lunedì 30 giugno 2014

Luna nuova


New moon on Monday
and a firedance through the night
I stayed the cold day
with a lonely satellite…
La luna nuova sorgeva all’orizzonte, come un occhio nero contro un cielo ancora più nero, un occhio chiuso, si sarebbe detto, che si sarebbe aperto nel volgere di un mese.
L’occhio della notte.
COPYRIGHT 2014 ANGELO MEDICI
Tutti i diritti riservati
Riproduzione vietata

giovedì 26 giugno 2014

Odore di terra bagnata


 
Odore di terra bagnata, il fondo del bosco screziato di luci e ombre, il sole ingaggia una battaglia con le chiome dei pini e dei faggi e spesso ne è sconfitto. Macchie gialle interrompono la monotonia del verde, quasi nero all’ombra. Fiori di taràssaco, buoni per il risotto.

Non è l’ora, non è il luogo, non era il caso di venire qui. Il letto era caldo e la stanza ancora buia, i tentacoli del sonno erano inestricabili e pure li ho spezzati con l’acciaio della mia volontà.

Non vorrei essere qui, non lo vorrei neppure se mi pagassero tutto l’oro del mondo. Vorrei evaporare al sole di maggio, come un pugno di lacrime di rugiada e svanire in un alito di vento.

Non vorrei essere qui, eppure ci sono e questo è un fatto immutabile che sconvolge le mie illusioni, le scompiglia, le spazza via come un vento impetuoso, è un maglio che m’inchioda al muro di una nuova consapevolezza.

Le cime aguzze delle vette si liberarono in quel momento dalle nubi che le avevano cinte come calde berrette da notte. L’alba giungeva fresca e preziosa, prodiga di raggi solari, che svegliavano la stretta vallata incuneata tra le ripide montagne. Passavo tutto il tempo a naso insù, non lo facevo da quand’ero bambino. A causa della bassa statura, ero costretto a guardare il mondo degli adulti con un eterno mal di collo, che si protrasse ben oltre l’adolescenza. Ma, nel giro di una sola settimana, crebbi di venti centimetri, come gli asparagi che crescono al limitare del bosco, di colpo, dopo la pioggia.

Non ero più abituato alle vette. Me le sentivo addosso, un’orda di giganti immobili e silenti. Mi mancava il fiato e annegavo tra vortici di vertigini.

COPYRIGHT 2014 ANGELO MEDICI

Tutti i diritti riservati

Riproduzione vietata

giovedì 19 giugno 2014

Svanire in un soffio di vento


 

Alla fioca luce di questa lampada, il mondo appare così com’è, come dovrebbe essere; l’ombra della matita segna una traccia obliqua nel mezzo del foglio, una rotta verso le profondità nascoste del mio cuore. A quest’ora di notte, ogni cosa può accadere, perfino il fatto che io scriva, finalmente, qualcosa di decente, che la più bella delle donne venga a strofinarsi il vello sul mio tavolo, o che io muoia.

Sento aria di partenza, il vento sta cambiando.

Vorrei stasera una piccola nave per solcare le acque nere, placide, sotto un velo trapuntato di stelle e un’isola sperduta, confusa tra il nero del cielo e il nero del mare. E una donna in attesa sulla spiaggia, i piedi lambiti dai flutti e i lunghi capelli tremolanti nella brezza. E il caldo rifugio del suo cuore tutto per me.

Ma Penelope dorme, all’ombra della sua tela. E i suoi occhi sognano danze sconosciute.

Vorrei svanire in un soffio di vento, svoltando l’angolo di una vita intera. E attraversare il mare all’infinito, onda dopo onda, ruggito dopo ruggito e mai arrivare a lei. E accontentarmi del gusto sapido dell’attesa, della promessa del vento tra i suoi capelli, che sussurra: “Finalmente sei qui”.

Ma il mio nome risuona nella rada silenziosa, incorporeo ed etereo, un pallido fantasma, effimero come un fuoco fatuo che appare e scompare nella notte.

“Non piangere ora” aliterei al suo orecchio “Non piangere mai più”

Si agita nel sonno, sussurra frasi incomprensibili.

Io sono il vento fra i suoi capelli, io sono il mare che bagna i suoi piedi.

Moriremo insieme sul finire dell’estate, i nostri corpi cadranno in un mare d’erba e di fiori, essi troveranno tralci e pampini per sudario, riposeremo nel ventre profondo del mare e canteremo per sempre la stessa canzone.

COPYRIGHT 2014 ANGELO MEDICI

Tutti i diritti riservati

Riproduzione vietata

lunedì 16 giugno 2014

I versi del tango


 

Dai quartieri malfamati di Buenos Aires, parole che sembrano scritte da Borges e Carlos Gardel insieme, in una notte di pioggia. Sono i versi del tango. Se la letteratura sudamericana è vasta quanto quella russa, il tango argentino è immenso come l’oceano.

