Sono
rimasto un po’ deluso, lo confesso, per il fatto che tutte le case editrici che
hanno letto il manoscritto de La città verticale abbiano
considerato il mio romanzo appartenente al genere noir, che io stesso avevo, invece, escluso nella prefazione.
Evidentemente, a un lettore non emotivamente coinvolto come me nella storia,
meglio se un lettore professionale e critico, con la mente fredda, come il responsabile
di una casa editrice, può giudicare meglio dello stesso autore. Anche se
quest’ultimo credeva che la sua ultima fatica letteraria si avvicinasse più al mainstream, la corrente principale, senza
tuttavia esserne risucchiato, e si sperdesse nel grande fiume delle lettere,
senza appartenere ad alcun genere in particolare. E dunque, il genere che si
attaglia di più è il crossover, cioè,
un incrocio di genera diversi, nel quale essi si annullano inevitabilmente, ma,
dalla loro liquefazione, non sgorga alcun genere.
E,
per invogliarvi alla lettura, eccovi la prima pagina. Se lo leggerete per
intero, e spero che vi piaccia, giudicherete voi se è noir, crossover, mainstream, o un’emerita schifezza.
Capitolo
primo
Era
buio e freddo là sotto.
Freddo
screziato di tenebre e di silenzi.
Annaspava
nel gorgo, sotto l’onda verde che l’aveva rapito al mondo e imprigionato in un
universo sommerso e ovattato. Non riusciva a respirare, non aveva più aria nei
polmoni. La pressione marina gli comprimeva il petto come una morsa. Brancolava
nel buio verdastro, in un abisso di acque opache e smorte. Più si dibatteva,
più precipitava verso il fondo nel più completo silenzio.
Stava
per morire.
Stava
per lasciare per sempre il mondo della luce, per sprofondare in un mondo di
ombre. Ma non era triste. Non provava niente. Non sentiva più nulla. Soltanto
la pesantezza delle membra, mentre il suo corpo, come fosse di piombo,
precipitava. La sua coscienza si affievoliva pian piano e i pensieri
ticchettavano sempre più lenti nei neuroni, come se dentro il suo cervello
s’inceppassero, uno dopo l’altro, i meccanismi di migliaia di orologi.
Con
un tonfo, lieve, toccò il fondo, sollevando nuvole di sabbia e i suoi occhi guizzarono
nell’acqua fredda alla ricerca della superficie delle onde. Dal pelo
dell’acqua, che appariva così distante, filtrava a stento una debole luce, che
giunse, tuttavia, fino alle profondità nelle quali era immerso.
Ma
già il suo corpo si faceva leggero e le membra si sgravavano dal peso delle
acque e le fibre muscolari contratte si scioglievano, scacciando il freddo
delle correnti marine. Si sentì lieve, inconsistente, impalpabile, come una
bolla d’aria che dal plumbeo crepuscolo degli abissi risaliva alla superficie.
Sempre più rapida, sempre più in alto, finché riemerse.
E
finalmente la luce perfetta del giorno.
LA CITTÀ VERTICALE
Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni
ISBN: 978-88-6307-804-6
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