lunedì 24 marzo 2014

Ancora sull'indipendenza del Veneto



Credevo che i Veneti fossero intelligenti, almeno è quello che mi auguravo nel precedente post Indipendenza veneta?. Evidentemente mi sbagliavo. Al referendum per l’indipendenza del Veneto – a questo punto, è meglio chiamarlo per quello che è, un sondaggio on line, con meccanismi non molto diversi da una ricerca di mercato – hanno partecipato 2.360.235 votanti, il 73% della popolazione veneta (strano, a me non sono arrivati i codici per votare, nonostante siano quindici anni che abito in Veneto. Agli stranieri dopo dieci anni di residenza danno la cittadinanza italiana!), l’89% di chi ha votato si è espresso a favore del distacco del Veneto dall’Italia, mentre solo il 10,9% ha detto no (fonte ANSA). Ben 2.102.969 veneti, più della metà della popolazione, hanno detto di volere il Veneto, stato autonomo e indipendente.

Ma la consultazione on line prevedeva anche altre domande e le risposte ottenute, credo, siano molto interessanti. Dopo aver risposto al primo quesito sull’indipendenza, si passava al quesito se il Veneto, una volta divenuto autonomo, dovesse restare nell’Unione europea, nell’area euro e nella Nato. Ebbene, a queste domande, seppure con percentuali diverse, più della metà dei veneti ha risposto si (fonte Il Gazzettino).

Dunque, i Veneti vogliono uno Stato indipendente, membro dell’Unione europea e della NATO, senza abbandonare l’euro. Ebbene, se queste sono le premesse del nuovo Stato, credo che si intravedano già le tracce della sua dissoluzione.

Senza dilungarmi troppo, riprendo alcuni passaggi del mio post precedente, sulle conseguenze di una secessione della regione veneta.

Punto primo. Il Veneto autonomo rispetto all’Italia e al resto del Nord, soprattutto oggi, non è più la poderosa forza economico – produttiva degli anni passati e, restando in Europa e nell’area euro, dovrebbe sottostare al patto di stabilità, ai vincoli di spesa pubblica e alle politiche monetarie della Banca centrale europea.

Punto secondo. Altre regioni o aree territoriali potrebbero seguire l’esempio del Veneto. L’Italia si dissolverebbe, si scioglierebbe come neve al sole. Anche il Mezzogiorno conquisterebbe l’indipendenza, ma a differenza del Veneto, non avrebbe la forza economica per stare in Europa. Quindi, tornerebbe a battere moneta propria, fortemente svalutata rispetto all’euro e vedrebbe incrementare in misura esponenziale le esportazioni, ma anche il consumo interno, se imponesse dazi doganali ai prodotti in arrivo da altre Regioni, ormai Stati indipendenti, come il Veneto. Quindi, il Veneto continuerebbe ad avere le mani legate dai vincoli dell’Unione europea, dalla Banca Centrale Europea e dovrebbe moltiplicare i sacrifici per continuare a stare nell’euro, senza poter più commerciare con il resto d’Italia.

Punto terzo. Niente più trasferimenti erariali, infrastrutture, fondi e contributi dallo Stato centrale che, checchè se ne dica, sono abbastanza consistenti. In ogni caso, ne riceve più di molte regioni meridionali. Il Veneto se la dovrebbe cavare con le proprie gambe. E dubito che ce la farebbe.

Punto quarto. Sorpresa! Il resto d’Italia non sentirà la vostra mancanza. Che sollievo! Non sentiremo più parlare di Liga veneta, Indipendentisti veneti, Polisia veneta, campanili assaltati. Non vedremo più in giro alcuni patetici personaggi, non sentiremo più strampalate teorie separatiste. Avrete il Veneto e ve lo terrete. Ma non sarà più come prima, sarà molto più dura. Allenatevi a pedalare!

Punto quinto. Di sicuro, una volta ottenuta l’indipendenza, caccerete gli stranieri non comunitari (quelli comunitari, mi dispiace, ma dovrete tenerveli se vorrete stare nella UE), poi noi meridionali (quei pochi che non se ne saranno già andati prima). Quando avrete esaurito la gente da sbattere fuori, è plausibile che vi farete guerra tra voi, Veneziani contro Padovani, Veronesi contro Veneziani, riprendendo abitudini secolari e magari, non contenti, vi farete guerra quartiere contro quartiere, strada contro strada, condominio contro condominio.

