“Gregor
Samsa, svegliandosi una mattina da sogni agitati, si trovò
trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo.”
Questo
è il memorabile incipit de La metamorfosi
di Franz Kafka. Poche
righe, scritte come se si trattasse della normalità, ci precipitano
nell'orrore.
Ma,
secondo Vladimir Nabokov (1),
l'autore di Lolita,
Gregor Samsa non si accorse di una cosa, e lo scrittore non ne fa
cenno.
Kafka
è spesso reticente, non dice, e quello che dice non spiega,
nascondendolo sotto uno strato di assurdità e anomalia. Il nostro
Franz lavorava per contrazione e decostruzione. La sua era scrittura
per sottrazione. Egli ci scaraventa dentro le sue storie e lì ci
lascia a marcire, fra i mille dubbi che c'insinua nella mente, ma
che non chiarirà.
A
partire da un determinato scenario, egli spoglia il testo e lo
scarifica fino all'osso, pare quasi impersonare nella letteratura il
ruolo dell'aquila che dilania Prometeo incatenato alle rocce del
Caucaso (Prometeo,
1918) o l'avvoltoio che assale il viandante (L'avvoltoio,
1920), ma invece di divorare le strutture interne o i piedi della
narrazione, egli sottrae pluralità di significati alla scrittura,
fino a gettarla sotto una nuova luce, tetra e sinistra, che il più
delle volte si rivela insopportabile. Insopportabile perchè mette a
nudo, sotto quella luce spietata, il dramma della natura umana alle
prese con le angosce della modernità.
Siamo
nel pieno degli incubi del Novecento.
Kafka scrisse La metamorfosi
nel 1912, di lì a poco sarebbero arrivati i massacri della Prima
guerra mondiale, i regimi dittatoriali, e poi la Seconda guerra
mondiale, i campi di sterminio, i gulag e le foibe, e questa serie
nefasta di morte e distruzione non si è interrotta all'ingresso del
nuovo millennio, anzi ne ha oltrepassato la soglia ed è proseguita
con altre guerre, altri campi di concentramento e altri massacri. Il
Secolo Breve, ma anche
l'inizio del Secondo Millennio,
a quanto è dato vedere, sono la crisi dell'individuo stritolato
negli ingranaggi del collettivo, la spersonalizzazione,
l'inquietudine, la colpa oggettiva, che scatena la punizione per un
delitto che non conosciamo, non comprendiamo o non abbiamo commesso e
la deumanizzazione:
prendere un uomo e ridurlo a bestia, trasformarlo in qualcos'altro,
attraverso l'incubo che diviene reale, l'esperimento
del non-uomo nei lager (2). I tempi
moderni sono una sorta di incubo, dal quale non riusciamo a
svegliarci e l'incubo dal quale non sappiamo o non possiamo uscire,
Borges lo chiama
inferno.
Ma
torniamo alla metamorfosi di Gregor Samsa e proviamo a scoprire anche
noi quello che secondo Nabokov, Kafka non ci rivela.
“Riposava
sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo
vedeva il suo ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti
ricurvi, in cima a cui la coperta da letto, vicina a scivolar via
tutta, si manteneva a fatica. Le gambe, numerose e sottili da far
pietà, rispetto alla sua corporatura normale, tremolavano senza
tregua in un confuso luccichio dinanzi ai suoi occhi.”
Abbiamo
sempre pensato che Samsa si svegliasse trasformato in scarafaggio. E
invece, non è così. Kafka non usa parole a caso, la sua descrizione
è molto precisa, chirurgica, oserei dire. Sta parlando di una specie
di coleottero gigantesco e rivoltante. Ma, ogni coleottero che si
rispetti, sotto le elitre, che sono placche cornee del dorso,
nasconde le ali.
Gregor
Samsa poteva volare!
Poteva
spiccare il volo e guardare dall'alto la sua piccola vita di commesso
viaggiatore. E a mio parere, la pesantezza del suo stato, la sua
penosa situazione, dipendeva strettamente dall'assenza di
rivelazione. Gregor Samsa avrebbe potuto incontrare il satori
nella sua nuova dimensione di insetto alato. Nel suo caso,
paradossalmente, l'incubo si sarebbe trasformato nel sogno della
liberazione. A Gregor è stata data una possibilità, un'occasione
irripetibile. Ma egli non la coglie. Non solo Samsa non vola via, ma
finisce i suoi giorni imprigionato nel suo esoscheletro da insetto.
In
generale, nella metamorfosi del commesso viaggiatore, io leggo la
metafora dell'ignoranza, dell'incoscienza, intesa come non conoscenza
della dimensione umana. Gregor Samsa non sa di poter volare,
esattamente come noi non sappiamo di poter vivere.
L'inconsapevolezza
della nostra vera natura c'inchioda al destino dell'insetto.
(1)
In Lezioni di letteratura.
(2)
Sbalorditivo è, a questo proposito, il racconto Di
notte che, malgrado sia stato scritto da
Kafka nel 1920, pare sinistramente profetico nel descrivere qualcosa
di molto simile a campi di concentramento. “...in
una regione desolata, un campo all'aperto, un numero sterminato di
uomini, un esercito, un popolo, sotto un cielo freddo sopra la terra
fredda, buttati là dove prima erano in piedi...”.
Ringrazio Antonina Di Martino, Nina dei mandarini, se posso permettermi questa licenza, per avermi fatto venire l'idea e la voglia di scriverne.
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