L'alba
si è levata indolente e livida. Stamattina il cielo è una lastra
d'acciaio che si chiude sulla baia. Gabbiani stridono in volo sul
moto perenne del mare e il loro verso è quasi un'accusa al sole che
non c'è. Ho infilato il mio maglione bianco e sono sceso in
spiaggia. Il vento è quasi insopportabile e lo sguardo di Dick
sembra chiedermi se abbiamo fatto bene a uscire con questo tempo.
Raccatto un pezzo di legno portato dal mare e lo tiro lontano. Una
felicità inattesa scioglie i suoi dubbi e i suoi muscoli. Scatta
come un levriero, anche se non lo è, e in pochi secondi raggiunge il
bastone e me lo riconsegna, tutto fiero della sua impresa.
Mi
avvicino alle onde attento a non bagnarmi i piedi e nel momento in
cui il mare si ritira lasciando una coltre di spuma, mi sporgo e
tuffo una mano in acqua e con quella mi bagno la fronte, la bocca e
il petto come per invocare una benedizione marina. L'acqua è gelida,
affondo la mano nel calore della tasca, ma ci metto un po' a
scaldarla.
Il
giornale di ieri svolazza nel vento come un aquilone imperfetto.
Siamo soli, gli unici idioti a sfidare il vento, e di sicuro ci
aspetta un bel raffreddore, ma siamo felici, Dick e io. Felici della
reciproca compagnia, di questa spiaggia deserta e di questo vento che
mi manda la sabbia negli occhi e gli fa rizzare le orecchie e il pelo
come se avesse dei fili attaccati, le cui estremità sono in mano a
un burattinaio. E' buffissimo e quando rido lui si volta a guardarmi
con un'aria vagamente offesa che mi fa ridere ancora di più.
E
queste cosa sono? Dick drizza le orecchie.
Impronte,
lievi passi sulla sabbia, footsteps
in the sand (1).
Di chi saranno? Io e Dick ci guardiamo con la stessa domanda negli
occhi. La cosa strana è che le orme cominciano proprio qui, in mezzo
alla spiaggia e da qui si dipartono verso le dune erbose, come se
colui che le ha impresse fosse spuntato sull'arenile in questo punto
preciso.
Dick
codaritta
pianta il naso nella sabbia, fiuta le impronte e d'improvviso parte.
L'odore deve aver catturato la sua curiosità. Non è proprio una
corsa in linea retta, zigzaghiamo qua e là a cavallo della lunga
scia di orme, a volte torniamo indietro, altre lui si ferma e mi
guarda come se non sapesse cosa fare. Ma le orme continuano.
Lo
incito a proseguire, mettendo i piedi esattamente dove li ha messi il
tizio che ci ha preceduto. Le impronte sono leggere, appena impresse
sulla rena compatta, la superficie calpestata è decisamente minore
della mia e così scompaiono sotto i miei pesanti passi. Penso che
forse stiamo seguendo un bambino, una donna, oppure, un tipo
mingherlino. E mi metto a fischiettare quella canzone che fa
“...trying
to walkin' in my shoes, trying to walkin' in my footsteps”
(2).
Forza
Dick, di questo passo non lo raggiungeremo mai, coraggio! Avanziamo
contro il vento, che fa alzare la sabbia. Tiro su col naso, fa
davvero freddo. Ma per quanto ci sforziamo, non si vede un'anima viva
e comincio a credere che arriveremo ai confini del mondo senza
trovare quello che cerchiamo.
E
questo cos'è? Il muso di Dick ha smosso la sabbia e ne è emerso un
cartoncino che raccatto. Ma guarda, una vecchia foto in bianco e
nero, un po' gualcita, con gli orli bianchi merlettati, come usava
tanti anni fa. Un uomo con la divisa mi guarda impettito, in posa.
Che sguardo fiero! Sono quasi invidioso di quell'ardimentosa
austerità che un'uniforme poteva conferire anche a un uomo
qualunque. Altri tempi. Ma che ci fa una foto così antica in mezzo
alla sabbia? A chi l'ha rubata il vento? La ripongo nello zaino in
attesa della risposta e proseguiamo.
