra Eva e la figlia Aklia, che torna a vivere tra le scimmie, si stinge e quasi si confonde nella vegetazione lussureggiante al crepuscolo. “Non dimenticarmi” le dice Eva, accarezzandola per l’ultima volta, per ricordarle chi era e chi è.
Ma il finale un po’ opaco nulla toglie alla magia della storia, al fascino e alla meraviglia di un racconto, la Storia delle Storie, che ha dato origine al viaggio dell’Umanità attraverso il tempo e lo spazio, un viaggio che ancora non è terminato.