Fino
a poco tempo fa tenevo con costanza una sorta di diario sul quale
annotavo le mie riflessioni, le mie sensazioni e i pensieri meno
limpidi. Quel diario era lo specchio esatto dei tempi che vivevo.
Era, insomma, una sorta di breviario estremamente negativo dei miei
giorni e delle mie notti, un florilegio dei miei desiderata, per
troppo tempo sospeso tra lucidità e follia, di quei tempi da lupi
che stavo vivendo, densi di infamie e miseria morale, tempi che in un
futuro non troppo lontano vorrò probabilmente dimenticare.
Oggi
il diario non c'è più - non valeva la pena raccogliere quei miei
pensieri neri, quelle mie frasi disperate e patetiche su una pagina
inutile di un altrettanto inutile diario -. ne ha preso il posto una
sorta di agenda, una speciale scatola delle idee (Il taccuino,
Bernard Quiriny), un posto in cui annotare parole prima che
svaniscano e di cui prendermi cura quando resto da solo, un luogo di
sosta della memoria, una palestra delle riflessioni (Il diario di
appunti, Marguerite Duras).
Ma
in quel diario scomparso, in un lontano giorno di marzo, avevo
annotato...
M’imbatto a volte in
resoconti storici sul Risorgimento e sull’Unità d’Italia, sono
belli da leggere, affascinano e un po' accarezzano l’orgoglio
nazionale, nel presente troppo mortificato. Ma soltanto quelli
firmati da storici italiani sono così epici. Dagli storiografi
stranieri, che secondo me sono quelli più attendibili, emerge
tutt’altra realtà. E attenzione, sto parlando di gente del calibro
di Dennis
Mack Smith
e di Arthur
Clarke.
Da tali studi, che si basano su documenti storici attendibili, pare
che l’Unità d’Italia sia stata “accidentale”,
cioè, che sia avvenuta come per caso, mentre si stava facendo
qualcos’altro.
Ma com’è possibile?
Se ci pensate bene, se
leggete attentamente fra le righe della Storia, quella ufficiale,
quella con la esse maiuscola, vi accorgerete che è così.
Garibaldi partì da Quarto
per sbarcare in Sicilia e da lì risalire la penisola fino a Roma,
liberarla e farne la capitale d’Italia. Ma lo desiderava soltanto
lui, idealista fuori dal mondo (“un
onesto babbeo”
lo definisce Leonardo del Boca in Maledetti Savoia). Infatti, tutto
questo, per evidenti ragioni di realpolitik
non si poteva fare, senza scatenare una guerra europea, che nessuno
aveva interesse a combattere, con Francia, Austria, Russia, Prussia,
Inghilterra e la neonata Italia. Allora Vittorio Emanuele, allarmato
da Cavour, attraversò di volata le Romagne, le Marche e gli Abruzzi
e lo fermò a Caianello. E, voltandosi indietro, si rese conto di
essere diventato Re d’Italia, praticamente senza volerlo e
soprattutto, senza sapere cosa farsene. Ma qualcosa ci fece e non fu
la cosa migliore che poteva.
Chi può più credere,
ormai, alla favola che siano bastati 1.000 uomini male armati e messi
peggio in arnese, ma con la camicia rossa, a piegare l’esercito più
numeroso e meglio organizzato della penisola italica e soprattutto,
senza essere stati prima intercettati dalla più potente marina da
guerra del Mediterraneo (l'Armata di mare borbonica), dopo
quella francese e di Sua Maestà britannica?
La storia dell’Unità
d’Italia, al di là della retorica ufficiale appare, in realtà,
come un intreccio di servizi
segreti
(piemontesi, inglesi, francesi), potenze
straniere
(Francia, Inghilterra), associazioni
segrete
(carboneria, massoneria, Giovane Italia), fondi
neri (il
famigerato milione di piastre turche, una cifra spropositata per
l’epoca, tirata fuori non si sa da chi, per ungere e corrompere
governanti e funzionari borbonici e alti ufficiali dell'esercito e
della marina), corruzione
(appunto!), malaffare
(spoliazione di terre alla Chiesa e ai nobili decaduti, per
rivenderle all’asta, anziché assegnarle ai contadini meridionali
che da secoli le inzuppavano di sangue e sudore, industrie e fiorenti
manifatture del Sud distrutte o costrette a chiudere ed essere
sacrificate a quelle del Nord), stragi,
di stato (e
non),
impunite (sempre):
Bronte, Pontelandolfo, Casalduni e tante altre, intrallazzi
con la criminalità organizzata
(con i picciotti mafiosi per preparare dapprima la pseudo –
insurrezione e poi lo sbarco in Sicilia).
