Eccomi
qua, ancora solo, insonne, a scrivere di altre pene riflesse nello specchio del
mio cuore. Non è che abbia tanta voglia di scrivere, ma non ho altro da fare.
La finestra di fronte è un occhio serrato sulla notte, la porta chiusa, la luce
spenta.
Questa
stanza è una cella. Vorrei strappare le lenzuola, calarmi dalla finestra e
raggiungere la spiaggia; e da lì nuotare fino al mare aperto. Libero,
finalmente. Via di qui.
Eh
già. La mia vita è una prigione. E quando ho trovato la chiave, invece di
usarla, l’ho fatta a pezzi. Ho avuto paura, sono stato un vigliacco, lo
ammetto, sarei dovuto andare fino in fondo, bere l’amaro calice fino all’ultima
goccia, quella più amara di tutte, e fare a pezzi questa rappresentazione
teatrale, soltanto il simulacro di una vita reale. Non devo preoccuparmi di
quello che scrivo, né di quello che faccio. Lei non verrà. Si è girata
dall’altra parte e già dorme.
Me
la ricordo bene quella notte, quando si reggeva in piedi a malapena e
m’implorava di non lasciarla, di stare con lei ancora un po’. Avrebbe fatto
qualunque cosa a qualunque costo pur di tenermi con sé. Che strano, è
esattamente quello che ha detto l’altra, ma mi è parsa più sincera.
Mia
dolce e gentile signora, potrei parlarti dell’usignolo che strazia la notte con
il suo canto di dolore e dei molti uccelli notturni che incantano l’oscurità
con i loro versi. Potrei parlarti di tutto questo per tutta la notte e il
giorno seguente e nei giorni, nei mesi e negli anni a venire, ma dubito che
capiresti.
E adesso
ho in testa lei, le sue mani, la sua bocca, i suoi seni. La sua voce stanca e
roca. I suoi occhi. Non farei nessuna fatica ad averla, basterebbe comporre il
suo numero. Eppure sono ancora qui, sul divano, un’altra notte da solo.
Avverto
dei rumori nell’altra stanza, ma non devo farmi illusioni. Lei non verrà. Non
verrà a vedere perché non le sono accanto nel nostro letto, non verrà a vedere
se sono ancora vivo. Sarebbe più probabile che si preoccupasse di me la signora
della porta accanto, che oggi pomeriggio mi ha fissato a lungo, piuttosto che
lei.
Ero
pronto ad andarmene, lo confesso, un piede nella staffa, l’altro sospeso nel
vuoto, per galoppare fino a lei, per gettarmi fra le sue braccia, a capofitto
nel suo ventre. Avrei fatto sbocciare un fiore nel cuore di una donna e avrei
squartato quello di un’altra. Succede tutti i giorni.
Mi
ha fermato soltanto la sua disperazione, che non credevo così vasta, abnorme,
inaspettata. O forse, era una farsa, una tragedia abilmente inscenata? Tutto
per salvare le apparenze, la normalità. Che ipocrisia. Mi ha dato più l’altra
in due giorni, che lei negli ultimi due anni. Sarebbe stata pronta a
sacrificare tutto per me, la sua dignità, la sua esistenza, il suo infinito, tutto
mi avrebbe donato, se solo avessi pronunciato la parola magica. Questa qui,
invece, non sacrifica neppure un’ora di sonno per verificare se il suo uomo è
davvero ancora suo.
Dio,
non riesco a togliermela dalla testa. Che voglia ho di sentire la sua voce, di
baciarle la bocca, di spegnere il cervello e affogare tutti i miei pensieri fra
le sue braccia. Chissà se c’è ancora un posto per me nel suo cuore?
Mi
era piaciuta la notte in cui era venuta a riprendermi. Decisa e determinata. E
spaventosamente bella, il volto acceso dall’ira. L’avrei presa là per là sul
tavolo del soggiorno. Aveva premesso: “Farei qualunque cosa”. Ma il suo
“qualunque cosa” è stato ben poca cosa, mentre il “qualunque cosa” dell’altra
comprendeva la sua stessa vita. Se il buongiorno si vede dal mattino, credo
proprio che questo giorno che è sorto tramonterà molto prima del previsto.
Le
dirò: “Ciao, perdonami… non volevo importunarti. E’ solo che… Ci ho provato in
tutti i modi, credimi… ma non riesco a dimenticarti.”
Sarebbe
stato bello riscoprirsi, quasi per gioco, con la passione e la leggerezza dei
nostri anni migliori. Peccato, il cumulo delle occasioni perdute stanotte ha un
macigno in più.
Scartoccio
la scatola dei profilattici, m’ero illuso di usarli stanotte, che dico, mi ero
illuso di consumarli tutti in una notte sola! Apro il contenitore e li tiro
fuori. Eccoli qui, belli allineati, luccicanti sopra il mio tavolino. Sembrano
tanti cioccolatini. Se ne potrebbero fare palloncini, gavettoni da tirare
addosso ai ragazzi che rientrano dalla discoteca. Oh ecco il foglio delle
istruzioni. Ma a che serve? Tutti sanno come si fa. Ma guarda, ci sono anche i
disegni. Così anche gli analfabeti non hanno più scuse. Eppure, mi perdo a
leggere, come se potessi trovare il senso della vita nelle istruzioni di una
scatola di condom.
“Cerca
la canzone di settembre, il mese in cui ci rivedremo.”
E’
già settembre e non sono tornato. Lei continua ad aspettarmi alla finestra. Il
sole non scalda più come ad agosto, la notte scende prima e il buio la
sorprende con una lacrima solitaria.
Settembre lontano, dalle un bacio per me,
i suoi lunghi capelli non li rivedrò più…
Arriverà
l’inverno e io non ci sarò a scaldarla. Verrà Natale e non avrà il mio regalo, busserà
alla porta il gelido gennaio e non le darò il primo bacio dell’anno. Io non ci
sarò.
E
questo mi strazia il cuore.
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ANGELO MEDICI
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