Perché “questo è il tango, la musica di Buenos Aires, nata nei bassifondi e che oggi domina il mondo” (La cancion de Buenos Aires)

 

Ho passato la vita morsicando sogni

Sono un cane che non ha padrone

Nutro odi che non ho mai detto

Quando amo mi dissanguo in baci

(La cumparsita)

 

E in quella strada di noia

Strada perduta

Lasciò un brandello di vita

E se ne andò

(Naranjo en flor)

 

Più fragile di un cristallo

È stato il nostro amore

(Cristal)

 

Amo il Sud

La sua brava gente

La sua dignità

Sento il Sud

Come il tuo corpo nell’intimità

(Vuelvo al sur)

 

C’è una cosa sottile e suprema

Che ci arriva serena

E’ lealtà, sentimento e bontà

Si chiama amicizia

(Amor que yo quiero)

 

Cosa ne sanno i timidi e i vanesi?

Che ne sanno del ritmo?

Che ne sanno del tango?

(Asì se baila el tango)

 

Stanca tanto sentire

Questo rumore di pioggia fine

Che piange il tempo

Di ciò che il mio cuore ha amato

(Ninguna)

 

Di notte quando torno a casa

Non riesco a chiudere la porta

Perché lasciandola aperta

M’illudo che tornerai
(Mi noche triste)



Mia amata Buenos Aires

Quando ti rivedrò

Non ci saranno più dolori

Né oblio

(Mi Buenos Aires querido)

 

E tutto nella penombra

Crepuscolo all’interno

È di morbido velluto

La penombra dell’amore

(A media luz)

 

E’ stato il sogno di un dolce amore

Ore di felicità

E’ stato il poema di ieri

L’ho sognato ed era dorato

(Poema)

 

Sono una stella nel mare

Che oggi si ferma

Per sprofondare nei tuoi occhi

(Esta noche de luna)

 

Malena canta il tango come nessuna

La sua voce profuma d’erba di periferia

Malena canta il tango con voce d’ombra

(Malena)

 

Quando la fortuna che è una puttana

Tradendoti ti avrà allontanato

Quando sarai in mezzo alla strada

Senza meta

Disperato

Vedrai che tutto è menzogna

Vedrai che niente è amore

Che al mondo niente importa

(Yira Yira)

 

E per finire…

 

Non svegliarti se sogni l’amore

Nina hermosa

Che amare è sognare

Svegliarsi è infrangere le illusioni

E scoprire tra le ombre

L’amara verità

(Sonar y nada mas)

mercoledì 11 giugno 2014

Lo Stato che non è stato


 

Le regole della raccomandazione, dei favoritismi, la cultura della mazzetta e della bustarella, prima ancora che i camorristi l’ha diffusa sul nostro territorio proprio lo Stato, che invece è stato del tutto assente nell’offrire opportunità alternative e legali alla nostra popolazione.

Non voglio allontanare da me la responsabilità che la camorra e io stesso abbiamo avuto, ma probabilmente le nostre condotte sono state anche conseguenza di questo abbandono dello Stato nei nostri confronti

(Antonio Iovine, detto O’ Ninno)

Lo Stato dunque non c’è? Lo Stato c’era, lo Stato c’è, c’è sempre stato, ma al Sud, invece della legalità, ha offerto mazzette e bustarelle, corruzione e concussione. La Repubblica del malaffare. E cosa costava alla Repubblica Italiana fare quello che era tenuto a fare per definizione, cioè applicare la legge, perché la legge è il fondamento dello Stato?

Che non stiano a fare tanti sofismi, i politici con la camorra ci hanno mangiato e le hanno dato da mangiare, ingrassando insieme e ora vogliono rifarsi una verginità improbabile, come luride puttanelle di periferia.

Ma già, dimenticavo, al Nord si applica la legge, al Sud non è cosa, troppo complicato, troppo macchinoso, troppo pulito. Il Sud sta già inguaiato, chi se n’accorge se violiamo un comma qua, se si dimentichiamo di applicare un articolo là? che vuoi che sia, strappo più, strappo meno e calci in culo alla legalità!

Ma pare che l’illegalità sia l’unica cosa che ci unisca noi del Sud a quelli del Nord, ormai gli scandali più grossi scoppiano al Nord, forse perché da noi non c’è più niente da far scoppiare, vedi Expò, vedi Mose. E, parafrasando l’articolo 1 della Costituzione, possiamo seriamente dichiarare che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sulla corruzione.
Sono questi i temi che affronterò nel mio prossimo libro, un romanzo criminale, sulla malavita e il malaffare, ma anche sull’ipocrisia e il perbenismo. Spero che qualcuno abbia lo stomaco di pubblicarlo.
 