Io credo che finirete per rimpiangere i vecchi tempi della Repubblica Italiana e implorerete di tornare in Italia, supplicando una confederazione, un’associazione o poco più!

Ma torniamo al referendum, o sondaggio, se preferite. Al di là delle cifre, delle statistiche e dell’inesistenza sul piano giuridico della consultazione, provo una grande tristezza per il fatto che si possa solo concepire l’idea di indire un referendum separatista.

Un’idea del genere si fonda sull’odio, sull’intolleranza verso ogni forma di diversità, sul segregazionismo, sulla determinazione, cioè, di volersi tenere separati e lontani da tutti quelli che non la pensano come noi, che non agiscono come noi, che non sono come noi.

Il mondo è bello perché è vario. Il mondo è bello perché un artista di nome Dio l’ha ritratto in milioni di colori. Ridurlo a soli due colori, il bianco e il nero, cancellando tutti gli altri, o, peggio, fonderli in un triste e indefinito grigio, vuol dire privarsi della bellezza, fare a meno dello splendore, vuol dire castrarsi con le proprie mani.

Oggi la mia tristezza è profonda, la mia mestizia è a livelli siderali.

Ma, un altro sentimento si sta facendo strada in me, un’emozione primitiva, facile, a buon mercato. Quei 2.102.969 veneti che hanno risposto il si dell’odio alla domanda dell’odio mi fanno rabbia. Allo stesso modo, mi sento vicino a quei 257.756 veneti che hanno risposto con il no dell’amore alla stessa domanda. Purtroppo sono pochi, sono molto pochi.

E così, se prevale l’odio dei 2.102.969, sull’amore dei 257.756, prevale anche il mio. Non poteva essere diversamente. Odio genera odio.

A quei due milioni e rotti ogni italiano vorrebbe dire: andate pure, quella è la porta, andate a quel paese, il vostro e non ne uscite più.

E neppure io voglio avere più nulla a che fare con voi, tronco ogni rapporto, mi limiterò a prendere quello che mi serve: donne e denaro, di tutto il resto non m’importa, tenetevelo pure.

Ammesso che lo abbiate.


giovedì 20 marzo 2014

Indipendenza veneta?


 

In questi giorni si sta svolgendo il referendum per l’indipendenza veneta. E’ stato enfatizzato molto, anche sulla stampa estera. Ma, prima di interrogarci sulla validità giuridica di tale consultazione, voglio interrogarmi sui suoi riflessi morali.

Ho avuto tanto dal Veneto, lo ammetto, ma ho anche dato tanto, non risparmiandomi, cercando di contribuire allo sviluppo di questa regione e, soprattutto, seguendo i principi romani della giustizia: neminem laedere, suum cuique tribuere, honeste vivere.

Ho cercato, però, anche di far capire, nel mio piccolo, con chiunque parlassi, ovunque mi trovassi, che non di solo pane vive l’uomo, che non solo di schei abbiamo bisogno. Credo che il Veneto sia molto peggiorato da quando sono arrivato, ormai, quindici anni fa e non mi fa piacere ammetterlo. Il materialismo, la deriva etica, l’esasperazione dell’individualismo, un po’ per naturale predisposizione, un po’ per la crisi economica, credo che qui abbiano trovato terreno molto fertile e abbiano fatto ricco bottino di teste e di cuori.

Non so cosa mi succede, ma fino a qualche anno fa ero fiducioso, speranzoso, ottimista. Oggi non lo sono più, qualcosa è cambiato. Non ho più voglia di confrontarmi con l’altro veneto, sapendo già a fortiori che m’imbatterò nell’ennesima delusione. Non per questo diventerò misantropo, giammai misogino.

