Le storie che scrivo sono
metafora della mia vita. Nell’esistenza dei protagonisti si riflette la mia. E
sono sempre io a parlare con le loro bocche, a vedere il mondo attraverso i
loro occhi. Proietto su di loro, me stesso. Per questo motivo m’inoltro spesso
nell’introspezione dei personaggi e scandaglio senza riguardo le loro anime.
Le conosco bene quelle anime,
sono figlie della mia.
E’ strano scrivere un libro e
vederlo pubblicato. E’ un pò come assistere alla nascita di un figlio, un
figlio tuo che ti cresce fra le mani, parola per parola, rigo su rigo, pagina
dopo pagina e soffri e gioisci insieme a lui per i suoi progressi o per le sue debacles
e finalmente, quando è pronto, lo lasci andare e lo pubblichi, lo accompagni
per l’ultima volta fino all’ingresso del mondo, ma tu resti sulla soglia e ti
accorgi che non ti appartiene più, che non è più tuo. E le parole che hai
vergato, quelle frasi, quei versi, quelle righe scritte con l’inchiostro
attinto dalla tua stessa anima non fanno più parte di te.
Appartengono al mondo.
Tutto è simbolo e metafora. Sta a noi vedere oltre.
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