Ho trovato strane
reminiscenze del mio romanzo in Racconti
carnivori
di Bernard
Quiriny.
L'opera è stata pubblicata nel 2008, ma l'ho letta solo otto anni
dopo, indotto ad acquistarla da un bell'articolo sulla terza pagina
del Corriere
della Sera.
Abbiamo ancora bravi giornalisti in Italia.
La densità di
scrittura mi ha ricordato un po' Buzzati,
anche nei titoli, ma il piglio narrativo e la struttura della
raccolta mi conducono dritto dritto a Borges
e al suo Aleph.
“Ero agitato
all'idea di camminare a fianco di una tale bellezza...”
“...vuole
continuare la passeggiata con me?”
“...al suo
braccio avevo l'impressione di scoprire strade e piazze che pure
conoscevo a memoria.”
Sono brevi frasi
tratte da Sanguigna,
il racconto che apre la serie delle storie
sarcofaghe.
Alcune di esse richiamano stranamente le circostanze dell'incontro
fra Heinrich e Josefine. Aggiungerei anche: “il
magnetismo dei suoi occhi era sbalorditivo”.
Ciò che colpisce Heinrich è però una sorta di fascinazione al
contrario, un horror
vacui,
l'insana attrazione per gli abissi. E dunque, la vacuità dello
sguardo della donna misteriosa, le insondabili profondità dei suoi
occhi (1), sono per lui come la fiammella della candela per la
falena.
Egli ha quasi paura
di lei e del suo sguardo, senza sapere perchè, o forse intuendolo
appena e subito dimenticandolo, momentaneamente felice che gli sia
stato concesso il privilegio di passeggiare accanto a una donna di
così rara bellezza. E proseguendo la passeggiata con lei, ha la
sensazione che la città della sua nascita sia per lui
irriconoscibile e misteriosa.
Ma la spiegazione è
molto più prosaica. Colonia, le sue piazze e le sue strade, i
profili familiari, sono stati sventrati da crudeli bombardamenti.
Come il protagonista
di Sanguigna,
Dammerschlaft
parla molto - parla, parla, ma quanto parla! - mentre la sua
controparte femminile è quasi muta. E tuttavia, l'incontro le è
fatale: è colpita e affondata dalla sua capacità narrativa, la dote
dell'affabulatore, del contastorie
e dello
scrittore.
La storia del naufragio fa naufragare anche lei, fra le braccia
dell'ufficiale tedesco.
Ancora, nel racconto
di Quiriny,
la donna mito alla fine scompare e torna a essere irraggiungibile.
L'inafferrabilità, l'incomprensibilità, l'asimmetria
della bellezza,
oltre che nel romanzo, riecheggia anche nel mio Racconto
dell'alba.
E infine, la sua sparizione, provocata – o causata - dal
protagonista, si ritrova in entrambi (sia in Hotel
Vasteland,
che in Racconto
dell'alba).
Ma passiamo al
secondo racconto della raccolta
carnivora,
Il
vescovado d'Argentina.
La storia è intessuta intorno al tema
del doppio,
altro territorio esplorato in Hotel
Vasteland,
o per meglio dire, che resta inesplorato anche dopo Hotel
Vasteland.
Il motivo del doppio
si riflette poi negli specchi di Miscugli
amorosi.
Ed è superfluo riferirsi al mio romanzo, che vive proprio sui
riflessi degli specchi.
Per tacere della
perdita
della memoria
(Tristi
racconti di Eicher,
in Cronache
musicali d'Europa e dintorni)
e della crisi
d'identità
ancora in Miscugli
amorosi,
“...si
osservava le mani come se avesse il dubbio che non fossero le sue”.
(1)
Ricordate Modigliani che dipingeva le sue donne senza occhi? E
si giustificava: “Quando conoscerò la tua anima, dipingerò
i tuoi occhi”.
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