Tra uomini e donne venete preferisco quest’ultime, non solo per ovvi motivi, ma anche per la maggiore apertura mentale che ho riscontrato in loro. In passato, avevo letto di studiosi del comportamento umano che sostenevano la tesi secondo la quale noi uomini siamo dotati di intelligenza in linea retta, passiamo cioè velocemente dall’idea alla sua realizzazione, saltando ostacoli e biforcazioni del pensiero e questo ci è stato utilissimo per la caccia e per la guerra. Meno per i rapporti sociali. Ma secondo questa teoria, le donne si differenziano da noi, oltre che per le caratteristiche bio-somatiche, anche per la diversa morfologia del pensiero, tanto che gli studiosi parlano di intelligenza circolare. I pensieri delle donne fluttuano in circolo, esse soppesano e valutano ogni elemento, oggetto, persona che le circonda, senza scartarne uno. E questo, credo, sia fondamentale nello sviluppare relazioni sociali.

Questa dicotomia delle metodologie di pensiero, oltre che essere un retaggio, spiegano gli scienziati, della vita nelle caverne, quando gli uomini si dedicavano alla caccia e le donne alla raccolta, si riflette sulle maggiori o minori attitudini degli uni e delle altre verso la vita di relazione.

Ma torniamo a me. Se in passato ho dato molto e cercato di utilizzare quel poco di tempo libero di cui dispongo per cercare di migliorare le mie relazioni qui in Veneto, oggi sento di non avere più nulla da dare. Qualcosa si è rotto. Definitivamente.

Questo referendum ha dato il colpo di grazia.

Cari Veneti, io non vi capisco. Non capisco i vostri atteggiamenti, il distacco, la freddezza, l’arroganza, l’indifferenza. I pregiudizi e l’odio verso il Meridione. Non vi capisco quando parlate il vostro dialetto, non vi capisco neppure se parlate italiano. Non è la lingua a dividerci.

Ho sempre detto, scherzando, che tra me e il Veneto ce n’è uno di troppo e quello di troppo sono decisamente io. E’ uno scherzo che si sta definitivamente trasformando in realtà.

Se potessi, me ne andrei da un’altra parte, in qualsiasi altro luogo ci sia da rimboccarsi le maniche e costruire e darsi da fare, purchè il mio sudore e le mie lacrime non cadano inutili sulla piatta desolazione di terre sterili.

In questi giorni penso spesso al fatto che, pur avendo avuto la possibilità di andare a lavorare all’estero, in Francia, per la precisione, ho preferito restare in Italia, sia pure in una regione del ricco Nordest, ma nutro il forte dubbio di aver commesso una sciocchezza. Il trauma dell’espatrio sarebbe stato certo uguale, ma la sensazione di sentirmi straniero in una nazione straniera sarebbe del tutto normale e forse mi ci sarei rassegnato, nella stessa misura in cui non mi rassegno al fatto di sentirmi straniero in terra italiana.

Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale” faceva dire Dante Alighieri al suo trisavolo Cacciaguida nel Canto Decimosettimo del Paradiso e, se glielo aveva fatto dire lui, come una sorta di premonizione dell’esilio che avrebbe provato sulla sua stessa pelle, dobbiamo credergli.

Ma ora, permettetemi una progressione filosofico – morale – giuridica sulla secessione e sull’indipendenza. E se estremizzo un pò i concetti, se porto gli assunti alle estreme conseguenze, non è per il gusto di esagerare, ma per renderli maggiormente comprensibili.

L’art. 1 dello Statuto della Lega Nord – Liga Veneta stabilisce che la finalità del partito è “il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”. Praticamente, il distacco del Nord dall’Italia, compreso il Veneto, per crearne uno stato autonomo a tutti gli effetti, perché altrimenti, non si spiega perché dall’estero dovrebbero riconoscerla come “Repubblica federale indipendente e sovrana”, quando, invece, il rapporto stato federale – stato federato, sancito dalle costituzioni degli stati che hanno, davvero, forma federale (Germania, Stati Uniti, Messico, perfino la Nigeria), non è di indipendenza e sovranità del secondo rispetto al primo, ma è fatto di distinti ruoli e competenze dello stato centrale e dello stato federato e di obblighi reciproci dell’uno verso l’altro.

 

Quindi, che sia chiaro, questi vogliono andarsene dall’Italia e l’hanno messo nero su bianco.

