Credevo
che i Veneti fossero intelligenti, almeno è quello che mi auguravo nel precedente
post Indipendenza
veneta?. Evidentemente mi sbagliavo. Al referendum per l’indipendenza
del Veneto – a questo punto, è meglio chiamarlo per quello che è, un sondaggio on line, con meccanismi non
molto diversi da una ricerca di mercato – hanno partecipato 2.360.235 votanti,
il 73% della popolazione veneta (strano, a me non sono arrivati i codici per
votare, nonostante siano quindici anni che abito in Veneto. Agli stranieri dopo
dieci anni di residenza danno la cittadinanza italiana!), l’89% di chi ha
votato si è espresso a favore del distacco del Veneto dall’Italia, mentre solo
il 10,9% ha detto no (fonte ANSA). Ben 2.102.969 veneti, più della metà della
popolazione, hanno detto di volere il Veneto, stato autonomo e indipendente.
Ma la
consultazione on line prevedeva anche altre domande e le risposte ottenute,
credo, siano molto interessanti. Dopo aver risposto al primo quesito
sull’indipendenza, si passava al quesito se il Veneto, una volta divenuto
autonomo, dovesse restare nell’Unione europea, nell’area euro e nella Nato.
Ebbene, a queste domande, seppure con percentuali diverse, più della metà dei
veneti ha risposto si (fonte Il Gazzettino).
Dunque, i
Veneti vogliono uno Stato indipendente, membro dell’Unione europea e della
NATO, senza abbandonare l’euro. Ebbene, se queste sono le premesse del nuovo
Stato, credo che si intravedano già le tracce della sua dissoluzione.
Senza
dilungarmi troppo, riprendo alcuni passaggi del mio post precedente, sulle
conseguenze di una secessione della regione veneta.
Punto
primo. Il Veneto autonomo rispetto all’Italia e al resto del Nord, soprattutto
oggi, non è più la poderosa forza economico – produttiva degli anni passati e,
restando in Europa e nell’area euro, dovrebbe sottostare al patto di stabilità,
ai vincoli di spesa pubblica e alle politiche monetarie della Banca centrale
europea.
Punto
secondo. Altre regioni o aree territoriali potrebbero seguire l’esempio del
Veneto. L’Italia si dissolverebbe, si scioglierebbe come neve al sole. Anche il
Mezzogiorno conquisterebbe l’indipendenza, ma a differenza del Veneto, non
avrebbe la forza economica per stare in Europa. Quindi, tornerebbe a battere
moneta propria, fortemente svalutata rispetto all’euro e vedrebbe incrementare
in misura esponenziale le esportazioni, ma anche il consumo interno, se
imponesse dazi doganali ai prodotti in arrivo da altre Regioni, ormai Stati
indipendenti, come il Veneto. Quindi, il Veneto continuerebbe ad avere le mani
legate dai vincoli dell’Unione europea, dalla Banca Centrale Europea e dovrebbe
moltiplicare i sacrifici per continuare a stare nell’euro, senza poter più
commerciare con il resto d’Italia.
Punto
terzo. Niente più trasferimenti erariali, infrastrutture, fondi e contributi
dallo Stato centrale che, checchè se ne dica, sono abbastanza consistenti. In
ogni caso, ne riceve più di molte regioni meridionali. Il Veneto se la dovrebbe
cavare con le proprie gambe. E dubito che ce la farebbe.
Punto
quarto. Sorpresa! Il resto d’Italia non sentirà la vostra mancanza. Che
sollievo! Non sentiremo più parlare di Liga veneta, Indipendentisti veneti, Polisia
veneta, campanili assaltati. Non vedremo più in giro alcuni patetici
personaggi, non sentiremo più strampalate teorie separatiste. Avrete il Veneto
e ve lo terrete. Ma non sarà più come prima, sarà molto più dura. Allenatevi a
pedalare!
Punto
quinto. Di sicuro, una volta ottenuta l’indipendenza, caccerete gli stranieri
non comunitari (quelli comunitari, mi dispiace, ma dovrete tenerveli se vorrete
stare nella UE), poi noi meridionali (quei pochi che non se ne saranno già
andati prima). Quando avrete esaurito la gente da sbattere fuori, è plausibile
che vi farete guerra tra voi, Veneziani contro Padovani, Veronesi contro
Veneziani, riprendendo abitudini secolari e magari, non contenti, vi farete
guerra quartiere contro quartiere, strada contro strada, condominio contro
condominio.
Io credo
che finirete per rimpiangere i vecchi tempi della Repubblica Italiana e implorerete
di tornare in Italia, supplicando una confederazione, un’associazione o poco
più!
Ma
torniamo al referendum, o sondaggio, se preferite. Al di là delle cifre, delle
statistiche e dell’inesistenza sul piano giuridico della consultazione, provo
una grande tristezza per il fatto che si possa solo concepire l’idea di indire
un referendum separatista.
Un’idea
del genere si fonda sull’odio, sull’intolleranza verso ogni forma di diversità,
sul segregazionismo, sulla determinazione, cioè, di volersi tenere separati e
lontani da tutti quelli che non la pensano come noi, che non agiscono come noi,
che non sono come noi.
Il mondo
è bello perché è vario. Il mondo è bello perché un artista di nome Dio l’ha
ritratto in milioni di colori. Ridurlo a soli due colori, il bianco e il nero, cancellando
tutti gli altri, o, peggio, fonderli in un triste e indefinito grigio, vuol
dire privarsi della bellezza, fare a meno dello splendore, vuol dire castrarsi
con le proprie mani.
Oggi la
mia tristezza è profonda, la mia mestizia è a livelli siderali.
Ma, un
altro sentimento si sta facendo strada in me, un’emozione primitiva, facile, a
buon mercato. Quei 2.102.969 veneti che hanno risposto il si dell’odio alla
domanda dell’odio mi fanno rabbia. Allo stesso modo, mi sento vicino a quei
257.756 veneti che hanno risposto con il no dell’amore alla stessa domanda.
Purtroppo sono pochi, sono molto pochi.
E così,
se prevale l’odio dei 2.102.969, sull’amore dei 257.756, prevale anche il mio. Non poteva essere diversamente. Odio genera odio.
A quei
due milioni e rotti ogni italiano vorrebbe dire: andate pure, quella è la
porta, andate a quel paese, il vostro e non ne uscite più.
E neppure
io voglio avere più nulla a che fare con voi, tronco ogni rapporto, mi limiterò
a prendere quello che mi serve: donne e denaro, di tutto il resto non
m’importa, tenetevelo pure.
Ammesso
che lo abbiate.
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