Non
si tratta di qualcosa che ho definitivamente perso, no. E' come un
flusso di marea. So che tornerà. E' quello che voglio credere mentre
mi aggiro fra le pietre di questo borgo medievale. Per anni ho vagato
nella vita come un cieco, sbattendo contro porte chiuse che credevo
aperte. Quante volte ho atteso davanti a un muro aspettando che si
aprisse, credendolo una porta? E mi ritrovavo ancora una volta
sconfitto dall'impermanenza dei sentimenti. Niente dura per sempre.
Niente. Neppure l'amore.
Ma
oggi finalmente la luce. Quello che dovevo fare l'ho fatto. Ciò che
doveva compiersi si è compiuto. Il sole è all'orizzonte, assiso sul
trono nel punto più elevato del suo impero di luce. L'azzurro
infinito del cielo si riflette sulle cime dei monti e mi entra nelle
narici, nei pori, nel cervello. La luce è quasi insopportabile.
Oggi
è il solstizio d'estate, il giorno più lungo dell'anno. La luce ha
lottato con le tenebre e le tenebre sono state sconfitte. Ora sono
negli angoli umidi, defilati, ai margini della vita, dove si sono
ritirate, mogie mogie, a leccarsi le ferite. Ma fino a ieri pioveva e
ho trascorso la notte della vigilia in trepidante attesa che il sole
trionfasse sulla pioggia e sulle tenebre e soltanto all'alba ho
celebrato la sua vittoria.
La
brezza trasporta adesso un odore nuovo. L'ho già sentito, eppure
stento a riconoscerlo. E' dolce e penetrante, al tempo stesso, come
una fragranza di fiori sbocciati su nuvole di zenzero e cumino.
I
miei passi si muovono incerti nel gioco di luci e ombre dei vicoli.
Ma le pietre antiche, gli alberi, le case, mi riconoscono. Sei già
stato qui, sembrano dire, sicuro. Noi non dimentichiamo mai una
faccia e la tua ce la ricordiamo bene. Si che ci sei stato.
Si
che ci sono stato. Ma è accaduto tanto tempo fa. Però ricordo ogni
viuzza, ogni angolo di muro, ogni ciuffo d'erba. Non ho fatto altro
per tutta la strada che mi ha condotto fino qui. Forse, non ho fatto
altro per tutta la vita. Cercare di tornare e intanto, ricordare.
Ecco
finalmente la porta. Quella
porta.
Quante volte l'ho desiderata, quante volte ho sognato quell'uscio,
come fosse il portale dei sogni. Salgo gli scalini a due a due, e
stavolta la fortuna è dalla mia parte. La porta è socchiusa, spingo
il battente ed entro.
Un'oscurità
assoluta e ostile mi assale e mi divora, pezzo dopo pezzo; dapprima
una mano, poi le braccia e le gambe e infine il viso. Annego nel
buio. Il nero è opprimente. Il fondo di un pozzo senza fondo non
potrebbe essere più oscuro. La mia testa è imprigionata in un
vortice di vertigine e silenzio nel quale precipito. Non riesco a
respirare, non mi aspettavo questo buio così fitto e impenetrabile.
Sono cieco, sordo, muto.
Mi
muovo a tentoni in un piccolo dedalo di stanze, nicchie e corridoi.
Un angiporto annegato nel silenzio. Ma risento il profumo,
quell'odore che mi ha condotto fino qui, una scia di desiderio sparsa
sui muri, sugli orpelli, nell'etere di questo minuscola dimora.
Ogni
cosa in questa casa sa di lei. Soledad.
Ero
certo che quel nome avesse a che fare con le pianure assolate,
l'astro del giorno e la luce. Oggi apprendo che significa soltanto
solitudine.
Un
chiarore lontano disseta le mie pupille e lava via gli ultimi
granelli del deserto di tenebra; riprendo a respirare. La fiamma di
una candela tremola incerta in fondo al corridoio. La sua luce è
debole, ma ho visto quello che volevo vedere.
L'ultima
porta.
E'
a guardia di una stanza, dove sono tornato molte volte, in sogno.
Impugno la maniglia e spingo. Il legno antico scricchiola sui cardini
e il tenue chiarore che entra dal corridoio è un angolo di luce che
si apre lentamente e s'insinua nell'oscurità.
Capelli
corvini dai riflessi violetti, occhi neri ardenti, liquidi, come
velati dal pianto, tanto scuri da sembrare blu, la curva dei seni
morbida e piena. Monili d'oro sparsi sul suo corpo, gocce dorate,
intarsiate qua e là sulla pelle scura, come un'icona offuscata dal
tempo e dal fumo delle candele. Orofumo,
un giallo che sa di mistero e attesa, un colore antico, velato dalla
polvere del tempo, come un matrimonio fra la luce e le tenebre.
Adoro
il modo in cui il presente diviene passato. Ma oggi voglio fermare il
tempo, congelare il suo flusso, arrestare questa emorragia che mi
dissangua e che mi sta portando, ancora una volta, via da lei.
Spalanco
la finestra e il sole invade prepotente la sua stanza. La luce
irrompe come un oceano in tempesta e scatena la sua furia fra queste
quattro mura. Un maelstrom,
un vortice di luce nel quale sprofondiamo. Poi la burrasca si placa e
sul mare di luce torna la quiete. Onde di miele scendono liquide sul
suo corpo nudo, rallentando sulle convessità, affrettandosi nelle
concavità. E l'oro dei gioielli, dell'ombretto e delle sue unghie si
ravviva, si rianima e sembra fondere sotto i raggi del sole. Una
donna tutta d'oro, 24 carati soltanto per me. La sua pelle brucia e
abbaglia i miei occhi, i suoi seni svettano nella luce, la sua pelle
è oro. Lei sorride e mi confonde.
La
prepotenza dei suoi occhi, la sua voce dentro la testa, la sua figura
che svanisce e ricompare e, come la marea, va e viene. Le regole
dell'assenza ho imparato a conoscerle alla perfezione.
L'abisso
fra le gambe trasuda miele, il frutto del sole, dolce e delicato.
Sono insaziabile, incontenibile, folle. Ne sono ghiotto da star male.
Questo male dentro, un dolore appiccicoso e dolce come il miele,
scivola fra le mie dita e finalmente me ne nutro.
Male
di miele.
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