“Sù
parcheggia! E’ qui.”
M’infilo
nell’unico buco disponibile lungo il marciapiedi e peccato se c’è divieto di
sosta e fermata e pazienza se sono proprio sulle strisce pedonali e accidenti se
ci sono vigili urbani nei paraggi, con la moglie e la suocera non si discute,
si ubbidisce. A dir la verità, prese singolarmente, riuscirei a tenere testa a
entrambe, ma così, insieme, no, sono destinato a soccombere sotto il loro
imperioso, stereofonico: “Parcheggia!”.
Mentre
scruto l’orizzonte, cercando di cogliere in anticipo l’avvicinarsi di eventuali
divise e sgattaiolare nel traffico prima del loro arrivo, sento sbattere le
portiere dell’auto e le due uniche artefici del mio destino, possedute dalla
fregola dello shopping, svaniscono presto
tra la gente. Ora sono solo.
Recupero
l’agenda dal cassetto del cruscotto, mi lascio trasportare dal flusso dei
pensieri e comincio a scrivere.
“Che
Dio ti benedica, che tu possa avere una lunga vita e godere tutte le fortune di
questo mondo, soldi, donne, salute… “
Ecchecazzo!
Non ho fatto neppure in tempo a scrivere una riga! A questo mondo non si può
neppure aspirare a essere lasciati in pace per cinque minuti. Mi volto. Gli
occhi scuri e profondi di una zingara mi scrutano.
“…a
te e ai tuoi figli, tutte le gioie, la felicità e le ricchezze di questo mondo,
pace e prosperità sulla tua casa… “
“Va
bene, va bene! Mi hai convinto”. Interrompo le sue litanie e metto mano al
portafoglio. So bene che se non lo facessi, ricomincerebbe a cantarmi le sue filastrocche,
ma stavolta al contrario, augurandomi tutte le maledizioni di questa terra. Inizia
così una ricerca spasmodica degli spiccioli, ma mi accorgo di avere solo cinque
o sei centesimi, un bottone, un paio di monete fuori corso (la cara vecchia
lira!) e una moneta da due euro. Cincischio un po’ con le monete, cerco di
prendere tempo, ma è inutile, so già che sceglierò la moneta da due euro,
perché sono fatto così: davanti a chi chiede non so dire di no e non so deluderne
le aspettative.
Depongo
la moneta nel palmo della sua mano. La fa sparire in un lampo e mi afferra
entrambe le mani. E’ stata lesta, non me l’aspettavo e non sono riuscito a
ritrarle, ma le sue mani sono calde e inaspettatamente morbide e stringono
forte le mie. E’ come un nodo che non riesco a svellere. La guardo meglio. La
sua acconciatura improbabile, le larghe e lunghe vesti che indossa non riescono
a dissimulare la sua età. E’ giovane e il suo seno florido preme contro lo
sportello. Ma non è questo a trattenermi. Sono i suoi occhi penetranti e il
calore e la forza della sua stretta, che non riesco a sciogliere.
“Tu
sei tanto invidiato… “ comincia a dire “ … e hai tanti problemi…”
“E
chi non li ha?”
“Dove
abiti? Che lavoro fai?”
“Questo
dovresti saperlo già, o no?” faccio ironico, sfidando le sue doti divinatorie.
“Stai
aspettando tua moglie, vero?”
“E
anche mia suocera. Brava!”
Questa
è stata una facile previsione però, penso. Basta guardare l’interno della mia
auto, che straripa di buste di vestiti e calzature da donna e comincia a somigliare
alla vettura di un agente di commercio.
“Ora,
lasciami le mani”. Tento di tirare, ma lei non molla. Andiamo avanti un po’ con
quella pantomima, con quello strano braccio di ferro mano nella mano, io tiro a
me e lei tira a se, ma il risultato non cambia, siamo sempre in parità, in
bilico sul finestrino aperto. Comincio a pensare che voglia sfilarmi l’orologio
e il braccialetto che porto al polso, o che abbia adocchiato il cellulare. Non
ci metterebbe nulla a farlo sparire con le sue doti magiche. Ma mi sbaglio,
pare che non sia questo che le interessi. E intanto, i miei occhi e le mie mani
non riescono a staccarsi dai suoi occhi e dalle sue mani.
“Qual
è il tuo desiderio più grande?”
“Mantenere
quello che ho”.
Ho
risposto proprio così, ma era come se a rispondere alla zingara fosse stato un
altro e non io. Avevo risposto a lei, ma era più come se avessi risposto a me
stesso, a una domanda che non mi ero mai posto, ma che aleggiava da tempo in me,
da qualche parte, e che la gitana, con la sua curiosità interessata, aveva
risvegliato. Ero stupito da quella risposta.
“Ora
ti dò un portafortuna, che ti aiuterà nella vita… “ riprende a dire, ma lo
stupore di poco prima mi dà la forza per dirle di no.
“Mi
dispiace, ma non credo a queste cose”
Lei
ci è rimasta male, è delusa e triste al tempo stesso, come se la matassa che
stava con pazienza svolgendo si fosse annodata, o più semplicemente perché non avevo
voluto accettare il suo dono. Ne approfitto per liberare le mani dalla sua
morsa. I suoi begli occhi neri sono velati, stavolta non fa resistenza e lascia
sfilare le mie mani, lentamente, dalle sue.
“Buona
fortuna!”
“Anche
a te”
Se
ne va appena in tempo per non incrociare mia moglie e mia suocera che stanno
tornando e mi risparmio le loro raccomandazioni di non dare confidenza agli
sconosciuti, neanche fossi un bimbetto di tre anni e non un uomo bell’e fatto,
neanche se lo sconosciuto in questione ha le sembianze di una bella zingara dagli
occhi neri e ammaliatori e il seno prosperoso.
Anzi,
soprattutto per questo.
Scarrozzo
ancora per un po’ le mie donne senza sbuffare, affronto stoicamente, a loro
richiesta e nell’ordine: un senso vietato, un semaforo rosso e una pista
ciclabile, subendo senza fiatare gli improperi di un ciclista, quindi, mi
sorbisco le ultime novità di Grey’s
Anatomy e, infine, apprendo, con viva partecipazione, che quest’estate va
di moda lo shatush, i pantaloni a
vita alta e i gonnoni plissettati.
Ma
ogni cosa prima o poi ha una fine e anche gli acquisti, grazie a Dio, giungono
al termine. Torniamo a casa. Quando sua madre va – finalmente - via, mia moglie
mi abbraccia e mi bacia.
“Sei
stato tanto paziente con me e mia madre, oggi. Più del solito”
Non
le rispondo. Mi limito a sorriderle sornione. E intanto, penso all’alta pila di
vestiti, scarpe e suppellettili per la casa, che giace, incombente e minacciosa,
all’ingresso. So bene che tra un po’ mi chiederà di darle una mano a metter via
tutto.
“Qual
è il tuo desiderio più grande?” domanda, invece, come se volesse premiarmi,
farmi un regalo. I suoi occhi sembrano più grandi e ammiccano.
Mille
pensieri, centinaia di desideri, decine e decine di richieste mi passano per la
mente. Ma stavolta non ho dubbi. Ed è la mia voce a rispondere e non quella di
qualcun altro.
“Mantenere
quello che ho”.
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ANGELO MEDICI
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