Oggi il mio blog
compie gli anni. Un solo, ma ha raggiunto, grazie a voi lettori, risultati
importanti.
Quando ho
iniziato a pubblicare sul blog, temevo di non aver nulla da dire, che mi
sarebbero mancati gli argomenti, che si sarebbe esaurita la verve creativa, già
difficile da cercare, come una vena d’oro nascosta da un Dio geloso nel cuore
inaccessibile della terra. Invece, non è accaduto.
A volte immagino
il mio blog come un giornale. Un periodico che pubblica le mie insignificanti e
banali vicissitudini. Insignificanti e banali, ma indiscutibilmente mie. E, per
procedere con i parallelismi con la carta stampata, il blog è come un
quotidiano. Il quotidiano di me stesso.
Un giornale è
come un romanzo a puntate che racconta la vita, sostiene un bravo giornalista
come Beppe Severgnini. E un buon
giornalista è, in fondo, anche un bravo scrittore. Ad esempio, Dino Buzzati faceva entrambi i mestieri
in maniera superlativa, ma forse, anzi senza forse, semplificare giornalismo e
letteratura a mestiere è indegno e anche riduttivo. Letteratura e giornalismo
sono professioni, professioni di vita e di fede. In ogni modo, vi era chi
sosteneva che la narrativa di Buzzati,
rispetto alla sua scrittura giornalistica, era “lo stesso guanto, ma rovesciato”
(Eugenio Montale). Ovvero, il dritto
è la realtà, è materia di carta stampata, il rovescio, la sua rappresentazione
letteraria, è, viceversa, materia di romanzo. Non vi è chi non veda che ho
accordato a me stesso, ingiustamente, il permesso d’interpretare Montale. In ogni caso, fortunato il
giornale che poteva permettersi di indossarlo quel guanto, ospitando gli articoli
di Buzzati.
Un blog è molto
simile a un giornale. Il mio, naturalmente, non ha alcuna pretesa di
rappresentare la realtà, la cronaca, la storia. Di realtà e cronaca ritrae solo
la mia. Per mia fortuna, non faccio il giornalista e posso scegliere di cosa
parlare. Dunque, scrivo di quello che mi colpisce, che mi intriga, che mi
affascina e sconvolge, nel bene e nel male. Lo scrittore è come una spugna di
mare. Assorbe parole, vicende, sentimenti. Sente la storia, il mondo, la vita.
E lentamente, goccia a goccia, la spugna si svuota sul foglio e lo bagna dei
suoi umori, rende alle fibre della carta ciò di cui si è impadronita dalle
fibre del reale. E così, anche lo scrittore attinge al mondo e al termine del
processo creativo, restituisce al mondo. E lo scrittore cede il passo al
blogger, e viceversa. Almeno, nel mio caso funziona così. Credo, però, che non
basta saper scrivere per essere un bravo giornalista, non sempre vale
l’equazione scrittore = giornalista. Scrivere sui giornali
non è come scrivere un libro. Occorrono altre doti, la testardaggine, la
curiosità al limite del morboso, un fiuto investigativo da far invidia a Scotland Yard e, per ultimo, ma non
meno importante, l’essere rompicoglioni assillanti, perché è solo martellando
con la costanza di una goccia sulla stalagmite che si ottengono le notizie.
Stalagmite.
Questa parola mi fa venire in mente gli Stalag
(abbreviazione di Stammlager), i campi di concentramento tedeschi per i
prigionieri di guerra e il più famoso di tutti, lo Stalag 17, dall’omonimo
film del 1953 di Billy Wilder. Una
curiosa assonanza che non c’entra nulla.
O forse sì.
Tanti scrittori
e tanti giornalisti subirono e subiscono ancora oggi la segregazione di altri
lager e trattamenti disumani. In questo caso l’equazione funziona in entrambi i
versi.
Ma torniamo al
blog.
Nel suo primo
anno di vita, ho pubblicato quarantasei post, mi avete letto più di cinquemila
volte, da Italia, Stati Uniti, Russia, Germania, Francia, Olanda, Romania,
Serbia, Regno Unito, Polonia. Ora, mi chiedo riflettendo sulle statistiche, chi
mi legge mai nei Paesi Bassi, o in Russia e Polonia? Mah!
Il blog ha accompagnato
la mia produzione letteraria. Ho scritto dal nulla un nuovo romanzo, ne ho riscritto
un altro (che spero veda la luce entro l’anno), scritto qualche brano di un
terzo e, infine, ho pubblicato il mio primo libro.
Non potevo
sperare in meglio.
Grazie a tutti.
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