Alla
fioca luce di questa lampada, il mondo appare così com’è, come dovrebbe essere;
l’ombra della matita segna una traccia obliqua nel mezzo del foglio, una rotta
verso le profondità nascoste del mio cuore. A quest’ora di notte, ogni cosa può
accadere, perfino il fatto che io scriva, finalmente, qualcosa di decente, che
la più bella delle donne venga a strofinarsi il vello sul mio tavolo, o che io
muoia.
Sento
aria di partenza, il vento sta cambiando.
Vorrei
stasera una piccola nave per solcare le acque nere, placide, sotto un velo
trapuntato di stelle e un’isola sperduta, confusa tra il nero del cielo e il
nero del mare. E una donna in attesa sulla spiaggia, i piedi lambiti dai flutti
e i lunghi capelli tremolanti nella brezza. E il caldo rifugio del suo cuore tutto
per me.
Ma
Penelope dorme, all’ombra della sua tela. E i suoi occhi sognano danze
sconosciute.
Vorrei
svanire in un soffio di vento, svoltando l’angolo di una vita intera. E
attraversare il mare all’infinito, onda dopo onda, ruggito dopo ruggito e mai
arrivare a lei. E accontentarmi del gusto sapido dell’attesa, della promessa
del vento tra i suoi capelli, che sussurra: “Finalmente sei qui”.
Ma
il mio nome risuona nella rada silenziosa, incorporeo ed etereo, un pallido
fantasma, effimero come un fuoco fatuo che appare e scompare nella notte.
“Non
piangere ora” aliterei al suo orecchio “Non piangere mai più”
Si
agita nel sonno, sussurra frasi incomprensibili.
Io
sono il vento fra i suoi capelli, io sono il mare che bagna i suoi piedi.
Moriremo
insieme sul finire dell’estate, i nostri corpi cadranno in un mare d’erba e di fiori,
essi troveranno tralci e pampini per sudario, riposeremo nel ventre profondo
del mare e canteremo per sempre la stessa canzone.
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ANGELO MEDICI
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