La
nebbia, ombra della vita, ombra della morte, poroso confine di tutte
le cose conosciute e sincere, gli pesava sulle spalle come un pesante
mantello. Sopra lo strato di bambagia, il sole solcava l’azzurro di
un mattino imperfetto. Il signor Augusto Nigro andava per la sua
strada.
E’
un uomo alto e incredibilmente magro, leggermente curvo, ha
perennemente un’aria afflitta e compassata. Il suo volto è pallido
e scavato, gli occhi neri sono piccoli e infossati, le sue pupille
sono come l’acqua scura che ti fissa dal fondo di un pozzo. Anche
oggi non fa eccezione; anzi, la sua negra figura s’intona
singolarmente col paesaggio tetro, grigiastro, autunnale che lo
circonda. Indossa un paltò di foggia antiquata, nero come la notte
più nera, pantaloni larghi e comodi, scarpe testa di moro le cui
punte il tempo ha curvato all’insù e una cravatta color della
pece. Una figura inquietante, scura, che si stagliava nel grigiore
delle brume mattutine. Ma, a modo suo, il signor Augusto Nigro era
elegante.
Elegante
come la morte.
Già,
perché il signor Augusto sulla morte fa affari, sulla morte ci
campa, e anche bene. E’ un impresario delle pompe funebri.
Augusto
Nigro, come dicevamo, andava per la sua strada. La sua rara
inquietudine notturna svaniva nell’aria pesante e fosca e lampi di
luce grigiastra solcavano il suo volto mal rasato, scacciando le
paure che tornavano ad affacciarsi alla finestra della sua vita.
Egli
non ha paura della morte; come dicevamo, la morte è la sua compagna
di viaggio, la sua socia in affari, la auspica come si auspica un
lauto guadagno. No, egli non teme affatto la morte. Il signor Augusto
Nigro teme la vita.
Teme
la vita con tutte le sue imprevedibili complicazioni, la morte al
confronto è così semplice. Cos’è mai la morte, il vuoto, il
buio, il nulla? Come si può temere nulla? Se ti chiedono di cosa hai
paura, cosa rispondi: ho paura di niente?
Le
complicazioni del signor Augusto Nigro hanno una forma ben definita e
un nome certo. L’inquietudine del signor Augusto ha forme morbide e
tondeggianti e risponde al nome di Adelia Novotis.
E
già. Augusto si è perdutamente innamorato della signora Adelia. Ma
non ha ancora trovato il coraggio di dichiararsi, perché la signora
in questione è felicemente sposata con il borgomastro. Però le ha
scritto una serie infinita di bellissime lettere d’amore. Peccato
che abbiano fatto tutte la stessa identica fine. Ora dormono beate in
un cestino della spazzatura. Ma andiamo a recuperarne una, l’ultima
che ha scritto, o ha cestinato, in ordine di tempo.
…
Io non esisto. Sono una specie di fantasma nella notte. Almeno tu sai
ridere. Io mi sono scordato come si fa. C’è una crepa in ogni
cosa. E’ da lì che entra la luce. Adelia, io avevo soltanto una
crepa, una miseranda scalfittura sulle pieghe dell’essere, ma tu
l’hai trovata la mia crepa e la stai allargando con il tuo sorriso,
con la tua voce, con la tua luce. Non posso più fare a meno di te.
Non oso continuare la mia vita senza te…
Accidenti!
Questo si chiama scrivere. Il signor Nigro è un poeta. E chi
l’avrebbe mai detto? Allora Augusto, dai, trova la forza, trova il
coraggio di dichiararti, tu che non temi di vivere fra i morti, tu
che patteggi con la morte la certezza di un buon profitto. Riprendi
la lettera, spiega quei poveri fogli accartocciati e falli avere alla
signora Novotis. Vedrai come cadrà ai tuoi piedi.
Augusto
si vestì di tutto punto, indossò il paltò, il cappello, i guanti
neri e prese il bastone, come quando doveva contrattare un funerale
importante e si avviò verso la casa del borgomastro. Non distava che
due isolati dalla sua casa – laboratorio tassidermico, eppure quel
breve tragitto gli parve disagevole e faticoso quanto attraversare
l’oceano. Mille dubbi s’insinuarono nella sua mente. La lettera,
nella tasca interna della giacca di foggia antica, gli pesava sul
cuore.
