L’uomo bianco arrivò in Africa come un
gigante con un occhio solo, dice Laurens
Van Der Post (in The dark eye in Africa), volendo
indagare le ragioni del disprezzo dell’uomo bianco verso l’africano. E sostiene
per questo la metafora del ciclope dall’unico occhio, per spiegare che, in
quella sua peculiare cecità, in quella sua limitata visuale, l’uomo bianco
possedeva ormai solo una “visione
esteriore” del tutto votata all’oggettività e al materialismo e, avendo
perduto da tempo la propria anima, non aveva più la “visione interiore”, aveva perso cioè la capacità di scandagliare le
profondità abissali degli esseri umani. E le tempeste dell’Himalaya sono niente in confronto a quelle che si scatenano
nell’animo degli uomini, diceva Nehru.
Da questa perduta capacità di scrutare “all’interno” degli individui, l’uomo
bianco attrasse a se, dall’universo dell’irrazionale e quindi, da galassie
d’odio e pregiudizi, la convinzione della predominanza della razza indoeuropea
su quella africana, dell’asservimento di quest’ultima alla prima e, quale
strumento e metodo efficace per mantenere l’Africa in catene, l’apartheid, ossia la segregazione
razziale, la separazione delle razze.
Da che mondo è mondo, dicevano gli Afrikaner (i boeri, ovvero i bianchi
del Sudafrica), il cane va col cane, la zebra con la zebra e il leone con il
leone e non si è mai visto il cane camminare con il leone. In un solo caso la
Natura ha consentito che il nobile cavallo si accompagnasse con l’umile asino e
il risultato è sotto gli occhi di tutti: il mulo, quintessenza di ottusità e
testardaggine. Quindi, guai a violare la legge di natura: le razze superiori
non si mescolano alle razze inferiori.
Tuttavia, il ciclope bianco possedeva la
scienza, ma aveva perso la saggezza e sottometteva popoli che avevano la
saggezza, ma non ancora la scienza, dimenticando quando nel suo passato, prima
della rivoluzione industriale, anch’egli possedeva solo la saggezza. E
ignorando la profonda verità nascosta nella saggezza delle antiche civiltà
africane le rendeva schiave: “Nit nit ay garabam” (“Il
vero rimedio dell’uomo è l’uomo”). E’ il concetto di ubuntu:
siamo umani solo attraverso l’umanità degli altri. In altre parole, gli altri
siamo noi.
Con queste convinzioni, più nel cuore
che nella testa, Nelson Mandela
seppe risolvere il rompicapo della segregazione razziale e riunificare nel
segno dell’uguaglianza l’Africa nera e l’Africa bianca, facendo del suo nemico
mortale, il boero segregazionista e oppressore, il suo migliore amico e
alleato. La perfetta sintesi di democrazia, uguaglianza e libertà s’incarnò nel
suo governo, il primo del Sudafrica a essere retto da un nero, con un
vicepresidente bianco e uno di colore, a simboleggiare le due diverse, ma
finalmente unite, anime del Sudafrica.
Ma, prima della sua messa al bando, l’apartheid aveva fatto scorrere per
molti anni fiumi di sangue, di dolore e morte, nei quali intinsero le penne
generazioni di poeti africani. Eccovi le poesie più belle e struggenti,
leggetele e gustatevele perché sono perle nere di disperazione.
C’era un fanciullo vestito di nero
che si contava le costole
in fondo a una camera chiusa
sulla dolcezza della sera
C’era un cane grosso come la disperazione
che aveva perso una zampa
sognando i resti che avanzavano
da un pranzo ufficiale
C’era un soldato dal portamento drammatico
che ingoiava le pallottole del suo fucile
per non vedere più ai suoi piedi
donne morire col figlioletto in braccio
C’era una prigione tutta bianca
con una cella tutta nera
dove uomini dimentichi del loro nome
erano rinchiusi e mai processati
C’era una donna dallo sguardo spento
in attesa dei suoi undici figli
sulla strada del cimitero
dove non aveva potuto seppellirli
(Henri
Boukoulou, Le strade di Soweto)
Ho visto sogni volare a pezzi
ho visto fiori neri falciati al chiaro di luna
Ho visto una madre in lacrime
un mucchio di nuvole cavalcare gli orrori
ho visto onde in pianto infrangersi sul continente
Ho visto una vacca divorare i suoi figli uno a uno
il suo latte, un fiume, si gettava in mari lontani
laggiù all’alba di una notte assolata
Ho visto piccoli angeli neri cadere come pietre
nelle strade di Soweto
di Soweto di Soweto
vittime dell’Apartheid
(Leopold Pindy
Mamonsono, Mandela l’Africano)
Africa guarda
la tua biancheria nera
che brulica di vermi bianchi
Africa guarda
i tuoi piedi che emanano
miasmi afrikaner
Africa guarda
la fiamma della violenza
che incendia le savane di Città del Capo
Africa guarda
ai tuoi piedi fioriscono
i cadaveri dei tuoi figli nati morti
(Georges
Ombindu, Africa, guarda)
Non è lui il Cristo?
Il salvatore razzista
che mi ha abbandonato
Contro i venti e le maree
continuerò per la mia strada
(Jean Claude
Zounga-Bongolo, Contro i venti e le maree)
Basta sputi sulla mia pelle color pietra
Basta ferite sulla mia dura schiena d’ebano
Esplodi fiume contro le milizie dell’assurdo
Brontola temporale all’orecchio dei degenerati
dell’apartheid
(Claude Bivoua,
Sputi)
Colpisci, dai colpisci
Fai vibrare la tua frusta
Falla vibrare
Colpiscimi anche sulla testa!
Fino a togliermi il respiro
Mi piace, colpisci!
Colpisci che mi rendi più duro
Colpiscimi, è il tuo mestiere
Colpiscimi cane rognoso da abbattere!
La tua frusta mi ha reso testardo
La tua frusta mi è diventata abitudine
La tua frusta mi ha tolto la paura della morte
(Peetolo Vicka,
Le
sofferenze della schiavitù)
Notte troppo scura
notte scura troppo pesante
per risalire fuori
da questa caverna
Mi annoio di noia
muoio di fame
Cielo! E’ la fine
Non ne posso più
non ne posso più
ma chi mi sente?
Chi?
Il mio grido lo sentite
uomini della terra?
(Alphonse
Dzanga Konga, Caverne “Dal dolore nasce il canto”)
O voi
popoli empi
granelli abortiti dalla semenza del Rah Ammon
fratelli minori del mio popolo
popoli del Nord così bravi nell’arte del tradire
l’Africa vi saluta!
Voi avete profanato i culti
falsificato le ombre che vegliavano nella pace delle
tombe
truccato mutilato Mosè e il Pentateuco
cambiato nome ai profeti e usurpato il figlio
dell’uomo
figlio di Horus
popolo di anticristi
l’Africa vi saluta!
(Bernard Zadi
Zaourou, La danza della morte)
Inventarono l’apartheid. I grandi padri boeri. Una parola che ne nascondeva altre
mille. Una parola sola per dire che i neri non potevano stare con i bianchi,
non potevano avere gli stessi diritti, non potevano cogliere le stesse opportunità,
una parola terribile per stabilire che i neri, nati liberi in Africa, nei loro
villaggi natali e nelle strade delle loro città, nelle regioni che componevano
il loro vasto paese, non erano liberi, non erano uomini. Poiché senza libertà
non siamo uomini, siamo animali in gabbia.
E’ tutto per oggi. Per fortuna, l’apartheid è solo un brutto ricordo. Ma
è meglio non dimenticarcene mai.
Nessun commento:
Posta un commento