martedì 9 settembre 2014

L'uomo con un occhio solo



 

L’uomo bianco arrivò in Africa come un gigante con un occhio solo, dice Laurens Van Der Post (in The dark eye in Africa), volendo indagare le ragioni del disprezzo dell’uomo bianco verso l’africano. E sostiene per questo la metafora del ciclope dall’unico occhio, per spiegare che, in quella sua peculiare cecità, in quella sua limitata visuale, l’uomo bianco possedeva ormai solo una “visione esteriore” del tutto votata all’oggettività e al materialismo e, avendo perduto da tempo la propria anima, non aveva più la “visione interiore”, aveva perso cioè la capacità di scandagliare le profondità abissali degli esseri umani. E le tempeste dell’Himalaya sono niente in confronto a quelle che si scatenano nell’animo degli uomini, diceva Nehru.

Da questa perduta capacità di scrutare “all’interno” degli individui, l’uomo bianco attrasse a se, dall’universo dell’irrazionale e quindi, da galassie d’odio e pregiudizi, la convinzione della predominanza della razza indoeuropea su quella africana, dell’asservimento di quest’ultima alla prima e, quale strumento e metodo efficace per mantenere l’Africa in catene, l’apartheid, ossia la segregazione razziale, la separazione delle razze.

Da che mondo è mondo, dicevano gli Afrikaner (i boeri, ovvero i bianchi del Sudafrica), il cane va col cane, la zebra con la zebra e il leone con il leone e non si è mai visto il cane camminare con il leone. In un solo caso la Natura ha consentito che il nobile cavallo si accompagnasse con l’umile asino e il risultato è sotto gli occhi di tutti: il mulo, quintessenza di ottusità e testardaggine. Quindi, guai a violare la legge di natura: le razze superiori non si mescolano alle razze inferiori.

Tuttavia, il ciclope bianco possedeva la scienza, ma aveva perso la saggezza e sottometteva popoli che avevano la saggezza, ma non ancora la scienza, dimenticando quando nel suo passato, prima della rivoluzione industriale, anch’egli possedeva solo la saggezza. E ignorando la profonda verità nascosta nella saggezza delle antiche civiltà africane le rendeva schiave: “Nit nit ay garabam” (“Il vero rimedio dell’uomo è l’uomo”). E’ il concetto di ubuntu: siamo umani solo attraverso l’umanità degli altri. In altre parole, gli altri siamo noi.

Con queste convinzioni, più nel cuore che nella testa, Nelson Mandela seppe risolvere il rompicapo della segregazione razziale e riunificare nel segno dell’uguaglianza l’Africa nera e l’Africa bianca, facendo del suo nemico mortale, il boero segregazionista e oppressore, il suo migliore amico e alleato. La perfetta sintesi di democrazia, uguaglianza e libertà s’incarnò nel suo governo, il primo del Sudafrica a essere retto da un nero, con un vicepresidente bianco e uno di colore, a simboleggiare le due diverse, ma finalmente unite, anime del Sudafrica.

Ma, prima della sua messa al bando, l’apartheid aveva fatto scorrere per molti anni fiumi di sangue, di dolore e morte, nei quali intinsero le penne generazioni di poeti africani. Eccovi le poesie più belle e struggenti, leggetele e gustatevele perché sono perle nere di disperazione.

 

C’era un fanciullo vestito di nero

che si contava le costole

in fondo a una camera chiusa

sulla dolcezza della sera

C’era un cane grosso come la disperazione

che aveva perso una zampa

sognando i resti che avanzavano

da un pranzo ufficiale

C’era un soldato dal portamento drammatico

che ingoiava le pallottole del suo fucile

per non vedere più ai suoi piedi

donne morire col figlioletto in braccio

C’era una prigione tutta bianca

con una cella tutta nera

dove uomini dimentichi del loro nome

erano rinchiusi e mai processati

C’era una donna dallo sguardo spento

in attesa dei suoi undici figli

sulla strada del cimitero

dove non aveva potuto seppellirli

(Henri Boukoulou, Le strade di Soweto)

 

Ho visto sogni volare a pezzi

ho visto fiori neri falciati al chiaro di luna

Ho visto una madre in lacrime

un mucchio di nuvole cavalcare gli orrori

ho visto onde in pianto infrangersi sul continente

Ho visto una vacca divorare i suoi figli uno a uno

il suo latte, un fiume, si gettava in mari lontani

laggiù all’alba di una notte assolata

Ho visto piccoli angeli neri cadere come pietre

nelle strade di Soweto

di Soweto di Soweto

vittime dell’Apartheid

(Leopold Pindy Mamonsono, Mandela l’Africano)

 

Africa guarda

la tua biancheria nera

che brulica di vermi bianchi

Africa guarda

i tuoi piedi che emanano

miasmi afrikaner

Africa guarda

la fiamma della violenza

che incendia le savane di Città del Capo

Africa guarda

ai tuoi piedi fioriscono

i cadaveri dei tuoi figli nati morti

(Georges Ombindu, Africa, guarda)

 

Non è lui il Cristo?

Il salvatore razzista

che mi ha abbandonato

Contro i venti e le maree

continuerò per la mia strada

(Jean Claude Zounga-Bongolo, Contro i venti e le maree)

 

Basta sputi sulla mia pelle color pietra

Basta ferite sulla mia dura schiena d’ebano

Esplodi fiume contro le milizie dell’assurdo

Brontola temporale all’orecchio dei degenerati dell’apartheid

(Claude Bivoua, Sputi)

 

Colpisci, dai colpisci

Fai vibrare la tua frusta

Falla vibrare

Colpiscimi anche sulla testa!

Fino a togliermi il respiro

Mi piace, colpisci!

Colpisci che mi rendi più duro

Colpiscimi, è il tuo mestiere

Colpiscimi cane rognoso da abbattere!

La tua frusta mi ha reso testardo

La tua frusta mi è diventata abitudine

La tua frusta mi ha tolto la paura della morte

(Peetolo Vicka, Le sofferenze della schiavitù)

 

Notte troppo scura

notte scura troppo pesante

per risalire fuori

da questa caverna

Mi annoio di noia

muoio di fame

Cielo! E’ la fine

Non ne posso più

non ne posso più

ma chi mi sente?

Chi?

Il mio grido lo sentite

uomini della terra?

(Alphonse Dzanga Konga, Caverne “Dal dolore nasce il canto”)

 

O voi

popoli empi

granelli abortiti dalla semenza del Rah Ammon

fratelli minori del mio popolo

popoli del Nord così bravi nell’arte del tradire

l’Africa vi saluta!

Voi avete profanato i culti

falsificato le ombre che vegliavano nella pace delle tombe

truccato mutilato Mosè e il Pentateuco

cambiato nome ai profeti e usurpato il figlio dell’uomo

figlio di Horus

popolo di anticristi

l’Africa vi saluta!

(Bernard Zadi Zaourou, La danza della morte)

 

Inventarono l’apartheid. I grandi padri boeri. Una parola che ne nascondeva altre mille. Una parola sola per dire che i neri non potevano stare con i bianchi, non potevano avere gli stessi diritti, non potevano cogliere le stesse opportunità, una parola terribile per stabilire che i neri, nati liberi in Africa, nei loro villaggi natali e nelle strade delle loro città, nelle regioni che componevano il loro vasto paese, non erano liberi, non erano uomini. Poiché senza libertà non siamo uomini, siamo animali in gabbia.

E’ tutto per oggi. Per fortuna, l’apartheid è solo un brutto ricordo. Ma è meglio non dimenticarcene mai.

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