Dick
è inquieto, i suoi occhi sono offuscati da una strana aria
malinconica. A tratti solleva il muso e annusa l'aria, come se il
vento portasse cattive notizie.
Mi
fermo, ho visto qualcosa biancheggiare fra i cespugli di malva. Mi
faccio strada fra i bassi cespiti e mi avvicino. E' un fazzoletto
impigliato in mezzo ai rami. Lo raccolgo. Lo stringo nel palmo, è
piacevole al tatto, la seta è morbida, sembra nuovo di manifattura.
Lo avvicino al naso e un aroma dolce e ambrosiaco fiotta dentro le
mie narici. Che buon odore. Cos'è? Mi pare qualcosa di vagamente
familiare e lo faccio annusare anche a Dick. Lui affonda il naso nel
fazzoletto e se la cava con uno starnuto che mi strappa una risata.
Ma lesto ripianta il muso nella sabbia e continuiamo a seguire le
orme. A questo punto, sono quasi certo che chi stiamo seguendo sia
una donna, a meno che non si tratti di qualcuno che voglia
approfittare
del vento per farci uno scherzo.
Però
c'è qualcosa che non va.
Dick
è sempre più irrequieto, avanza di malavoglia, con la coda fra le
gambe, soltanto per farmi piacere. E ogni tanto abbaia senza motivo.
Il
cielo, il mare e la sabbia sono pervasi da un uniforme velo grigio,
che ci opprime. Tuttavia continuiamo, voglio venire a capo di questo
mistero.
Accidenti,
sono inciampato. Dick mi guarda preoccupato, ma lo rassicuro. Ho
preso un bel colpo sul dito del piede e ora mi fa un po' male. Mi
ritorna in mente un verso della canzone che fischiettavo poco prima:
...you'll
stumble in my footsteps...
(3). Ma, in cosa, cavolo, sono incespicato? Ah ecco. Un sasso. E' una
tipica pietra di mare, dalla forma perfetta, levigata dal paziente
lavorio delle onde.
Insomma,
una gran bella pietra e, con mio ampio stupore, sotto la pietra una
busta. La prendo e me la rigiro fra le mani. Sono sbalordito e
confuso. E' una lettera!
Oggi
il vento fa cose davvero strane. Perfino mettere una busta sotto un
sasso affinchè egli stesso non la spazzi via. Apro il plico, ne
estraggo un foglio di carta scrocchiante, vergato fitto in inchiostro
blu e leggo:
Mia
diletta signora,
è
purtroppo giunto il giorno della partenza; domani all'alba toglieremo
gli ormeggi e questa lettera probabilmente vi raggiungerà quando
ormai saremo al largo. Ho ordinato le manovre e impostato la rotta,
la navigazione si preannuncia tranquilla. Ora sono chiuso in cabina a
scrivervi queste righe e non posso fare a meno d'immaginarvi, in
questo momento, distesa a letto accanto a vostro marito. E ciò mi
appare profondamente iniquo. Lui, che appena si accorge di voi, che
non vi rivolge la parola per giorni interi, che spreca le sue sere a
giocare a carte al club, ha il privilegio di dormire al vostro
fianco e magari permettersi di russare nella più assoluta
indifferenza. E io, che vi amo sopra ogni altra cosa, più della mia
stessa vita, non oso neppure incrociare il vostro sguardo, rivolgervi
parole degne della vostra bellezza, sfiorarvi la mano.
Ma
amare non è guardarsi l'un l'altra, amare è guardare insieme nella
stessa direzione, come guardavamo il mare a Flooksburgh e non avevamo
il coraggio di dichiararci. Il mare che guardavamo, domani lo lascerò
dietro la poppa della nave e probabilmente maledirò le divinità
marine perchè mi stanno allontanando da voi.
Thaìs,
il vostro odore è ossigeno, il vostro nome è ossigeno. Non posso
più fare a meno di voi, mi siete più cara dell'aria che respiro,
dell'acqua che mi disseta, della luce che illumina i miei occhi.
