“Gli italiani sono singoli geni che formano,
tutti insieme, un popolo politicamente disordinato e immaturo. Una collettività
talmente sorprendente da rendere problematico un giudizio complessivo.”
Questa
è l’analisi, lucida e feroce, di un Alberto
Lattuada di alcuni anni fa. Sorprendente non è tanto la spietatezza del
giudizio, quanto il fatto che, a distanza di anni, il parere resta di
un’attualità e di una validità, che risultano spiacevoli. E noi italiani così
siamo. Un mix fatale e irrimediabile di genio e sregolatezza, intuito e
bassezza, miserie e ricchezza. Passiamo dal genio di Leonardo alle atrocità geniali di Totò Riina, dalle miserie del dopoguerra, al boom economico, alle
miserie della Grande Crisi, fino alla
scempiaggine, talmente ingente da apparire quasi paradigmatica, del naufragio
della Costa Concordia – paragonabile
a una bella donna selvaggiamente oltraggiata dall’ignavia e dall’incapacità di
un uomo che non la meritava, il suo comandante – e al suo salvataggio, giustamente
glorioso e tecnologicamente salvifico, quasi fosse la metafora di un’Italia capace
di riscattarsi, di un’Italia in grado di salvare sé stessa dal naufragio.
L’Italia
è un paese grande, ma non è e, temo, non sarà mai, un grande paese. Resteremo per
sempre confinati, reclusi in una terra di grande bellezza, quasi sconvolgente, oserei
dire, che non sappiamo apprezzare e tutelare, una provincia del moderno Sacro Romano Impero, rigeneratosi, come
una fenice
recalcitrante dinanzi alla morte, nell’Unione
Europea. Provinciali siamo e provinciali resteremo, nel profondo
dell’anima.
E
poi, non siamo e ripeto, non siamo capaci di rispettare le leggi neppure per un
maledetto secondo delle nostre vite sregolate. Qualsiasi sfigato sbirro di
periferia è sicuro di scovare irregolarità e scoprire delittuosità, più o meno
gravi, solo a sollevare un lembo di quel misero tappeto sotto il quale
nascondiamo le nostre atrocità più perverse, frutto delle nostre indolenze e
perversioni e banalità e furbizie, che chiamiamo terra italiana.
L’Italia
è una repubblica (?) democratica (?) fondata sull’illecito, mi verrebbe
da dire, parafrasando il Calvino di Apologo
sull’onestà, articolo lucidissimo e profetico apparso su La
Repubblica del 15 marzo 1980, che aveva scritto senza sapere nulla di
Ustica, della strage di Bologna, di Gladio, della loggia P2 e di tante altre
nefandezze, ancora di là da venire.
I
nostri governanti non ne vengono a capo. Nessuno rispetta le regole, a
cominciare da loro. Le leggi sono oscure e si prestano a interpretazioni
contrastanti. Inutile stupirsi, sono il frutto di un compromesso politico (in questo sì, siamo maestri, abbiamo
inventato le larghe intese, le convergenze parallele, i patti di desistenza, le maggioranze a geometria variabile), in
base al quale, non si può far dire alla legge ciò che deve dire, cosa è vietato
e cosa non lo è, ma farlo intuire, trasparire appena dalla selva dei commi e
dei paragrafi, come fossero messaggi subliminali destinati a pochi eletti.
Allora, se la legge non è chiara, i cittadini non la rispettano (mancava loro
solo un’altra giustificazione) e i nostri governanti, che cosa fanno? Non
semplificano la scrittura della norma, rendendola comprensibile a tutti, non
abbandonano lo stile dogmatico – leguleo della nostra beneamata Repubblica,
anzi, se ne guardano bene. Inaspriscono le pene, come a dire al cittadino: la
legge non è chiara? Non m’interessa, ma sappi che se non la rispetti, ti sbatto
dentro e butto via la chiave.
Italiani
brava gente?
Sfatiamo
questo mito.
Si
parla della bontà e dell’umanità dei soldati italiani, che si distinsero nelle
guerre italiane e si distinguono ancor oggi per questo motivo nelle missioni
all’estero.
Ma,
sarà vero? Vediamo.
Sapete
perché ci odiano tanto in Slovenia e
in Croazia? Ve lo dico io. Perché i
soldati italiani a caccia di partigiani titini avevano il vizietto di rinchiudere
gli abitanti dei villaggi che conquistavano nelle loro case e poi appiccavano
il fuoco. Con la gente dentro.
Fumo
di slavo, che vuoi che sia?
Inaudito!
Invece, no. I militari italiani avevano fatto la stessa cosa in Libia e in Eritrea, al tempo delle guerre coloniali.
Che
vuoi che sia? Fumo di negro.
Ma
quello che fecero in Africa, l’avevano imparato a fare nel Meridione, all’epoca
della campagna per l’Unità d’Italia.
I bersaglieri, per rappresaglia a seguito di un’imboscata subita a opera di un
gruppo di briganti, durante la quale i briganti catturarono e uccisero 44
soldati (non notate la straordinaria analogia con le rappresaglie naziste alla
fine della seconda guerra mondiale, a seguito delle azioni partigiane?),
occuparono due paesi in provincia di Benevento, Pontelandolfo e Casalduni e per rappresaglia, diedero fuoco alle
case con gli occupanti dentro, non senza prima aver stuprato le donne e infilzato
con la baionetta i neonati.
Fumo
di terrone. Che vuoi che sia?
Morirono
a migliaia, ma nessuno lo sa, o vuole ricordare. Le vittime furono più di
novecento, ma nessuno lo sa con sicurezza, nonostante siano passati più di 150
anni, gli archivi sono ancora segreti. Venti per ogni soldato caduto
nell’imboscata. Nella strage delle Fosse Ardeatine il rapporto fu – solo – di dieci
italiani per ogni soldato tedesco, come ci ricorda il bravissimo Pino Aprile
nel suo Terroni! Ma i bersaglieri erano a scuola d’Africa, dovevano pur esercitarsi
con qualcuno se dovevano sottomettere l’Etiopia e l’Eritrea, o no? Un ragazzo di
Pontelandolfo al quale era stato
ucciso il padre e violentata e orribilmente uccisa la madre, riuscì a salvarsi
dal rogo e fuggì all’estero, si arruolò nell’esercito austriaco e colse l’amara
vendetta di trucidare a fucilate e a colpi di baionetta decine e decine di
soldati del neonato Esercito Italiano durante la battaglia di Custoza.
Italiani
brava gente?
Meglio
tacere.
Nessun commento:
Posta un commento