domenica 24 luglio 2016

15. Parlami ancora




La vita è un viaggio, nell’inverno e nella notte. E' cercare un passaggio attraverso il cielo buio, dove nulla riluce. Ma ci vuole niente ad attraversarlo. Basta chiudere gli occhi per ritrovarsi dall’altra parte. La vita è un vaso troppo piccolo da colmare. E l’arte è troppo grande per essere contenuta in quel vaso, brucia in petto, ruba il respiro, stermina la vita.

Annienta.

E’ troppo vasta per il vaso desolatamente vuoto di una sola anima. Così, ogni respiro diventa inutile. Ogni respiro avvicina alla morte, fino a che non sarà l’ultimo.

Allora l’arte se ne resterà compunta e incompleta, immobile ai piedi del catafalco, a contemplare il corpo rigido e freddo, a compatire il morto stecchito, a compiangere il cadavere scorticato. Sarà lì a capo del letto, a farsi beffe di un guscio vuoto, di uno straccio senz’anima, che era una volta un uomo, precipitato da basso, nel tripudio dei vermi.

Antonio osserva.

Niente di nuovo all’orizzonte. Calma piatta sul meridiano zero. Nessun suono da spezzare, nessuno spazio da attraversare, nessun tempo da collassare, nessun momento di chiarezza. Antonio è rabbia impotente, inutile.

Antonio è rabbia liquida.

Antonio è un nulla in mezzo al niente.

Antonio è meno di zero, meno dell’odio che respira, o poco più del dolore che prova.

Antonio pensa.

Nella sua vita obbedisce a riflessi condizionati, come una scimmia ammaestrata. Parla a comando e corre e saltella se tu vuoi. Antonio è un cane che schiuma di rabbia, legato alla catena di simboli e metafore. Dagli un osso e farà un altro giro alla catena. Solo per te. Girerà tante volte che la catena si accorcerà e correrà il rischio di soffocare.

Parlagli.

La tua voce lo calmerà e ti leccherà le mani, oppure le morderà. A te il rischio.

Bastonalo pure. La sua bocca non emetterà più vani strepiti di ribellione e se ti si rivolta contro, puniscilo. Ancora e ancora. Tanto vale meno di uno sputo, meno del suo silenzio.

Antonio pensa.

Le parole difficili hanno la curiosa abitudine di infilarsi nella bocca di persone da niente, le convincono di essere importanti. Ma ti prego, risparmiagli almeno questo strazio.

Vorrei non averti mai incontrata, sussurra. Mi sarei risparmiato gli oceani incolmabili delle tue depressioni, chilometri e chilometri di filo spinato delle tue assurde pretese.

Antonio svolge distratto il suo akshamala (1). I grani scorrono lentamente fra le sue dita, uno a uno. Così lentamente che sembra l’eternità. Centootto semi, centootto nomi di Dio, centootto demoni, centootto vite, centootto peccati, centootto modi per morire.

Risparmiami questo strazio, chiede. Ma ti prego parlami. Perché non ti sento più? Perché non odo più la tua voce?

Parlami ora. Parlami ancora, supplica, parlami di fredde distanze, di tetre stanze.

(1) Rosario buddista.


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sabato 16 luglio 2016

Una strana forma di giardinaggio


Cari amici veneti (eccetto quelli che abitano sul lago di Garda),

lo sapete voi quanto vive un ulivo, l'albero simbolo del Mediterraneo? Se non lo sapete ve lo dico io. Un albero di ulivo può campare tranquillamente fino a 600-800 anni, dopo di che comincia a riprodursi per talea, cioè, per dirla semplice semplice, dalle sue membra arboree nascono nuovi esemplari. Non per niente si dice che gli ulivi camminano. Da un albero capostipite può generarsi un intero uliveto e occupare una collina. E in questo modo un ulivo può vivere per altri 200 anni; diciamo 1000 anni in tutto, più o meno.

E allora perchè piantate ulivi nei vostri giardini? Avete capito che razza di responsabilità vi assumete? Siete disposti, voi e le vostre generazioni, a occuparvene per i prossimi mille anni? E soprattutto, lo sapete o no, che non è una pianta ornamentale? Con dieci ulivi si sfama una famiglia, e voi volete farvi ombra sul bordo delle vostre piscine? Piantare un ulivo in un metro quadro vuol dire condannare a morte lui e la sua generazione, che non avrà spazio per crescere e prosperare.

Per piacere, se proprio volete darvi al giardinaggio, piantate un cactus.


venerdì 15 luglio 2016

Monologo instabile


Non era mai stato così emotivamente instabile.

A volte aveva la sensazione di aver toccato il fondo, altre di essere condannato a precipitare per sempre in un pozzo senza fondo. Ogni approccio di dialogo, ogni tentativo di gettare una testa di ponte dall'altra parte finiva in fraintendimenti e barricate, muri su muri di dolore, solitudine e disperazione. Era devastato dal desiderio, che gli macerava il corpo e l'anima in una piaga ripugnante.

Non coltivava nemmeno più il passatempo della speranza, infida e perversa, o l'hobby dell'attesa di una puntuale, nuova delusione. No future era diventato un ideogramma, il suo preferito. L'aveva ben stampato nei suoi circuiti neuronali e per sua causa aveva smesso da tempo di sorprendersi, con sincera meraviglia e convinto stupore, delle sue alterazioni comportamentali.

Odiava il modo in cui era fatto, quel suo modo patetico e disperato di sopravvivere un giorno dopo l'altro. Disprezzava sé stesso, la sua vita e quella degli altri. Non aveva fatto altro, in tutta la sua esistenza, che decidere quale errore commettere.

Un compromesso fra Chaos e Cosmòs non sarebbe stato realizzabile e mai si sarebbe realizzato. Ma di questo si convinse quando già era troppo tardi. Ogni possibilità era negata in partenza, ogni intreccio minato da cariche esplosive di egoismo. Il resto fu rivelato.

E il suo sguardo divenne gelido.

Ma era giunto il tempo di guardare altrove, possibilmente senza spezzarsi il cuore, con l'unica certezza che sarebbe stato, come sempre, tutto a sue spese.

Come fare? Un colpo secco e atroce, o era forse preferibile un lento deperire nel silenzio?

Avrebbe coperto le ombre della sua solitudine, con un ombra più grande che pesava quanto il suo cuore, cercato un sentiero ancora vergine di passi e quando l'avrebbe trovato, si sarebbe preoccupato di nascondere accuratamente le sue tracce per evitare che qualcuno lo seguisse.

Il giorno si sta accecando, da qualche parte il cielo è forato e perde luce. Presto scenderà la sera, arriverà su un cocchio trainato da neri incubi. Lo condurrà una donna, bellissima, dal volto soave come una madonna, e impugnerà la pistola.

Sarà la fine.

E avrà i suoi occhi.

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