 

Ma il problema non finisce qui; occorre, infatti, fare i conti con la Costituzione della Repubblica Italiana che, pur riconoscendo ampi spazi di autonomia alle regioni, alle province e ai comuni, tuttavia, federale non è. E già, la nostra tanto chiacchierata Costituzione, il testo sacro, la grundnorm (pietra fondamentale) dello Stato, dice solennemente che la Repubblica (Italiana, mica Burundese, con tutto il mio rispetto per il Burundi) è composta dallo Stato, dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane e dalle Regioni, ciascuno con i suoi poteri e la propria autonomia, ma di stati federali – federati non vi è proprio traccia (articolo 114 comma 1).

 

Anzi, guai ad affermare che si vuole l’indipendenza, la secessione e l’autonomia di porzioni del territorio, perché a fare da monito c’è l’articolo 5 che avvisa, per chi non lo avesse ancora capito, che l’Italia è “una e indivisibile”!  

 

Allora, io mi domando, perché se lo Statuto della Lega Nord – Liga Veneta viola esplicitamente tutte queste disposizioni costituzionali, il partito non è mai stato messo fuori legge e i suoi rappresentanti siedono impunemente sui più alti scranni della Repubblica Italiana, nella capitale romana tanto vituperata e con laute indennità, naturalmente pagate da tutti gli italiani? Perché nessun magistrato ha mai posto sotto inchiesta i vertici leghisti per violazione dell’articolo 241 del codice penale, che una volta era considerato un reato talmente grave, da essere punito con la morte, per avere commesso fatti diretti a “disciogliere l’unità dello Stato o a distaccare dalla madre Patria” un territorio soggetto alla sua sovranità, oppure, per avere infranto l’articolo 271 del codice penale che punisce chi “promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni che si propongono di svolgere o che svolgano un’attività diretta a distruggere o deprimere il sentimento nazionale”? Avete sentito cosa dice il codice penale?

 

SENTIMENTO NAZIONALE!

 

Più chiaro di così! E poi, ci vogliamo dimenticare dell’articolo 291 sempre del codice penale (vilipendio della nazione italiana)? E dell’articolo 292 (vilipendio alla bandiera nazionale) che dire?

Dovrebbero avere una fedina penale lunga così, languire in carcere per tutta la vita, con la loro associazione partitica dispersa con la forza della legge e invece, eccoli là, ancora assisi sulle poltrone più ambite del potere, a deridere e sbeffeggiare l’Italia (esclusa quella parte che, solo a loro, risponde al nome di padania)!

 

Io proprio non capisco.

 

Hai voglia a dire che lo vogliono fare “con metodi democratici”, gli stessi metodi che pretenderebbero di adoperare ora ripresi gli Indipendentisti Veneti con un referendum farsa, se lo scopo viola la Costituzione, puoi essere democratico quanto ti pare, ma non si può fare e basta! La Lega Nord – Liga Veneta è fuori legge, come gli Indipendentisti Veneti, la Polisia Veneta e con loro tutti quegli altri gruppuscoli che vorrebbero rifondare la Serenissima. In un qualsiasi altro stato normale e degno di questo nome tali “movimenti” sarebbero stati dispersi al vento e i suoi rappresentanti incarcerati, ma da noi no! Si danno addirittura incarichi ministeriali e ruoli parlamentari a quelli che vogliono spaccare in due, tre o quattro l’Italia!

 

Non so se si arriverà alla secessione e all’indipendenza. Ma intanto, cattivi sentimenti hanno trovato spazio nel cuore degli uomini. Da Nord a Sud (e, ormai, anche da Sud a Nord) ci si guarda con diffidenza, sospetto, odio.

 

La secessione morale, ben più pericolosa, è già in atto. Non siamo più fratelli d’Italia, a causa del continuo stillicidio di veleni attuato dai politicanti di specie leghista o indipendentista, che ha fatto oramai acquisire come comune pensare l’esistenza di un presunto stato del Nord Italia e la supposta inferiorità del Mezzogiorno, la cui popolazione è percepita come la causa dei suoi stessi mali. Tutto questo veleno prima o poi genererà i suoi frutti amari. Come si suol dire, chi semina vento, raccoglie tempesta e ne avranno di tempeste da raccogliere i “fratelli del Nord”.

