Si può sopprimere, nascondere,
o fare finta che non ci sia. La voglia di scrivere trova sempre il modo di
tornare. E l’unico rimedio perché smetta di tormentarmi è assecondarla. A volte
mi prudono le mani, quando vedo un foglio bianco. E fremo, sono preda
dell’angoscia, fino a quando non ho scritto tutto quello che devo scrivere. E’
un vizio quasi quanto bere, fumare, andare a puttane. Ma nella mia vita non
sono stato costante neppure in quelli. Non sono un abitudinario e prima o poi,
a furia di praticarli, pure i vizi divengono monotoni e noiosi. Se non avessi
un animo tormentato, con tutta probabilità non scriverei. Giocherei a calcetto.
Scrivere è il prezzo da pagare per l’impossibilità di vivere una vita normale.
Ma da qualche parte ho letto che l’inquietudine è la materia prima della
creazione.
Fondamentalmente per me
scrivere equivale a tre cose: comunicare, trasmettere emozioni, creare.
La scrittura è una nobilissima
forma di comunicazione, forse la più profonda e diretta. Con la scrittura si
può fare davvero di tutto: si può decidere di spiattellare tutto e subito in
faccia al lettore, oppure lasciare intuire un po’ alla volta, si possono dire
cose poco digeribili e si può trovare il coraggio di parlare di sé.
Scrivere a volte è devastante.
Io provo tutto quello che scrivo. Il dolore, la rabbia, la malinconia, la
tristezza, l’amore, il desiderio, proprio come i miei personaggi e come loro,
non mi risparmio. Nello scrivere ho un forte coinvolgimento emotivo, che dopo
mi lascia svuotato, un po’ come dopo il sesso; per questo, quando qualcuno legge
i miei scritti e dice: “questo racconto mi ha commosso”, oppure, “ho
provato rabbia per quel tuo personaggio…”, io so di aver raggiunto il mio
scopo, perché i miei lettori hanno provato ciò che sentivo io mentre scrivevo
quelle righe.
Infine, creare, secondo me, è
mettere ordine nel caos. Io sono un disordinato di prim’ordine, ma preferisco
pensare che il mio sia solo un disordine materiale, apparente. O, con molta
ironia e autoindulgenza, un modo diverso dal solito di mettere ordine. Ho anche
letto di teorie di psicologi che affermano che i disordinati tendono a tenere
tutto fuori dai cassetti in mostra, in evidenza, sotto gli occhi, come se
sentissero la necessità di controllare ogni cosa, in bella vista, per il timore
di smarrirle. Non so se è il mio caso, ma in tutta sincerità, sono costretto ad
ammettere che con tutto il mio disordine, in realtà, riesco a controllare ben
poco.
Per fortuna, ho dalla mia
l’esperienza di alcuni scrittori.
“Mostratemi un uomo che abita solo e ha la
cucina perpetuamente sporca e 5 volte su 9, vi mostrerò un uomo eccezionale.”
(Charles
Bukowski, 27 giugno 1967 alla 19° birra)
E ancora,
“Mostratemi un uomo che abita solo e ha una
cucina perpetuamente pulita, 8 volte su 9 vi mostrerò un uomo detestabile sul
piano spirituale.”
(Charles Bukowski, 27 giugno
1967 alla 20° birra)
E per finire,
“Tristi anime umane, che mettono tutto in
ordine”.
(Alberto Caerio, alias Fernando Pessoa ne, Il
custode di greggi)
Post scriptum e ciliegina
sulla torta,
“Il disordine, amico mio, è la genuina essenza
della vita stessa.”
(Louis - Ferdinand Celine, Morte a credito).
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