In
città il tempo che passa, le stagioni che cambiano si avvertono
soltanto da lontano, fluide e leggere come vaghe impressioni.
Impressioni di giugno: aria trasparente e tiepida al tramonto, notti
calde e serene, inondate di luna piena, la sua luce una crema
argentea che ricopre la superficie di ogni cosa. Le scrissi su un
foglio ma, nel momento stesso in cui l’ebbi fatto provai ribrezzo e
nausea e strappai la carta, ne lacerai le fibre con lenta, voluta
crudeltà. Se tendevo l’orecchio mi pareva quasi di sentir gemere
la carta, sentir piangere delicate lacrime di cellulosa.
La
notte stendeva il suo velo sull’immensa pianura, come un mare
immobile nel tempo. Ogni cosa era ricoperta dalle tenebre, ogni cosa
era immutabile.
Tesi
meglio le orecchie. Qualcuno piangeva davvero. Non era la carta e non
ero neppure io. Il pianto, ma più che un pianto pareva un mugugno
flebile e soffocato, veniva dalla stanza di là. Mi alzai a vedere.
Christopher piangeva con la bocca contro il cuscino, singhiozzava a
tratti, ma lo faceva in stato di sonno profondo, era completamente
addormentato. Gli accarezzai la fronte.
“Su,
su, non è niente”
Non
si svegliava, lo scossi.
“Su,
su, è soltanto un brutto sogno”
Lo
scossi più forte.
“Su,
su”. Gli accarezzai i capelli. E finalmente si ridestò.
Aprì
gli occhi e mi fissò. Volsi subito lo sguardo altrove. Per un attimo
avevo avuto l’impressione, molto sgradevole, che Christopher avesse
finto di dormire per dissimulare il pianto e poter sostenere poi di
avere singhiozzato durante il sonno.
“Si,
si… un brutto sogno, brutto…” farfugliò.
In
quel momento fui sicuro di aver violato la sua intimità, il suo
diritto di provare dolore, il suo diritto di piangere, da solo, come
un uomo.
Ma
lui si mise a sedere sul letto, mi guardò finalmente e la mia
presenza divenne all’improvviso meno estranea e l’ombra che
proiettavo sulle pareti si fece più morbida e si fuse con la sua.
Sembrava l’ombra del fratello maggiore che si prende cura del
fratello più piccolo.
“Mi
interessa poco di molti, ma molto di pochi” disse “E tra i pochi
ci siete tu e Lea. Adesso non metterti a ridere, non prendermi per
sciocco” Sospirò. “Lo so bene che Lea è una lurida troia, una
bagascia rivoltante, una puttana da bassifondi. Ma lei è la sola
donna che amo, l’unica che ho sempre amato, l’unica che amerò.
Per sempre.”
Questo
disse Christopher e piangeva mentre lo diceva e singhiozzava mentre
lo diceva e io volevo credergli, lo giuro, avrei tanto voluto
credergli. Ma si dava il caso che Lea iniziasse a piacere anche a me
e che mi piacesse molto.
“Non
ti merita Christopher” aggiunsi dopo aver rimuginato un po’ “Lea
non ti merita, non è degna del tuo amore sacro e puro, luminoso e
ardente.”
Non
dissi altro, non potevo aggiunger altro. Cosa avrebbe detto
Christopher se gli avessi rivelato di me e di Lea nella latrina e di
quello che provavo per lei?
Era
qualcosa di indefinito, d’indecifrabile, inspiegabile. Qualcosa di
oscuro. Cosa avrebbe pensato delle umiliazioni che le avevo fatto
subire, solo per sentirmi meno sciocco, nella mia pelle d’uomo, più
forte nel mio fusto vegetale, protetto dalla mia scorza dura, dalla
mia crosta, invincibile, nella mia corazza imperforabile?
Mi
interessa poco di molti e molto di pochi, avrebbe detto Christopher.
Non mi importa, avrebbe detto, io so amare soltanto lei.
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