Allora, già che ci siamo, interroghiamoci su cosa potrebbe accadere, nel caso vi fosse davvero la secessione del Nord, o del Veneto, dal resto d’Italia.

L’Italia così come la conosciamo ora non esisterebbe più e altre regioni o macroregioni potrebbero seguire la strada dei veneti. Sicuramente la Sardegna e la Sicilia, che vantano secolari istanze autonomiste, prenderebbero la porta, la Valle d’Aosta e l’Alto Adige, chiederebbero l’annessione, rispettivamente, alla Francia e all’Austria, non so con quali risultati, e il Sud potrebbe (e dovrebbe) decisamente sfruttare l’opportunità di svincolarsi dalle politiche padano – tremontiane – montiane – lettiane (e spero di non dover aggiungere renziane) del “a noi del nord tutto, a voi terroni forse le briciole” e cercare di fare da solo.

Ma la secessione potrebbe riservare amare sorprese anche al settentrione. La convivenza tra nord-ovest e nord-est potrebbe rivelarsi più difficile del previsto: i veneti hanno dimostrato di mal sopportare una leadership lombarda e si aprirebbe di sicuro una conflittualità, neppure ora troppo latente.

Prima sorpresa: il Nord diviso, o il Veneto da solo, non sarebbe più la poderosa forza economico – produttiva che abbiamo conosciuto e potrebbe non farcela!

Molto probabilmente, anzi sicuramente, resterebbe in Europa, nell’area Euro, avendo tutti i requisiti macro economici in regola, ma così dovrebbe sottostare al patto di stabilità, ai vincoli di spesa pubblica e alle politiche monetarie della Banca centrale europea. Il Mezzogiorno, invece, con tutta probabilità non avrebbe più i requisiti per restare nell’Unione europea, ma quand’anche per miracolo continuasse ad averli e ci si concedesse di rimanere in Europa (non ne sono sicuro, ma credo che finiremo in coda alla Grecia), faremmo concorrenza al ribasso all’Europa orientale e si porterebbero a casa milioni di euro di contributi comunitari, che oggi si fermano proprio lì.

Probabilmente, anche la fuoriuscita dall’Europa potrebbe non essere, poi, così grave per il Mezzogiorno. Si potrebbe tornare a una valuta debole, che frena le importazioni e fa decollare le esportazioni; si potrebbero elevare barriere doganali e fiscali all’ingresso delle merci, per scoraggiare l’arrivo di prodotti dalla Cina e da altri paesi in via di sviluppo (non ho niente contro questi Paesi, ma ora dobbiamo pensare a sviluppare il Sud); in poche parole, si potrebbero instaurare politiche neo-protezionistiche e ciò comporterebbe la crescita dell’industria, dell’artigianato e dei servizi, con l’aumento dei posti di lavoro. Infatti, non essendo più conveniente importare i prodotti dall’estero o dal resto d’Italia, o ancora, dall’indipendente Veneto o padania, dovremo fabbricarci in casa praticamente tutto quello che serve. Pensate cosa potrebbe accadere alle industrie meridionali, sulle quali, da un giorno all’altro, pioverebbero le domande dei consumatori! Una crescita stratosferica del PIL! Potremo, poi, investire il surplus di entrate tributarie dovute all’aumento della produzione per migliorare le infrastrutture stradali e aeroportuali e incrementare l’afflusso turistico. Un nuovo boom, che potrebbe somigliare molto alle impennate vertiginose dei mercati asiatici!

Seconda sorpresa: i padani e i veneti non potrebbero più venderci i loro prodotti e accaparrarsi manodopera qualificata meridionale. Noi non vorremmo più le loro merci e non gli forniremo più i nostri lavoratori, ma ce li terremmo ben stretti, perché li assumeremo per fare fronte all’aumento della domanda. Anzi, non solo non compreremmo più le loro merci, ma gli venderemmo le nostre, perché sarebbero più a buon mercato delle loro. Poi, avendo ridotto o azzerato la disoccupazione, arresteremmo anche l’emigrazione e forse, potremmo assicurare il ritorno in patria di tanti conterranei.