Vi
ricordate l'altra sera, al chiarore della luna, bionda Febe? Al
riparo delle tenebre ascoltavamo quelli che credevamo i suoi gemiti –
rammentate ancora la leggenda araba che vi ho narrato? (4)
–
ma in verità, erano i gemiti dei nostri cuori.
E'
soltanto un giorno che non vi vedo e già la vostra assenza è
insopportabile, il dolore è un cane che mangia il mio cuore.
Quando
tornerò, affronterò vostro marito e gli dirò che vi amo. Poi,
accada quel che deve accadere, non me ne curo. Quasi certamente mi
sfiderà a duello, ne nascerà uno scandalo, forse vi ripudierà. Ma
non abbiate alcun timore, ci sarà sempre per voi un rifugio caldo e
sicuro fra le mie braccia.
M'ingegnerò
di mettere ali alla mia nave, affinchè non navighi, ma voli sulle
onde, così questo viaggio si concluderà in fretta e potrò sperare
che quanto ho scritto si avveri molto presto.
Middleton,
12 novembre 1896 Sinceramente vostro
Philip
Accidenti,
questo si chiama scrivere! Questa lettera è un tesoro. La ripiego
con cautela, la chiudo nella busta e la metto al sicuro nello zaino,
insieme al fazzoletto.
Richiamo
Dick, per tutto il tempo in cui leggevo se n'è rimasto accucciato ai
miei piedi, strusciandosi contro le mie gambe, come se volesse
sincerarsi della mia reale presenza, in qualità di essere in carne e
ossa titolare di un corpo fisico, e continuiamo a seguire le
impronte.
Non
facciamo che pochi passi che avvistiamo qualcosa che rotola sulla
rena, sospinta dal vento. Sembra una pallina. Dick scatta e la prende
al volo tra le fauci. Per lui è un gioco e soltanto dopo averglielo
chiesto con insistenza me la sputa in mano scodinzolando. E' una
palla di carta. La pulisco dalla bava di Dick e dai granelli di
sabbia e la apro, distendendola ben bene e lisciandola sulla mia
gamba.
Ma
tu guarda!
E'
un ritaglio di giornale. Un antico numero del Warton
Morning Post,
deve avere più di cent'anni. Naturalmente è molto stropicciato, e
umido, per il breve soggiorno nella bocca del cane, ma soprattutto
per la vicinanza all'acqua salata. Quante cose strane si trovano oggi
sulla spiaggia! C'è chi va in cerca di conchiglie, chi di sassi e
chi si accontenta di scorgere strane forme in pezzi di legno sputati
dal mare. Io non vado in cerca di niente, eppure sto trovando indizi.
Ne potrebbe venir fuori un bel racconto. La carta è assai ingiallita
e l'inchiostro molto scolorito, alcuni caratteri sono letteralmente
volati via, come spazzati dalla furia del tempo, ma con un po' di
sforzo riesco a leggere.
Abbandonate
le ricerche della Albemarle.
E'
in arrivo un fronte temporalesco dall'Irlanda e si preannuncia mare
in tempesta e venti a forza sei. All'alba di stamane sono stati
ritrovati al largo alcuni barili con impresso il nome della nave,
assi rotte e un pezzo dell'albero maestro. Finora non si è avuta
notizia di sopravvissuti (ma si spera che alcuni possano essere
stati tratti in salvo da pescherecci di passaggio), e dunque dei
cento uomini d'equipaggio neppure l'ombra, come fossero stati
inghiottiti dal mare insieme alla nave. Più passa il tempo più
s'affievolisce la speranza di ritrovarne qualcuno ancora in vita,
magari aggrappato a un rottame galleggiante. A quanto si sa,
l'Albemarle ha fatto perdere le sue tracce in vista dell'isola di
Man, in condizioni meteorologiche ottimali, mentre navigava con mare
calmo e visibilità più che buona. Il Ministero della Marina
mercantile ha ordinato l'apertura di un'inchiesta, ma da quanto si è
appreso dal nostro corrispondente a Londra, pare che i Lloyds diano
ormai per scontato il naufragio del piroscafo e si siano rassegnati
a pagare il risarcimento all'armatore.
