Pare
che i libri ci capitino tra le mani solo apparentemente per caso. Credo che
c’imbattiamo in essi nel momento giusto, quando ne abbiamo bisogno. In fondo,
un libro è una lettera aperta sull’eternità, una lettera che parla attraverso i
secoli e le generazioni, indirizzata a ciascuno di noi e disponibile quando ne
abbiamo bisogno.
E’
quanto è avvenuto con il volume che mi accingo a commentare. Si tratta di Neve,
di Maxence Fermine. Ero in cerca di
una citazione per un romanzo che sto scrivendo, ci avete mai fatto caso, quelle
frasi di altri, che gli scrittori seri amano far stampare sulle pagine che
precedono le loro opere? Bene, io che scrittore serio non sono affatto, ho,
tuttavia, lo stesso vizietto e, finalmente, la citazione che cercavo, l’ho
trovata in Neve, o meglio, nel romanzo ho trovato la strada per scovarla,
che è quella, elegante e raffinata, ma a volte tortuosa, della poesia
giapponese, l’haiku. Ma di questo
parleremo più avanti.
Il
libro mi è stato regalato, o meglio, è stato regalato a due persone, che una
volta erano legate, da una persona che, a sua volta, è legata a entrambe. Non
me l’aspettavo il dono, come non mi aspettavo di riscoprire il doppio vincolo
che legava queste persone, che ormai credevo lontane, nel tempo e nello spazio. Per dirla in breve, è bastato un giro di telefonate per passare una
piacevole serata insieme, dopo tanto tempo. Sembra una storia di Natale, no? E
lo è davvero. E io credo che certe cose non capitino per caso. Così, in un
colpo solo, ho trovato la dedica che cercavo per il mio romanzo e ritrovato due
amici. Miracolo della letteratura.
Ma
ora parliamo del volume.
E’
un romanzo sulla neve, sull’amore, sulla vita e sulla morte. E’ una storia zen,
l’amore, la vita, quindi, la morte, non sono fini a se stesse, ma
l’introduzione a qualcos’altro ed è il qualcos’altro a essere importante.
Ma
è anche un romanzo sulle montagne. Fermine
è un montanaro dell’Haute Savoie e
ha dimestichezza con il candore infinito che cela la vetta delle montagne. Io,
che sono nato al mare, cresciuto in montagna e diventato uomo di pianura, al
cospetto delle sue cime tempestose, evocate dalla struttura esile, tenue della
sua scrittura, provo un vago senso di vertigine e smarrimento, come se mi
mancasse l’aria. Come se fossi un funambolo anch’io, in equilibrio incerto su
un filo sottile di parole, su una corda che collega tutti i miei mondi, quello
marino a quello alpestre, quello meridionale a quello nordico, quello della
vita a quello dell’arte.
Ma
è anche un racconto sulla scrittura. E, in particolare, sulla poesia
giapponese.
L’haiku
è un genere letterario del Sol Levante, che consiste in poesie cortissime, di
appena tre versi e diciassette sillabe, non una di più, non una di meno. La
dolcezza e la raffinatezza sono tipiche dei suoi versi.
Eccone
un esempio.
La
pelle delle donne
Quella
che celano
Quant’è
calda!
(Sutejo)
Scrivere
è come distillare liquore, le parole non si creano di getto, ma sono vagliate,
pensate, sofferte, una per una, finchè non sono pure, fino a quando non siano
quintessenza di bellezza.
Ma
ecco quanto scrive Fermine in
proposito.
“Scrivere è avanzare parola dopo parola su un
filo di bellezza. Scrivere è avanzare passo dopo passo, pagina dopo pagina, sul
cammino del libro. Il difficile non è elevarsi dal suolo e mantenersi in
equilibrio sul filo del linguaggio. No, il difficile è rimanere costantemente
su quel filo che è la scrittura, vivere ogni ora della vita all’altezza del
proprio sogno, non scendere mai, neppure per qualche istante, dalla corda
dell’immaginazione.”
Lui
paragona l’arte della scrittura con l’arte del funambolo, un’arte difficile,
come difficile è mantenersi in equilibrio sulle parole e, come il funambolo
rischia di cadere e, qualche volta cade, anche noi a volte precipitiamo dal
filo sottile teso tra le pagine di un libro.
Ma
non è del tutto vero. Solo una cosa è più ardua.
L’amore.
“Perché l’amore è l’arte più difficile. E
scrivere, danzare, comporre, dipingere, sono la stessa cosa che amare”
E
l’amore ci tiene sospesi sul vuoto in equilibrio precario sulla corda sottile,
che va dal nostro cuore a quello della persona amata; l’amore a volte ci fa
perdere la stabilità e precipitiamo in un abisso vertiginoso.
Vaghiamo
come sonnambuli nel buio della vita. Non sappiamo cosa stiamo cercando, ma
l’amore lo sa già.
“Neve invece non cercava nessuno”. E, non
cercando nessuno, cercava qualcuno.
Qualcuno
con cui tenersi in equilibrio sul crinale della vita.
Questa
donna è bianca come la neve, la sua pelle è così candida che, guardarla fa male
agli occhi. Io, in sincerità, preferisco un altro genus di donna. Io amo le
ombre, adoro le tenebre, amo il buio e così mi piace pure la donna. Non la
vorrei la donna bianca, nè di nome, né di pelle. La vera femmina è nera dentro
e fuori ha pelle di pantera, oscura e bella come la notte.
Infine,
ho provato anch’io a scrivere qualcosa, dopo aver letto Neve. Forse, è un haiku, forse no. I tre versi ci sono, le sillabe,
invece, sono molto più di diciassette.
La
malvagità è una forma di purezza.
La
bontà è una specie d’ipocrisia.
La strada della virtù passa nel mezzo.
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