“Ce
le hai le magliette del Napoli per bambini?”
Il
venditore sgrana gli occhi e si mette subito alla ricerca delle magliette
azzurre nella sua stamberga ambulante. E’ un bambino pure lui e non è neanche
italiano. Lo capisco perché confonde le casacche partenopee con quelle della
Juve, dell’Inter, del Milan. Alla fine, trova le magliette giuste e me le
mostra. Sono quelle col numero 17, del capitano del Napoli. Avrei preferito un
altro numero, ma ha solo quelle. D’altra parte, Hamsik non mi dispiace, come persona e come calciatore. Intanto, il
bambino continua a frugare, mette all’aria mezza baracca, ma non trova altro.
“Mi
dispiace” dice solo. Credo che tema che non le compri le sue magliette. Non
deve avere più di dieci anni, l’età di mio figlio grande e penso che non
dovrebbe stare qui, nella polvere, sotto il sole di agosto, tutto solo in mezzo
ai grandi, in una strada trafficata a vendere le magliette dei calciatori. Ha
gli occhi scuri, grandi, che si fanno ancora più grandi a ogni domanda, i capelli
neri, quasi crespi, la pelle olivastra. E’ molto magro. Mi si stringe il cuore.
“Quant’è?”.
Mi verrebbe voglia di comprargli le carte di Yu-Ghi-Oh, o l’ovetto Kinder.
Magari gli farebbe piacere un gelato, con questo caldo.
Lui
ci pensa un po’, poi, a bassa voce: “Sono 21 euro”.
“Quanti?”
faccio, ma ho capito benissimo.
“20
euro”
Sono
sicuro che se chiedo ancora, il prezzo si abbasserà di un altro euro. Venti bigliettoni
sono tanti per un paio di magliette per bambini, false per giunta, e poi del
Napoli. Cercano tutti quelle della Juve, dell’Inter, del Milan. Chi vuoi che
compri le magliette del Napoli sotto il sole di agosto da un venditore
ambulante improbabile come un bambino?
Io.
Però,
venti euro sono parecchi e in altre circostanze contratterei il prezzo. Di
solito, si sostiene che la merce è scadente, fallata, per farselo abbassare. Il
venditore inizia allora a recitare la sua parte, fa finta di offendersi, giura
e spergiura che la sua mercanzia è di prima qualità, il tira e molla va avanti
per almeno un quarto d’ora, si discute animatamente, si alzano le voci, i toni
si accendono, si arriva quasi alle mani. Ma è tutta una messinscena, sono
schemi ben consolidati, usa così dalle mie parti. Non si deve mai pagare il
prezzo che chiede il venditore. Il venditore, naturalmente, lo sa e il primo
prezzo che spara è salato, salvo poi abbassarlo al termine della trattativa. Il
mercanteggiamento va sempre a buon fine, con soddisfazione di entrambe le
parti. Ma a volte, l’affare non si conclude e venditore e compratore diventano
eterni nemici che si minacciano reciprocamente la morte.
Ecco,
in altre circostanze avrei fatto così. Ma oggi no. Come si fa? I suoi occhi
sono così grandi ed egli è così piccolo. Non potrei mercanteggiare con lui,
sarebbe come mercanteggiare con i miei figli, ai quali sono destinate le due
magliette. Non ha importanza il prezzo, non ha importanza la qualità del
tessuto, non ha importanza neppure il fatto che aveva solo quelle e mi sono
dovuto accontentare.
Non
ha importanza.
Tiro
fuori la somma richiesta senza battere ciglio. Ma non ha neppure il resto!
Questo dev’essere il primo incasso della giornata, e sì che è già mezzogiorno
passato. Prende le banconote dalla mia mano e, svelto, s’infila in un bar,
uscendone poco dopo con il resto. Me lo conta in mano. E’ esatto.
“Va
bene?” fa quasi incredulo mentre ripongo il denaro. Teme forse che io ci
ripensi e chieda indietro i soldi, oppure che pretenda un ulteriore sconto.
“Si,
va bene. Ciao”
Il
suo volto s’illumina in un sorriso splendente, denti candidi sulla sua pelle olivigna,
fa male agli occhi il riflesso del sole sul bianco dei suoi denti, sul bianco
dei suoi occhi. Fa male lasciarlo lì, tutto solo, sull’asfalto bollente.
Giro
i tacchi e schizzo via, nel flusso della gente, nel traffico di una giornata qualunque
sotto il sole di un agosto qualunque. E torno a essere un signor nessuno, un
volto anonimo in mezzo alla gente, né meglio né peggio dei tanti altri signor
nessuno, ognuno nel suo giorno d’agosto qualunque, alla fine delle vacanze, che
paiono quasi la fine di un’era, la fine di una vita e l’inizio di un’altra.
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ANGELO MEDICI
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