Le leggi per governare il Meridione, il bilancio e gli investimenti in Meridione li deciderebbe solo il Meridione per il Meridione. Nessuno potrebbe portarci più via neanche un centesimo per farlo rimbalzare al Nord (come avvenuto in passato con i Fondi per le aree sottosviluppate, i famigerati FAS, tanto cari al già ministro Tremonti. Questa vergogna non la dimenticherò mai!).

E qui arriva la terza sorpresa: cari indipendentisti (si fa per dire), non potreste più contare su jolly o assi nella manica di ministri delle finanze filonordici, che dirottano fondi destinati al Sud per tappare i buchi del bilancio o per finanziarvi opere ed investimenti (vedi l’Expo di Milano).

Ma neanche il resto d’Italia credo se la passerebbe poi tanto male. La Sardegna autonoma potrebbe puntare sul turismo, la Sicilia sulla finanza e sulle banche, potrebbe diventare un paradiso fiscale aperto a tutti gli affari possibili e immaginabili, una sorta di free zone del Mediterraneo, simile alla Cuba di Batista.

Quarta sorpresa: non sentiremmo la vostra mancanza, popoli veneti e padani, ma probabilmente voi sentireste la nostra e questa potrebbe essere anche la quinta sorpresa: forse iniziereste a pensare che, in fondo, non ve la passavate poi tanto male quando non eravate “indipendenti”, che potevate riempirci dei vostri prodotti, prendervi le nostre forze e menti migliori, solo per il vostro profitto, quando gli investimenti pubblici erano binari paralleli e non si mescolavano mai, poco o niente per quello che si dirigeva a Sud e tanto tanto per quello che portava a Nord e gli investimenti privati dei ricconi del Nord preferivano prendere la via della Svizzera o del Lussemburgo, anziché essere proficuamente impiegati per lo sviluppo del Sud. Tanto i vostri conterranei meridionali (o dovrei dire con-terronei) vi votavano sempre e voi potevate in ogni momento disprezzarci. Dopo la secessione non potreste più fare nemmeno quello e non oso immaginare come potreste riempire i vostri spazi (o devo dire vuoti?) politico-ideologici. Se vi abbandonassero anche gli extracomunitari, con chi ve la prendereste, con gli alieni?

Potreste ritrovarvi, vostro malgrado, nelle condizioni di dover chiedere di tornare a far parte dell’Italia, magari implorando una confederazione, un’associazione o poco più, rimpiangendo i vecchi tempi della Repubblica Italiana e dell’Italia una e indivisibile, quando potevate indossare l’armatura di Alberto da Giussano, scalare campanili e sognare l’indipendenza della padania, della Serenissima e l’autodeterminazione dei popoli celti del nord…

Tutto questo ha un sapore amaro inconfondibile. Quello della disfatta. State attenti, l’indipendenza del Veneto potrebbe essere l’inizio della sua dissoluzione.

Il Veneto è italiano, non credo che possa diventare indipendente. Veneto da solo stona, con accanto l’aggettivo italiano suona molto meglio. Io non credo che succeda, credo che i Veneti siano molto più intelligenti. Ma, se proprio dovesse accadere, io che sono italiano, non rimarrei un minuto di più in terra straniera.

Tornerei in Italia.

venerdì 14 marzo 2014

Quote rosa?



 

In un mondo normale, in un Paese normale, la valutazione delle persone dovrebbe avvenire per merito, capacità, intelletto e non vi sarebbe il bisogno di quote per garantire in politica la rappresentanza di entrambi i sessi, ma anche le pari opportunità nel lavoro e nella vita.

