Se
fossi rimasto in Capitanata, sarei ancora religioso. Il cattolicesimo
era qualcosa di dolce e solare, come la crema di certe paste la
domenica mattina all'uscita dalla chiesa, l'allegro ciarlare delle
campane, voci di bambini che risuonavano fra i vicoli antichi come
sciami di rondini.
Il
falco pellegrino lanciava nell'aria il suo secco richiamo, un sottile
dito di fumo saliva lento e solenne all'orizzonte, come un filo di
lana nera che legava la terra al cielo. Mio figlio raccolse una spiga
caduta, che giaceva abbandonata come un tesoro perduto dall'epoca
della Festa del grano, e me la regalò.
Fui
richiamato imperiosamente al presente. Il filo si sciolse e la terra
e il cielo si divisero. L'acqua gorgogliava scura e misteriosa nel
canale che costeggiava la Madonna della Vittoria. Era poco più
di un canale d'irrigazione e poco meno di un ruscello, ma per me
bambino era vasto e grandioso quanto il Mississippi. Forse pesci
sconosciuti nuotavano nelle profondità abissali. Non lo seppi mai.
La corrente nera rifletteva un volto, bianco come quello di un clown.
Non riconobbi quella faccia e quel sorriso falso, che forse
nascondeva le lacrime.
Me
la ricordo la mia vecchia casa. Dormiva protetta dal giardino dal
cancello verde. Il suo sonno era così solenne che nessuno osava
interromperlo. Mia madre sciorinava il bucato. I panni sporchi si
lavano in famiglia, ma quando sono puliti si stendono al sole ad
asciugare. Alla vista di tutti. Dal portone alla strada c'erano
diciassette scalini. Iniziavo a contare... uno, e mettevo il naso
fuori... due, tutto il corpo all'aria aperta... a tre la luce e i
suoni irrompevano tirannici negli occhi e nei timpani... al
sedicesimo scalino saltavo direttamente in strada, evitando di
pronunciare il numero dell'ultimo, denso di foschi presagi.
Un
altro salto e mi ritrovo più avanti negli anni. Leggevo Nostromo
(1) con il tè della sera e cominciavo a capire chi ero. Il giornale
aperto non poteva nascondere mio padre che sonnecchiava, il fuoco
crepitava nel camino, il cane russava ai miei piedi e guaiva nel
sonno.
Il
viaggio nel passato s'interrompe. S'alza un vento di passi stanchi e
capinere e una fisarmonica suona. Note dolenti s'innalzano nell'aria
secca e malferma e compongono una melodia dolce e struggente. Da
qualche parte in fondo alla vallata, qualcuno non teme il fiume del
tempo e si abbandona ai ricordi.
Non
aver paura della vita, in un modo o nell'altro siamo tutti condannati
all'infelicità. Ma non abbandonarti alla tristezza (2), non
permettere che t'impedisca di aprire la finestra ogni mattina e
guardare il mondo con occhi nuovi, di stringerlo forte a te in un
nodo indissolubile, di amare gli alberi e le rocce perchè soltanto
loro sono immutabili e non si piegano al flusso inarrestabile della
vita. Ricorda: rifuggi il male e opera il bene.
Così
avrebbe parlato il bambino che ero al me stesso futuro, scrutando la
cortina degli anni a venire. Rifuggire il male e operare il bene? Che
Dio mi aiuti! La vita è zeppa di simboli e metafore. Sta a noi
decifrarli. La vita è dolore e paura, la vita è un congegno da
ricomporre senza il libretto delle istruzioni. La vita è mistero.
I
cipressi dalla chioma quasi nera si ergevano nel blu facendo buona
guardia all'enigma.
(1)
Titolo originale: Nostromo, A tale of the Seabord,
Joseph Conrad (1904).
(2) “La
tristezza è il peggiore fra tutti gli spiriti umani. L'uomo triste
agisce sempre male.” (Il pastore di Erma).
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