Riporto
alcune significative frasi che si trovano in Soffocare (titolo originale, Choke)
romanzo di Chuck Palahniuk.
“Che è italiana non lo diresti, a prima vista. Non puzza d’aglio, e non
ha quintali di peli sotto le ascelle” (Cap. 12)
“E Denny mi fa: <<In italiano?>>
<<Già>> gli faccio io. <<Hai presente, no?
Mafia, spaghetti…>>” (Cap. 21)
“E’ francamente impossibile che tutti gli italiani con cui ho parlato
siano pazzi” (cap. 36)
Non voglio
criticare queste frasi, dipingendole di razzismo, ma commentare e valutare
l’opera nel suo complesso, si. E si tratta di un lavoro urticante, politicamente
scorretto, ben fatto, che rappresenta una società americana fondata sulle
dipendenze (più dipendenze hai, dice a un certo punto il protagonista, più hai potere),
o meglio, sulla sessodipendenza e fa balenare il dubbio che noi maschietti
siamo diventati meri accessori, dei quali le donne potrebbero fare anche a meno.
Ma la
letteratura, compresa quella di Palahniuk
(di cui ricordiamo mirabili esempi come Fight Club, Cavie, Gang Bang e Senza
veli) è espressione della società e in generale, il pregiudizio
anti-italiano nella società americana è abbastanza diffuso. E da sempre.
Chi di voi
non ha mai sentito il termine dago? O wop? Sono correntemente
usati per designare gli italiani. Dago sembra che derivi da they
go, se ne vanno (sottinteso, finalmente). Ma anche da until
the day goes (fin che il giorno se ne va, vale a dire perdigiorno) e non
mancano i più perfidi che sostengono che sia un adattamento del termine dagger,
coltello e quindi accoltellatore. Wop era invece l’acronimo di without
passport (senza passaporto, quindi immigrato clandestino), che però si
pronuncia uapp e suona proprio come guappo in napoletano. Per capire
l’entità del fenomeno, aggiungo che in circa un secolo in America arrivarono
almeno quattro milioni di italiani senza passaporto, immigrati clandestini.
Una delle freddure
più famose era la seguente.
“Domanda: Perché ai funerali degli italiani sono soltanto in due a
portare la bara?
Risposta: Perché i bidoni della spazzatura hanno soltanto due
maniglie!”
Perfino nel
cinema a stelle e strisce, per lungo tempo il ruolo dominante degli italiani
era quella del cattivo. Un detto ricorrente recitava: Hollywood ha fatto
fortuna su due figure, l’indiano che urla e l’italiano che spara. Un sondaggio
dell’Italic
Studies Institute di New York rivelò che il 73% dei film girati dal
1928 in poi davano degli italiani un’immagine negativa e che gli italiani erano
rappresentati per il 40% come criminali e per il 33% come rozzi, stupidi e
buffoni. E tutto questo senza pensare a bravissimi attori di origine italiana,
come Rodolfo Valentino, Frank Sinatra
e oggi, Al Pacino, Anne Bancroft,
Leonardo Di Caprio, Nicolas Cage, Mira Sorvino, Gary Sinise e Robert De Niro (quest’ultimo ha origini molisane, lo rimarco con
orgoglio!).
Io credo di
sapere perché ciò accade.
Noi abbiamo
avuto Giulio Cesare, Marco Aurelio,
Sant’Agostino, Leonardo da Vinci, San Francesco, Michelangelo, Caravaggio,
Cristoforo Colombo, Amedeo Modigliani e loro no.
La verità è
che siamo sensibili, di buon gusto, raffinati, affascinanti, eleganti e intelligenti
e, anche se non siamo efficienti e competitivi, sappiamo vivere.
La verità è
che c’invidiano.
Quest’invidia,
a volte, si trasformò in vera e propria ammirazione, nel campo della
letteratura e del pensiero. Vi fu un’intensa e reciproca stima fra Benjamin Franklin e Gaetano Filangieri, illuminista
napoletano; Herman Melville ammirava
Leopardi e Edgar Allan Poe Alessandro
Manzoni (Manzoni? Come avrà fatto?). Infine, la Divina Commedia fu
tradotta nientemeno che da Longfellow.
Ma
forse occorre guardare l’America con occhi diversi, come ci ha insegnato a fare
John
Steinbeck (fondamentale, a questo proposito, è Grapes of wrath, da noi
tradotto con il titolo di Furore, assolutamente da leggere).
Forse vedremo un paese senza morale, sempre in vendita come una troia, così
cantava Eugenio Finardi, ma anche
una terra popolata da gente bislacca e geniale, originale, progressista e
ancorata alle peggiori tradizioni al tempo stesso.
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