Ma
finalmente, ecco il portone di casa Novotis. Con mano tremante
Augusto suonò il campanello. Chi avrebbe aperto? Il borgomastro,
Adelia, oppure uno dei suoi tanti figli? La porta si socchiuse. Il
convesso profilo di un corpo femminile si fece strada nella penombra.
Augusto sussultò.
“Buongiorno
signor Nigro. Cosa desidera?” La donna di servizio lo accolse con
gentilezza nel vestibolo.
“Buongiorno.
Volevo conferire con la signora Adelia, se possibile.”
Fu
fatto accomodare nel tinello. La stanza era in perfetto ordine. Da
qualche parte veniva odore di zuppa di porri e patate. Si udì un
frusciare di vesti e un ticchettio di calzature femminili. Poi la
porta si aprì e comparve la signora Novotis.
Augusto
scattò in piedi. Invano cercò parole adatte nella sua testa, quelle
che aveva provato e riprovato davanti allo specchio s’incagliavano
nella sua bocca senza saliva. Allora si prostrò in un inchino e,
senza osare guardarla negli occhi, le porse la lettera.
La
signora Novotis la prese e nel prenderla gli sfiorò le dita. Augusto
rabbrividì di un piacere segreto, indietreggiando di qualche passo.
Adelia inforcò gli occhiali e lesse.
E
cadde ai suoi piedi.
Ma
non come avrebbe desiderato lui.
“E’
stato un colpo apoplettico” sentenziò il dottore. “Non è raro
che accada in soggetti del tutto sani e vigorosi come la povera
signora Adelia.”
E
già che c’era, il borgomastro commissionò al signor Augusto le
esequie della moglie.
La
notte sopraggiunse improvvisa, tetra, sepolcrale.
E
altrettanto improvviso, tetro e sepolcrale, sopraggiunse il giorno.
Le
campane suonarono a morto. Celebravano lo sposalizio di una povera
donna con la terra. Il signor Augusto trasalì. Nonostante centinaia
di funerali alle sue spalle, era come se fosse la prima volta che le
udiva. Quei rintocchi, mesti e desolati, s’incuneavano nel suo
cuore, affondavano nelle oscurità della sua anima, pungolavano la
fonte delle lacrime. La lettera ad Adelia era ritornata nella tasca
interna della sua giacca di foggia antica e gli pesava tristemente
sul cuore.
Augusto
tornò a casa, scaldò l’acqua e si preparò il tè; la miscela
sobria e vigorosa della Polvere
da sparo
(1) gli graffiò la gola ed egli ne fu rinfrancato. Poi si diresse al
laboratorio e chiuse la porta. Ne riemerse soltanto nel cuore della
notte, stanco e affamato, ma soddisfatto. Aveva fatto un ottimo
lavoro.
Era
stato indaffarato per tutto il pomeriggio e buona parte della notte.
Aveva lavorato sulla signora Novotis. Non si era risparmiato. Aveva
dato fondo a tutta la sua esperienza, a tutte le conoscenze arcane
che, dalla notte dei tempi, attraversando l’antico Egitto, si
tramandavano di padre in figlio, di generazione in generazione, per
ridare la vita ai morti. L’aveva riportata allo stato di albedo,
alla purezza primordiale, alla verginità. Alla giovinezza. Le donne
hanno l’obbligo morale di farsi belle, anche le meno belle, anche
da morte.
Neppure
da viva la signora Adelia era stata più bella.
Ed
eccola lì Adelia, gli occhi grandi, contornati di bistro, una
cascata di capelli neri sul volto di alabastro, l’oro dei monili,
il blu dei lapislazzuli. Una piccola Hatshepsut
(2). E il signor Augusto Nigro si sentì più ricco e potente di un
faraone.
Aveva
tentato in tutti i modi di donarle il suo amore, di rompere il muro
che la separava da lei, di aprire una breccia per far entrare la
luce. Non ci era riuscito e la signora Adelia era morta prima di
poter conoscere la sua risposta.
Ma
la morte era giunta ancora, questa volta in suo aiuto.
Qualche
ora prima delle esequie era deceduta una vecchia megera senza parenti
e, in un lampo di genio, quello che ci colpisce soltanto nelle ore
più disperate, Augusto aveva rinchiuso il suo corpo disfatto dal
tempo e dalle fatiche nella cassa destinata ad Adelia. Nessuno
avrebbe mai scoperto il macabro scambio.