Ma il pianeta sul quale abbiamo malauguratamente messo piede è sempre più schizofrenico, incomprensibile e incontrollabile; il nostro è un Paese che, definire anormale è frutto della cecità e sordità tipiche di chi ama alla follia, e, per questo motivo, per tentare di ristabilire un minimo di equilibrio tra uomo e donna nella scelta delle persone dalle quali farci rappresentare, sentiamo la necessità di ripartire la rappresentanza politica in quote garantite in base al sesso. E così, nella conquista dei seggi in Parlamento, sentiremo sempre più spesso dire: questo è riservato alle donne, questo agli uomini, finiremo per creare delle riserve indiane, dei parchi protetti. Ma a me, eccettuati i parcheggi per disabili, i posti riservati fanno ribrezzo, mi fanno venire in mente l’apartheid, la terza classe delle navi degli emigranti, i potenti e i furbi, che a volte sono la stessa cosa, con il posto prenotato e gli sfigati in piedi, senza prenotazione, i ricchi e i bianchi ad accaparrarsi i posti migliori e i poveri e i neri costretti a sistemarsi nei posti peggiori in fondo all’autobus.

Badate bene che qui l’ideologia non c’entra nulla, l’uguaglianza non è né di destra né di sinistra, ne va, invece, del bene comune. E attenzione, la democrazia funziona bene con le persone intelligenti, in mano agli stupidi, che non sanno bene come maneggiarla e cosa farne di diritti e doveri, diventa estremamente pericolosa.

Io credo che la parità di genere debba stare prima nella testa delle persone, che nelle percentuali. Ricordo che Einstein diceva che la mente è come un paracadute, se non si apre non funziona. Se non apriamo la mente, precipitiamo nell’abisso dell’ignoranza e dell’ottusità. Dobbiamo quindi mantenere la mente aperta, essere curiosi, perspicaci, fantasiosi, perché solo così si trovano risposte ai problemi, solo così possiamo crescere. E crescere significa aver risolto un problema, metterselo alle spalle. La parità di genere è dunque questione di crescita e di cultura, di apertura mentale e di sensibilità.

Aprire la mente vuol dire varcare gli angusti confini del perbenismo e del politicamente corretto, superare i propri limiti, i condizionamenti sociali, significa avere coraggio. Vuol dire, per un uomo, guardare una donna e vedere un altro rappresentante del genere umano, un rappresentante molto carino, se vogliamo, ma non un essere inferiore, al quale può imporre le proprie decisioni e usarne le affascinanti forme per aumentare le vendite o fare audience.

Ma credo che abbiamo smesso di crescere in questo Paese.

Se per crescita gli economisti intendono l’innalzamento degli indicatori macro – economici (tasso di occupazione, prodotto interno lordo, valore degli scambi commerciali), lo sviluppo misura, invece, l’incremento della cultura, del benessere, del welfare, indica quanti libri si leggono, quanti film si guardano, a quanti concerti andiamo, come si vive in una determinata nazione. Ahimè, non solo la crescita, ma anche lo sviluppo si sono arrestati nel nostro affascinante e disordinato Paese.

Quindi, in un quadro desolante come il nostro, capisco come alcuni credano che l’unica soluzione per garantire la parità di genere, sotto forma di pari rappresentanza politica, sia l’adozione delle quote.

Ma, diamo un’occhiata alla Costituzione della Repubblica italiana che, a detta di molti, è la più bella del mondo, anche se, secondo me, è bella quanto può esserlo una donna molto avanti negli anni, che avrebbe bisogno di qualche ritocco per tornare agli antichi splendori, un intervento leggero e intelligente, che non stravolga la sua bellezza originale, ma che, anzi, la esalti ancor più.

L’articolo 3 comma 1 della Costituzione, quello sull’uguaglianza formale, dice, senza possibilità di equivoco, che uomini e donne sono uguali davanti alla legge.

Il comma successivo, quello dell’uguaglianza sostanziale, stabilisce invece, che lo Stato deve eliminare tutti gli ostacoli sulla strada dell’uguaglianza, che impediscono lo sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Quello che si dice parlare chiaro. Fa male constatare che le pari opportunità le avevano più chiare i padri costituenti nel 1948, che noi nel 2014.

Non voglio passare per maschilista, vi assicuro che non lo sono. Però, quelle poche o tante donne che hanno votato contro l’introduzione delle quote rosa, credo siano state più intelligenti delle altre loro colleghe in Parlamento che, invece, hanno votato a favore, perché hanno capito che non è tagliando a fette il potere che si garantiscono le pari opportunità. Se ci dividiamo, perdiamo tutti, ma soprattutto, abbiamo perso un’altra occasione di crescere.

