mercoledì 3 settembre 2014

21 euro


 

“Ce le hai le magliette del Napoli per bambini?”

Il venditore sgrana gli occhi e si mette subito alla ricerca delle magliette azzurre nella sua stamberga ambulante. E’ un bambino pure lui e non è neanche italiano. Lo capisco perché confonde le casacche partenopee con quelle della Juve, dell’Inter, del Milan. Alla fine, trova le magliette giuste e me le mostra. Sono quelle col numero 17, del capitano del Napoli. Avrei preferito un altro numero, ma ha solo quelle. D’altra parte, Hamsik non mi dispiace, come persona e come calciatore. Intanto, il bambino continua a frugare, mette all’aria mezza baracca, ma non trova altro.

“Mi dispiace” dice solo. Credo che tema che non le compri le sue magliette. Non deve avere più di dieci anni, l’età di mio figlio grande e penso che non dovrebbe stare qui, nella polvere, sotto il sole di agosto, tutto solo in mezzo ai grandi, in una strada trafficata a vendere le magliette dei calciatori. Ha gli occhi scuri, grandi, che si fanno ancora più grandi a ogni domanda, i capelli neri, quasi crespi, la pelle olivastra. E’ molto magro. Mi si stringe il cuore.

“Quant’è?”. Mi verrebbe voglia di comprargli le carte di Yu-Ghi-Oh, o l’ovetto Kinder. Magari gli farebbe piacere un gelato, con questo caldo.

Lui ci pensa un po’, poi, a bassa voce: “Sono 21 euro”.

“Quanti?” faccio, ma ho capito benissimo.

“20 euro”

Sono sicuro che se chiedo ancora, il prezzo si abbasserà di un altro euro. Venti bigliettoni sono tanti per un paio di magliette per bambini, false per giunta, e poi del Napoli. Cercano tutti quelle della Juve, dell’Inter, del Milan. Chi vuoi che compri le magliette del Napoli sotto il sole di agosto da un venditore ambulante improbabile come un bambino?

Io.

Però, venti euro sono parecchi e in altre circostanze contratterei il prezzo. Di solito, si sostiene che la merce è scadente, fallata, per farselo abbassare. Il venditore inizia allora a recitare la sua parte, fa finta di offendersi, giura e spergiura che la sua mercanzia è di prima qualità, il tira e molla va avanti per almeno un quarto d’ora, si discute animatamente, si alzano le voci, i toni si accendono, si arriva quasi alle mani. Ma è tutta una messinscena, sono schemi ben consolidati, usa così dalle mie parti. Non si deve mai pagare il prezzo che chiede il venditore. Il venditore, naturalmente, lo sa e il primo prezzo che spara è salato, salvo poi abbassarlo al termine della trattativa. Il mercanteggiamento va sempre a buon fine, con soddisfazione di entrambe le parti. Ma a volte, l’affare non si conclude e venditore e compratore diventano eterni nemici che si minacciano reciprocamente la morte.

Ecco, in altre circostanze avrei fatto così. Ma oggi no. Come si fa? I suoi occhi sono così grandi ed egli è così piccolo. Non potrei mercanteggiare con lui, sarebbe come mercanteggiare con i miei figli, ai quali sono destinate le due magliette. Non ha importanza il prezzo, non ha importanza la qualità del tessuto, non ha importanza neppure il fatto che aveva solo quelle e mi sono dovuto accontentare.

Non ha importanza.

Tiro fuori la somma richiesta senza battere ciglio. Ma non ha neppure il resto! Questo dev’essere il primo incasso della giornata, e sì che è già mezzogiorno passato. Prende le banconote dalla mia mano e, svelto, s’infila in un bar, uscendone poco dopo con il resto. Me lo conta in mano. E’ esatto.

“Va bene?” fa quasi incredulo mentre ripongo il denaro. Teme forse che io ci ripensi e chieda indietro i soldi, oppure che pretenda un ulteriore sconto.

“Si, va bene. Ciao”

Il suo volto s’illumina in un sorriso splendente, denti candidi sulla sua pelle olivigna, fa male agli occhi il riflesso del sole sul bianco dei suoi denti, sul bianco dei suoi occhi. Fa male lasciarlo lì, tutto solo, sull’asfalto bollente.

Giro i tacchi e schizzo via, nel flusso della gente, nel traffico di una giornata qualunque sotto il sole di un agosto qualunque. E torno a essere un signor nessuno, un volto anonimo in mezzo alla gente, né meglio né peggio dei tanti altri signor nessuno, ognuno nel suo giorno d’agosto qualunque, alla fine delle vacanze, che paiono quasi la fine di un’era, la fine di una vita e l’inizio di un’altra.

 

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