Ho iniziato a occuparmi in modo serio
dei Sanniti, cioè dei miei progenitori, soltanto nel 1997, dopo la lettura del
fondamentale Il Sannio e i Sanniti di Edward
Togo Salmon. Ricordo di aver pensato in quell’occasione che solo un inglese,
cioè uno straniero, poteva scrivere la nostra storia.
Oggi mi sono ricreduto. La nostra storia
possiamo scriverla noi. Mi riferisco a Viteliù Il nome della libertà di Nicola Mastronardi, scrittore molisano.
Al di là del vivo apprezzamento per la
qualità della scrittura e della poesia che vive nel romanzo, credo che vi fosse
un’imperante necessità di scrivere Viteliù, di dare cioè alla luce un
libro che, al di là delle ricerche archeologiche e gli intenti storiografici
che si possono rinvenire in altre pubblicazioni con taglio però scientifico,
mostrasse, con gli occhi del cuore, le vicende della nostra amata terra
all’Italia e al mondo, perché, diciamo la verità, nessuno la conosce, né la
nostra terra né la sua storia, ancora duemila anni dopo la maledizione di Lucio Cornelio Silla.
Nella postazione alla seconda ristampa l’autore
ha giustamente parlato di marketing territoriale nella scia del romanzo e
sappiamo entrambi quanto la nostra terra ne abbia bisogno.
Ma io credo che si possa fare ancora di
più.
Sono anni che passo nottate a studiare
le cartine geografiche del Sannio antico; oggi si parla tanto di federalismo e
macroregioni: il grande Sannio può rinascere e vivere ancora; Viteliù
può essere la punta di lancia di un grande progetto politico: riunificare il
Sannio, riunire la discendenza delle antiche stirpi sannite alla loro amata
terra per tentare di scrivere la storia di un Sud, una volta tanto, diverso.
Io
sono certo che la caparbietà, il coraggio e la fermezza che
contraddistinguevano gli antichi guerrieri ci scorra ancora nelle vene e
potremo impiegarli, stavolta, in modo pacifico rispetto a quando combattevamo
per l’onore e la libertà, ma sempre al servizio della nostra piccola patria.
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