Ma tutto questo non vi
ricorda qualcosa? Qualcosa di familiare, qualcosa che sa
maledettamente di deja
- vù?
Non vi sbagliate, la recente
storia italiana è piena di tutti questi elementi fondativi. Non
siamo andati poi così lontano dal Risorgimento. Anzi, l’Italia è
stata costruita proprio su queste basi.
L'Italia è una repubblica
democratica fondata sul lavoro?
Neanche per sogno.
L’Italia è stata fondata
sulla corruzione, sul malaffare, sulle cento stragi ancora in cerca
di un colpevole e di un perché.
I servizi
segreti
deviati, insieme a quelli stranieri (CIA
e KGB
in primis) hanno operato senza scrupoli e influenzato pesantemente la
politica italiana, potenze
straniere
come gli Stati Uniti e l’ex URSS hanno fatto deviare più volte il
corso della storia, condizionandone gli eventi. Non dimenticate che
l’Italia era, durante la guerra fredda, il campo di battaglia fra
l’Occidente e il blocco comunista. I fondi
neri (per
finanziare illecitamente i partiti e per ogni altro genere di impiego
delittuoso) ci sono sempre stati (dopo è arrivata anche la
depenalizzazione del falso in bilancio, per nasconderli meglio), così
come le associazioni
segrete e massoniche
(loggia
P2, Gladio, Gladio rossa, Grande oriente).
La corruzione
e il malaffare
hanno costituito e tutt’ora costituiscono la trama e l’ordito sul
quale si muovono interessi di pochi a scapito di molti, lobbies
partitico – affaristiche e subdoli personaggi in cerca di notorietà
e successo, che imperversano riempiendo le cronache (tangentopoli,
il crac del Banco ambrosiano, lo Ior, il crac Parmalat, i furbetti
del quartierino, le escort, quelli che ridevano durante il terremoto
de l’Aquila, pensando all’affare della ricostruzione),
stragi
moderne, omicidi eccellenti e sparizioni misteriose
continuano a restare impunite o praticamente tali in un lungo e
sanguinoso elenco (strage
di Piazza Fontana, strage di Piazza della Loggia, strage di Peteano,
strage dell’Italicus, strage di Ustica, strage di Bologna, strage
di San Benedetto Val di Sambro, incidente aereo di Mattei, omicidio
di Pasolini, omicidio di Sindona, omicidio – suicidio di Calvi,
rapimento omicidio Moro, sparizione di Emanuela Orlandi)
e grazie a Dio, non ci siamo mai fatti mancare gli intrallazzi
con la criminalità organizzata
(il
patto scellerato fra DC e Cosa nostra, la trattativa tra lo Stato e
la Cupola all’epoca della deriva stragista mafiosa, le vicende del
senatore Dell’Utri, quelle di Mangano, stalliere di Berlusconi,
addirittura, i legami, presunti, perché ancora oggetto di indagini,
tra la ‘ndrangheta e la Lega Nord).
Il presente affonda
pesantemente le radici nel passato, così come il futuro le affonderà
nel tempo presente.
Non c’era scampo, quindi?
Non c’era davvero alcuna possibilità di poter vivere in un’Italia
libera e indipendente, onesta e fondata sul lavoro, come recita la
Costituzione? Dove personaggi loschi e delinquenti matricolati stiano
davvero nell’unico posto in cui meritano di essere e cioè, in
galera e non comodamente assisi in Parlamento (quando ci vanno)?.
E il futuro cosa ci
riserverà? Se traiamo auspici dal presente e dal recente passato,
probabilmente, anzi, senza probabilmente, ben poche speranze.
Povera Italia! Ancora serva
e derisa, ancora divisa (1).
Ancora troppo simile a
quella che era sotto gli stivali degli Austriaci.
Ancora uguale a quella
cantata nel semisconosciuto Inno nazionale.
- Noi fummo da secoli calpesti, derisiperchè non siam popoliperchè siam divisi(Inno, Goffredo Mameli 1847)
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