Un breve commento a L’infinito nel palmo della mano,
romanzo breve di Gioconda Belli,
scrittrice nicaraguense di origine italiana. Il titolo è tratto da una
bellissima, intensa poesia di William
Blake.
Per
vedere il mondo in un granello di sabbia
E
il paradiso in un fiore selvatico
Tieni
l’infinito nel palmo della mano
E
l’eternità in un’ora
Il romanzo è la storia rivista e
corretta, sul piano letterario, dei nostri progenitori, Adamo ed Eva. L’autrice c’induce a porci molte domande. Il peccato
era inevitabile? Potevamo restare per sempre nel Giardino dell’Eden?
Chiunque altro fosse stato al posto
loro, avrebbe colto e mangiato il frutto proibito. Chiunque, dico, perché
uscire dal Paradiso terrestre e entrare
nella Storia e conquistare la Conoscenza era il nostro destino.
Perdere l’Eden era scritto nel
nostro DNA. Il peccato originale era
ineluttabile, la condizione posta da una divinità annoiata dall’eternità per
avventurarsi nel mondo e, attraverso il gesto proibito di Eva, dare inizio alla Storia.
Noi sappiamo poco della discendenza di Adamo ed Eva. Certo, conosciamo Caino e Abele, come ce li hanno tramandati le Sacre Scritture, ma
l’autrice, attraverso le sue ricerche personali, attribuisce loro una
discendenza più ampia. Oltre ai figli maschi, v’erano due femmine, Luluwa e Aklia, la prima destinata in moglie ad Abele e la seconda a Caino.
Dunque, l’incesto è alla base della
razza umana? Se non ci fossimo riprodotti tra consanguinei, costretti dalla
circostanza di essere pochi, ci saremo estinti. Non lo fanno, forse, anche gli
animali? Ciò che ci distingue da essi è la conoscenza, la consapevolezza del
se, il sapere di esistere. Forse, quando è nata la nostra coscienza di essere
creature altre, tutt’affatto diverse dagli animali, l’incesto è stato
considerato un atto orripilante.
Tuttavia, le decisioni dei genitori non
hanno seguito. Caino ama Luluwa e ne è ricambiato, mentre Aklia è sempre più attratta
dalle scimmie antropomorfe. E Abele cade, sotto la mano del fratello, in una
pozza di sangue.
Luluwa e Caino abbandonano i genitori e
vanno per il mondo, mano nella mano, mentre Aklia corona finalmente il suo
sogno di tornare al mondo ancestrale, primitivo, selvaggio delle scimmie con le
quali siamo, con tutta evidenza, fortemente imparentati.
Non c’è nulla da fare, siamo discendenti
di Caino, i figli dell’incesto, la generazione del male.
Secondo la versione di Gèrard de Nerval (La Regina di Saba), da Caino e Luluwa nascono i Figli del Fango, mentre dall’unione di Aklia e Seth, terzo figlio di Adamo ed
Eva, nato dopo la morte di Abele, i Figli
del Fuoco. Seth è anche il dio del
caos nella mitologia egizia e forse, simboleggia l’elemento ferino,
animalesco della psiche umana. Le due discendenze popolano il mondo. Ai Figli
del Fango spetterà la ricchezza, il potere e la saggezza, ai Figli del Fuoco la
tecnologia e l’arte, ma anche la fatica, la miseria e la solitudine.
Verso la fine, tuttavia, l’esposizione
cala di tensione narrativa. La scena dell’addio tra Eva e la figlia Aklia, che
torna a vivere tra le scimmie, si stinge e quasi si confonde nella vegetazione
lussureggiante al crepuscolo. “Non dimenticarmi” le dice Eva,
accarezzandola per l’ultima volta, per ricordarle chi era e chi è.
Ma il
finale un po’ opaco nulla toglie alla magia della storia, al fascino e alla
meraviglia di un racconto, la Storia
delle Storie, che ha dato origine al viaggio dell’Umanità attraverso il
tempo e lo spazio, un viaggio che ancora non è terminato.
Nessun commento:
Posta un commento