sabato 6 maggio 2023

TRAUM


(Chissà perché la parola "sogno", in tedesco, è così simile alla parola "trauma", in italiano)

Uno stanzone gelido. Luci al neon di un biancore ronzante. Corpi distesi su letti di ferro, tanti, riempiono la stanza, immobili. Sono morti o stanno soltanto dormendo? In fondo, il sonno non è così simile alla morte? Io sono l'unico in piedi, forse, soltanto perché sto sognando.
E poi c'è lei, una figura altera e immobile al centro dell'ampia sala. E, anche se sta in silenzio e il suo sguardo si perde nel bianco abbagliante delle pareti, so per certo che, in qualche modo, qui ogni cosa dipende da lei.
Io osservo, ascolto, annoto. Nessuno mi rivolge lo sguardo o la parola. Sono poco più di un muto testimone.
Provo inquietudine, sensazioni di instabilità e squilibrio. Le riconosco, sono le stesse che ho provato nei giorni passati. E' come un fremito che mi precipita in un vuoto di vertigine e nausea.
Un fruscio richiama la mia attenzione. Un corpo si solleva lentamente e si mette a sedere e il lenzuolo che lo copriva come un sudario scivola sul pavimento. È un uomo, ne' giovane ne' vecchio, ma mi rendo conto solo in quel momento che i dormienti, come me, sono tutti di sesso maschile.
Dal movimento delle sue labbra, comprendo che sta parlando, rivolto a lei - non sento alcun suono - ma so che le parole che pronuncia sono di scherno e di sdegno. Il ghigno sul suo volto è inequivocabile.
Lei non sembra avere alcuna reazione, ma la mia inquietudine cresce.
In quel momento, mi sento toccare il braccio. C'è un'altra donna, oltre a lei, nella stanza. Non me n'ero accorto. Con un gesto gentile ma imperioso, mi fa capire che devo seguirla. Attraverso un'apertura sul muro incastonato di piastrelle lucenti, che prima non avevo scorto, lasciamo la sala dei dormienti e ci ritroviamo in una stanza dove, finalmente, regna un chiarore buono, giallo. Ma la differenza di temperatura è un muro d'aria che quasi fa male. La luce buona e il calore vengono dalla stufa, dove fiamme vive ardono contro lo sfondo nero della parete di ghisa.
La donna mi indica un oggetto ai piedi della stufa e mi chiede se so cosa sia. Lo so cos'è. È una chiave da officina con una rondella che apre e chiude il suo becco d'acciaio. Lei mi chiede se so usarlo. Faccio in risposta un breve cenno del capo. Allora, mi porge l'attrezzo.
È strano, ora che lo osservo da vicino. Il suo peso è trascurabile e il metallo di cui è fatto è così lucido che devo distogliere lo sguardo perché la luce che vi si riflette fa male agli occhi.
Cerco la donna che era con me, ma mi accorgo di essere solo e la mia attenzione ritorna all'attrezzo. Armeggio un po' e vedo che non è affatto come una chiave inglese, ma appena lo tocco, il meccanismo serra il becco d'acciaio in un cerchio perfetto e, per quanto mi sforzi, non riesco più ad aprirlo.

Nessun commento:

Posta un commento