Augusto
sollevò Adelia e la strinse a sé. I suoi capelli gli solleticavano
il naso adunco. Useret-kau
nekeret-kau
(3). Ma la divina apparizione era priva di forza vitale. Il natron
(4) si congelava nelle sue vene al posto del sangue. I seni erano
duri e puntuti come piccole piramidi. Il cadavere della signora
Novotis gli scivolava dalle braccia ossute e non voleva saperne di
ricambiare il suo affetto.
La
sua dimora non era fra le braccia di Augusto, la sua dimora era fra
le stelle, come Orione nel ventre della notte.
Augusto
si affacciò alla finestra. Sirio sorgeva nel grande respiro del
cielo.
Passarono
gli anni. Molta gente nacque e molta gente morì nel villaggio. Gli
affari di Augusto andavano a gonfie vele, come sempre. Il borgomastro
perse le elezioni e un altro cittadino prese il suo posto. L’erba
cresceva sulla tomba di Adelia.
Augusto
tornò dal suo solito funerale del pomeriggio. Mise sul fuoco la
teiera e attese che l'acqua bollisse. Versò il tè in due tazze,
prese un vassoio ed entrò nel salone. Il fuoco del camino inondava
di bagliori rossastri i vecchi arredi e si rifletteva sul cristallo
della credenza.
Si
accomodò sul divano davanti al fuoco e sorrise forse per la prima
volta in vita sua. Le finestre erano oscurate da tendaggi pesanti
come drappi funebri. Nessuno avrebbe potuto guardare all’interno
della sua casa. Ma se per un caso fortuito e davvero originale, un
raro colpo di vento in una vallata in cui l’aria era sempre calma
avesse scostato per un attimo le tende e permesso alla luce della
luna di penetrare, si sarebbe visto il signor Augusto Nigro e la
signora Adelia Novotis conversare amabilmente davanti al caminetto al
tepore delle fiamme.
- Gunpowder, in inglese. Miscela di tè cinese particolarmente forte, dal sapore intenso e pungente.
- E’ stata il quinto faraone della XVIII dinastia, la prima e l’ultima donna nella storia dell’antico Egitto a detenere il titolo reale.
- In antico egizio, colma della forza, divina nell’apparizione. Il termine ka stava a indicare la forza vitale, era la parte dell’anima preposta a conservare i ricordi e i sentimenti della vita terrena. Il ka era destinato a riunirsi al corpo dopo la morte, a differenza del ba, che avrebbe trovato dimora fra le stelle.
- Carbonato decaidrato di sodio, usato nelle pratiche d’imbalsamazione.
NdA
La frase “C’è una crepa in ogni cosa. E’ da lì che entra
la luce.” nella lettera del signor Nigro è in realtà da
attribuirsi a Leonard Cohen.
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ANGELO MEDICI
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Il secondo racconto della serie dei colori. Oggi tocca al nero.
RispondiEliminaIl nero, a differenza del bianco, assorbe tutte le radiazioni luminose e nessuna luce visibile raggiunge l’occhio umano. Il nero ha sempre una connotazione negativa, è associato alla tristezza, alla tragedia, alla morte. Per i Masai è, invece, simbolo di prosperità, perché è da loro collegato al colore delle nuvole che portano la pioggia; il nero inoltre è l’altra fazione degli scacchi, quella che subisce il diritto di prima mossa del bianco. Il nero è anche il Caos primordiale, che precedette la Creazione preordinata al Cosmòs, essendovi prima d’allora nient’altro che le tenebre e ogni cosa era opaca e indistinta. Anche nell’antico Egitto era il colore della prosperità, perché richiamava la Terra Nera del Nilo, il nutriente limo ed era quindi associato alla fertilità. Nell’antica Cina era il simbolo del Nord e dell’Acqua. E’ anche il colore della palla numero 8 del gioco del biliardo, il mio numero portafortuna. E inoltre, il nero dell’avorio, il noir, la negromanzia (da morto), il gotico, l’art goth (l’argot, il vernacolo francese), la mano nera, l’Africa nera, il lavoro nero, la disperazione più nera.
Il titolo del racconto viene da un periodo della mia vita che ho soprannominato “agosto nero”.
RispondiEliminaIl tema de Il signor Augusto Nigro è la fisicità della morte, descritta in tutte le sue manifestazioni tanatologiche, il mero fenomeno fisiologico del decesso, governato da regole precise e immutabili. Non è tuttavia questa la componente del thanatòs che genera il dolore, ma l'idea che ne è causa, la separazione, cioè, l'allontanamento, la dispersione nel tempo e nello spazio. La disgregazione e la scomparsa.
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