In
un mondo normale, in un Paese normale, la valutazione delle persone dovrebbe
avvenire per merito, capacità, intelletto e non vi sarebbe il bisogno di quote
per garantire in politica la rappresentanza di entrambi i sessi, ma anche le
pari opportunità nel lavoro e nella vita.
Ma
il pianeta sul quale abbiamo malauguratamente messo piede è sempre più
schizofrenico, incomprensibile e incontrollabile; il nostro è un Paese che,
definire anormale è frutto della cecità e sordità tipiche di chi ama alla
follia, e, per questo motivo, per tentare di ristabilire un minimo di
equilibrio tra uomo e donna nella scelta delle persone dalle quali farci
rappresentare, sentiamo la necessità di ripartire la rappresentanza politica in
quote garantite in base al sesso. E così, nella conquista dei seggi in
Parlamento, sentiremo sempre più spesso dire: questo è riservato alle donne,
questo agli uomini, finiremo per creare delle riserve indiane, dei parchi
protetti. Ma a me, eccettuati i parcheggi per disabili, i posti riservati
fanno ribrezzo, mi fanno venire in mente l’apartheid, la terza classe delle
navi degli emigranti, i potenti e i furbi, che a volte sono la stessa cosa, con
il posto prenotato e gli sfigati in piedi, senza prenotazione, i ricchi e i bianchi
ad accaparrarsi i posti migliori e i poveri e i neri costretti a sistemarsi nei
posti peggiori in fondo all’autobus.
Badate
bene che qui l’ideologia non c’entra nulla, l’uguaglianza non è né di destra né
di sinistra, ne va, invece, del bene comune. E attenzione, la democrazia
funziona bene con le persone intelligenti, in mano agli stupidi, che non sanno
bene come maneggiarla e cosa farne di diritti e doveri, diventa estremamente
pericolosa.
Io
credo che la parità di genere debba stare prima nella testa delle persone, che
nelle percentuali. Ricordo che Einstein
diceva che la mente è come un paracadute, se non si apre non funziona. Se
non apriamo la mente, precipitiamo nell’abisso dell’ignoranza e dell’ottusità.
Dobbiamo quindi mantenere la mente aperta, essere curiosi, perspicaci, fantasiosi,
perché solo così si trovano risposte ai problemi, solo così possiamo crescere.
E crescere significa aver risolto un problema, metterselo alle spalle. La
parità di genere è dunque questione di crescita e di cultura, di apertura
mentale e di sensibilità.
Aprire
la mente vuol dire varcare gli angusti confini del perbenismo e del
politicamente corretto, superare i propri limiti, i condizionamenti sociali,
significa avere coraggio. Vuol dire, per un uomo, guardare una donna e vedere
un altro rappresentante del genere umano, un rappresentante molto carino, se
vogliamo, ma non un essere inferiore, al quale può imporre le proprie decisioni
e usarne le affascinanti forme per aumentare le vendite o fare audience.
Ma
credo che abbiamo smesso di crescere in questo Paese.
Se
per crescita gli economisti intendono l’innalzamento degli indicatori macro –
economici (tasso di occupazione, prodotto interno lordo, valore degli scambi
commerciali), lo sviluppo misura, invece, l’incremento della cultura, del
benessere, del welfare, indica quanti libri si leggono, quanti film si
guardano, a quanti concerti andiamo, come si vive in una determinata nazione.
Ahimè, non solo la crescita, ma anche lo sviluppo si sono arrestati nel nostro affascinante
e disordinato Paese.
Quindi,
in un quadro desolante come il nostro, capisco come alcuni credano che l’unica
soluzione per garantire la parità di genere, sotto forma di pari rappresentanza
politica, sia l’adozione delle quote.
Ma,
diamo un’occhiata alla Costituzione della Repubblica italiana che, a detta di
molti, è la più bella del mondo, anche se, secondo me, è bella quanto può
esserlo una donna molto avanti negli anni, che avrebbe bisogno di qualche
ritocco per tornare agli antichi splendori, un intervento leggero e
intelligente, che non stravolga la sua bellezza originale, ma che, anzi, la
esalti ancor più.
L’articolo
3 comma 1 della Costituzione, quello sull’uguaglianza
formale, dice, senza possibilità di equivoco, che uomini e donne sono
uguali davanti alla legge.
Il
comma successivo, quello dell’uguaglianza
sostanziale, stabilisce invece, che lo Stato deve eliminare tutti gli
ostacoli sulla strada dell’uguaglianza, che impediscono lo sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese.
Quello
che si dice parlare chiaro. Fa male constatare che le pari opportunità le
avevano più chiare i padri costituenti nel 1948, che noi nel 2014.
Non
voglio passare per maschilista, vi assicuro che non lo sono. Però, quelle poche
o tante donne che hanno votato contro l’introduzione delle quote rosa, credo siano
state più intelligenti delle altre loro colleghe in Parlamento che, invece,
hanno votato a favore, perché hanno capito che non è tagliando a fette il
potere che si garantiscono le pari opportunità. Se ci dividiamo, perdiamo tutti,
ma soprattutto, abbiamo perso un’altra occasione di crescere.
Ma, summum
jus, summa injuria, dicevano i romani, nella loro infinita saggezza.
Più si tende alla giustizia, maggiormente si ottiene il risultato contrario. Come
a dire, a spaccare il capello in quattro, non resta più neppure il capello.
Infine, consentitemi una domanda. Provocatoria. I
transgender, i transessuali e, in generale, il sesso di chi non si sente di
appartenere ad alcun sesso, di chi non si sente né uomo né donna, in quale
quota lo mettiamo?
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