 
 

 
 
 


giovedì 5 giugno 2014

Blocco dello scrittore?


 

Ieri notte ho sognato di scrivere. Ero felice, da tanto non lo facevo. Tranquilli, non è il blocco dello scrittore, almeno non ancora, mi sopporterete per un bel pezzo su questo blog. Ho tante cose da dire, cose che diverranno presto materia di scrittura e pensieri, angosce e sogni e incubi, che si fonderanno in parole, che sublimeranno trame e nuove storie. No, ne sono certo, non è il blocco dello scrittore. E’ più una sorta di raffreddamento, fugace e istintivo, della sensibilità della mia mano destra. Essa non sente più la carta, l’inchiostro, la penna, i tasti del computer, non sente più irrompere ondate frenetiche di impulsi elettrici nei suoi stanchi tendini e non le converte più in scrittura.

E la sinistra, intanto, cosa fa? Non so, vive di vita propria come se non fosse più mia, come se appartenesse a qualcun altro. Non la riconosco più. L’arto di un morto attaccato a un avambraccio mozzo, che non fa il suo dovere.

Quando mi sono svegliato, tuttavia, ho dimenticato quello che avevo scritto e mi sono molto rammaricato che il sogno non fosse la realtà. Allora, ho preso il primo foglio a portata di mano, ho impugnato la penna e ho cominciato a scrivere. Senza quasi rendermene conto.

Potere dei sogni, magia della scrittura, arcano incantesimo che li imprigiona in un pezzo di carta.
Il blocco, se mai c’era stato, è svanito. La sensibilità è tornata a pulsare nelle mie mani, come un’ondata di calore sano e dolce. Avvertivo al tatto, in rilievo, le parole allineate sul foglio a opera della mia penna, come un muto, ma nitido alfabeto Braille che avevo, finalmente, imparato a decifrare.

martedì 3 giugno 2014

Ho visto una donna piangere



Oggi ho visto una donna piangere. Ne avevo viste tante, ma questa mi ha colpito. Il suo corpo esile, la sua figura delicata sobbalzava nei singulti. Ha iniziato a piangere senza preavviso, i suoi occhi scuri si sono velati di lacrime che sono lentamente scivolate lungo il  viso pallido, incorniciato dall’hijab, punteggiandole poi il vestito di macchie più scure. Era una donna che veniva dall’altra parte del mare, una creatura dolce e gentile, ma il suo cuore era  abituato a sanguinare.
Erano gocce chiare e trasparenti, pure, come pura era la sua pena. Le sue lacrime  evocavano memorie assopite di terre lontane, che forse un tempo conoscevo anch’io. Era come se da ogni sua lacrima nascessero torrenti, fiumi, mari interi e oceani vasti quanto il suo dolore incolmabile e antico, sofferenza autentica, non un mero frignare per dispetto, come fanno alcune per farci sentire in colpa, anche quando, una volta tanto,  non ne abbiamo. Era un pianto sommesso, rassegnato, mi è sembrato che fosse abituata a farlo, come se piangesse da quando era venuta al mondo, quasi fosse la sua condizione naturale di femmina in luoghi in cui il solo fatto di esserlo è di per sé una disgrazia. Come se il dispiacere fosse la compagnia abituale dei suoi giorni e il suo cuore di donna e di madre fosse straziato quotidianamente da una nuova pena.
Avrei voluto confortarla, abbracciarla, lenire il suo tormento, ma non sono riuscito a muovere un dito. Non ho osato. Come avrebbe interpretato il mio gesto? Come il tentativo di un infedele di toccare, violare il corpo di una donna pura, inarrivabile, di sfiorare la sua pelle candida come una distesa di neve sulla sua carne di terra pulita dove scorre il fiume placido e limpido del suo sangue?
Ho detto solo poche frasi di circostanza, quelle che si dicono a chiunque non ci appartiene e una volta pronunciate, il loro dolore appare ancora più estraneo e lontano. Ma lei mi ha ringraziato ugualmente, nel suo linguaggio dolce e gentile e il suo grazie, lo sentivo, veniva dal più profondo del suo animo fragile e segnato dai lutti. Si è asciugata le lacrime, lentamente, con gesti privi di ostentazione. Poi ha ripiegato il fazzoletto con cura e lo ha riposto con attenzione nella borsetta, come se invece delle sue lacrime, vi fossero incastonate pietre preziose. E tali erano per me, gemme rare e pure. Una per ogni lacrima versata.
Sono certo che la sua borsa contenesse un tesoro.