Ma, summum jus, summa injuria, dicevano i romani, nella loro infinita saggezza. Più si tende alla giustizia, maggiormente si ottiene il risultato contrario. Come a dire, a spaccare il capello in quattro, non resta più neppure il capello.
Infine, consentitemi una domanda. Provocatoria. I transgender, i transessuali e, in generale, il sesso di chi non si sente di appartenere ad alcun sesso, di chi non si sente né uomo né donna, in quale quota lo mettiamo?

sabato 8 marzo 2014

Una brevissima riflessione sulle pari opportunità



 

Secondo me le donne possono fare tutto quello che fanno gli uomini, ma il fatto che lo possano fare, non vuol dire che lo debbono fare. Non sono maschilista, ma neanche femminista, forse sono a metà strada, diciamo pure un femminista pragmatico, o un maschilista illuminato, fate un po’ voi. Ciò che volevo dire, in realtà, è che non riesco a concepire le donne soldato. Le donne danno la vita, non la morte, solo noi uomini possiamo professare il mestiere schifoso delle armi e proprio perché non possiamo dare la vita, sappiamo toglierla.

Certo siamo molto indietro, soprattutto in Italia, per una completa realizzazione delle pari opportunità, per colpa di noi maschietti, tanto che oserei definire quelle delle donne, dispari opportunità. E non possiamo ricordarcene solo una volta l’anno, altrimenti, non è una ricorrenza speciale, ma un alibi molto debole. L’alibi degli stalkers, degli stupratori, dei mariti – padroni e di chi, non potendo possedere la loro bellezza, crede di poterla annientare con l’acido.

Abbiamo ancora tanta strada per migliorare le cose, ma in questo lungo cammino, non perdiamo d’occhio le donne.
            Senza di loro non saremo niente.

venerdì 7 marzo 2014

Una freccia, una vita



Per vedere il mondo in un granello di sabbia

E il paradiso in un fiore selvatico

Tieni l’infinito nel palmo della mano

E l’eternità in un’ora

(William Blake)

 

Impugno l’arco, fletto il braccio e tendo la corda. Poi, invece di mirare, un attimo prima di scoccare, chiudo gli occhi e la freccia vola nel buio. Non mi serve guardare, non devo prendere la mira. Come la nave trova rifugio nel porto, come l’amante si abbandona tra le braccia dell’amato, la freccia trova il bersaglio, si conficca esattamente al centro.

Non mangio quando mangio, non dormo quando dormo, non corro quando corro, così non tiro davvero, quando tiro con l’arco.

Ogni freccia che tiro è una vita che va, una faretra non basta a contenerle tutte, ma ogni freccia scoccata mi avvicina al risveglio e presto non sarò più prigioniero della marea che va e che sempre ritorna.

La freccia vola, sicura e veloce, dritta verso il bersaglio, ma a volte il bersaglio non è dove dovrebbe essere. E’ necessario che mi ridesti, che torni a pensare i miei pensieri, in modo naturale, come la pioggia che cade dal cielo, come le onde che si rotolano sul mare, come la neve nel silenzio delle montagne. Allora io sarò la pioggia, io sarò il mare, io sarò la neve.

Io sarò il silenzio.

Conosco il bersaglio come me stesso, forse conosco il bersaglio più di quanto conosca me stesso. In verità, la mia conoscenza del bersaglio è più profonda di quanto possa immaginare, perché il bersaglio sono io.

Io e il bersaglio siamo la stessa cosa.

Quando tenderò il braccio per scoccare l’ultima freccia, questo mondo svanirà, si squarcerà come un velo lacerato dalla spada del tempo e si dissolverà come nebbia del mattino. Allora resterò solo, con l’arco poggiato al fianco, uno strano e ormai inutile strumento a corda, a osservarne l’ultimo volo, nel vuoto e nel buio, prima che si disintegri insieme al suo bersaglio.

Me stesso.

COPYRIGHT 2012 ANGELO MEDICI

Tutti i diritti riservati
                                     Riproduzione vietata