sabato 9 aprile 2016

Losing my religion


Se fossi rimasto in Capitanata, sarei ancora religioso. Il cattolicesimo era qualcosa di dolce e solare, come la crema di certe paste la domenica mattina all'uscita dalla chiesa, l'allegro ciarlare delle campane, voci di bambini che risuonavano fra i vicoli antichi come sciami di rondini.

Il falco pellegrino lanciava nell'aria il suo secco richiamo, un sottile dito di fumo saliva lento e solenne all'orizzonte, come un filo di lana nera che legava la terra al cielo. Mio figlio raccolse una spiga caduta, che giaceva abbandonata come un tesoro perduto dall'epoca della Festa del grano, e me la regalò.

Fui richiamato imperiosamente al presente. Il filo si sciolse e la terra e il cielo si divisero. L'acqua gorgogliava scura e misteriosa nel canale che costeggiava la Madonna della Vittoria. Era poco più di un canale d'irrigazione e poco meno di un ruscello, ma per me bambino era vasto e grandioso quanto il Mississippi. Forse pesci sconosciuti nuotavano nelle profondità abissali. Non lo seppi mai. La corrente nera rifletteva un volto, bianco come quello di un clown. Non riconobbi quella faccia e quel sorriso falso, che forse nascondeva le lacrime.

Me la ricordo la mia vecchia casa. Dormiva protetta dal giardino dal cancello verde. Il suo sonno era così solenne che nessuno osava interromperlo. Mia madre sciorinava il bucato. I panni sporchi si lavano in famiglia, ma quando sono puliti si stendono al sole ad asciugare. Alla vista di tutti. Dal portone alla strada c'erano diciassette scalini. Iniziavo a contare... uno, e mettevo il naso fuori... due, tutto il corpo all'aria aperta... a tre la luce e i suoni irrompevano tirannici negli occhi e nei timpani... al sedicesimo scalino saltavo direttamente in strada, evitando di pronunciare il numero dell'ultimo, denso di foschi presagi.

Un altro salto e mi ritrovo più avanti negli anni. Leggevo Nostromo (1) con il tè della sera e cominciavo a capire chi ero. Il giornale aperto non poteva nascondere mio padre che sonnecchiava, il fuoco crepitava nel camino, il cane russava ai miei piedi e guaiva nel sonno.

Il viaggio nel passato s'interrompe. S'alza un vento di passi stanchi e capinere e una fisarmonica suona. Note dolenti s'innalzano nell'aria secca e malferma e compongono una melodia dolce e struggente. Da qualche parte in fondo alla vallata, qualcuno non teme il fiume del tempo e si abbandona ai ricordi.

Non aver paura della vita, in un modo o nell'altro siamo tutti condannati all'infelicità. Ma non abbandonarti alla tristezza (2), non permettere che t'impedisca di aprire la finestra ogni mattina e guardare il mondo con occhi nuovi, di stringerlo forte a te in un nodo indissolubile, di amare gli alberi e le rocce perchè soltanto loro sono immutabili e non si piegano al flusso inarrestabile della vita. Ricorda: rifuggi il male e opera il bene.

Così avrebbe parlato il bambino che ero al me stesso futuro, scrutando la cortina degli anni a venire. Rifuggire il male e operare il bene? Che Dio mi aiuti! La vita è zeppa di simboli e metafore. Sta a noi decifrarli. La vita è dolore e paura, la vita è un congegno da ricomporre senza il libretto delle istruzioni. La vita è mistero.

I cipressi dalla chioma quasi nera si ergevano nel blu facendo buona guardia all'enigma.


(1) Titolo originale: Nostromo, A tale of the Seabord, Joseph Conrad (1904).

(2) “La tristezza è il peggiore fra tutti gli spiriti umani. L'uomo triste agisce sempre male.” (Il pastore di Erma).


Nessun commento:

Posta un commento