La
storia cresce e si arricchisce passo dopo passo, seguendo queste
impronte, ma di chi le ha impresse continua a non scorgersi neppure
l'ombra. Anche noi avanziamo passo dopo passo, sperando di scoprire
il mistero, o l'inganno, su questo piattume monotono e assurdo, che
sembra un po' il fondo del mare. Infatti, come palombari muniti di
scafandro, bardati di tutto punto e zavorrati alla bisogna, ci
muoviamo lentamente e con goffi gesti controvento.
Oggi
il vento sta facendo di questo litorale che conosco come la mia
stessa vita un luogo stranissimo, fuori dal mondo, come se fosse su
un altro pianeta. Mi par di vivere in un mondo ibrido, dove cielo,
terra e mare non hanno confini precisi; allora, in un giorno di vento
come questo, sotto un cielo impassibile nel quale nuvole grigie
corrono a perdifiato sul mare, può accadere davvero di tutto.
Anche
che io confonda il reale con l'immaginato, credendolo più vero della
realtà stessa.
Sarà
per questo che mi sembra di veder qualcosa, lontano lontano, una
macchia grigia all'orizzonte, una figura vagamente umana che si
confonde con il profilo della costa, o è soltanto sabbia negli
occhi?
Affrettiamo
il passo. La figura s'ingrandisce un altro pò.
Ma
si, c'è qualcuno di fronte a noi, appena appena riconosco che è una
donna, con un lungo vestito bianco e un ombrellino per proteggersi
dal sole. Ma che ci fa quella signora così bardata sulla spiaggia
con questo vento, mi chiedo. Ma poi mi rendo conto che il suo vestito
non ha pieghe, non è scosso dal vento, i suoi capelli sembrano di
lava solidificata, l'ombrello non si muove.
La
chiamo, fischio, le faccio dei cenni, Dick abbaia, ma la signora non
si volta. Ora corriamo, ma per quanto sia lento il suo incedere,
dev'essere più veloce della nostra corsa, perchè non riusciamo a
raggiungerla. Ma la signora in bianco, dopo aver costeggiato una
duna, è svanita dietro il suo profilo. Finalmente arriviamo, ma non
c'è anima viva, niente di niente, come se la dama biancovestita
fosse stata risucchiata dalle sabbie mobili, o se la sia portata via
il vento, e comincio a credere che non mi sono ancora svegliato e sto
sognando. Però, nel punto esatto in cui è scomparsa c'è una
piccola lapide ingrigita dal tempo. Affiora appena dalla sabbia, è
quasi tutta ricoperta dalle erbacce e lavoro un po' per liberarla. E
finalmente riesco a leggere.
Questo
è il punto esatto del naufragio della Albemarle, 30 miglia a ovest
al largo di questa insenatura.
Nessuno
sopravvisse.Viandante che t'imbatti in questo cippo sussurra al vento una preghiera.
Possa il mare donare la pace alle loro anime.
Morecambe Bay, 14 novembre 1896
Io
e Dick ci guardiamo. E' ora di tornare a casa.
Ora
lo so. Ora ne sono certo. E rabbrividisco. Chissà se Dick
pensa la stessa cosa.
Abbiamo
inseguito un fantasma.
(1)
Impronte
di passi sulla sabbia,
da Racconti
narrati due volte
(titolo originale Twice
told tales)
di Nathaniel Hawthorne.
(2)
Si tratta di Walking
in my shoes,
tratta da Songs
of faith and devotion,
dei Depeche Mode. In realtà, la canzone fa:
Try
walking in my shoes Prova
a camminare nelle mie scarpe
You'll
stumble in my footsteps Inciamperai
nei miei passi
If
you try walking in my shoes. Se
provi a camminare nelle mie scarpe
(3)
Inciamperai
nei miei passi,
vedi nota (2).
(4) Secondo un'antica leggenda araba, nelle notti più silenziose è possibile ascoltare i gemiti della Luna, una creatura fattasi pietra, ma che nel profondo del suo cuore di roccia palpita ancora.
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