Un
tedioso pomeriggio estivo, il sole piove spietato sulla strada rovente. Nella
stanza in penombra, dove cerco rifugio dai suoi raggi, traspira la calura e le
teste ciondolano, qualcuno si appisola. Il tempo non passa mai in compagnia di
chi ci è indifferente o addirittura molesto. Vorrei sprofondare anch’io nel
sonno, ma non ci riesco, il respiro ritmico e profondo di chi si è
addormentato, o peggio, il russare profondo e cacofonico mi disturba, il
chiacchiericcio di chi è ancora sveglio è un ronzio da insetto che mi avvelena
i nervi.
Così,
più per abitudine che per necessità, accendo il notebook. La pagina iniziale è
quella di un famoso social network. Sfoglio pagine su pagine, profilo dietro
profilo, chi s’è sposato, chi si è trasferito, chi ha avuto un figlio. Vita che
va, vita che viene. Curiosità piccata, al limite del morboso, prende il posto
del mio malessere. V’è un che di indecoroso nello sbirciare nelle vite d’altri,
esplorare gli altrui album fotografici – mi sento quasi un voyeur - e scoprire che sono stati in posti che, forse, non vedremo
mai, che fanno sport che non avremo il coraggio o la costanza di praticare, che
hanno più amici di noi, sorridono di più, insomma, se la passano meglio. E, un
vago senso che non è agevole definire, acido come un rigurgito, un pizzico di
leggera invidia, misto a un grammo di nostalgia, mi afferra alla bocca dello
stomaco e mi dà nausea. Quasi quasi, preferivo l’irritazione verso chi ronfava.
E
di che mi stupisco? Sul libro delle facce c’è il mondo intero e s’incontrano
tanti ex. Ex colleghi, ex amici, ex fidanzate. E scatta puntuale il meccanismo
del rimpianto, la tagliola delle domande insolenti e pericolose, pericolose
perché possono far male: chissà, se non l’avessi lasciata ora sarei al posto di
quell’insulso maritozzo che l’ha sposata e che si erge, sorridente e
palestrato, da un album di fotografie delle vacanze al mare. Guarda caso, è più
muscoloso di me, è più sportivo di me, sicuramente guadagna più di me e, si
vede, la fa ridere più di quanto potevo farlo io. Lei sembra felice, il suo
sorriso è franco, aperto, sincero. I suoi occhi sono belli e trasparenti, non
conoscono neanche un’oncia di tristezza, non indossano da lungo tempo il velo
della malinconia. Insomma, si sono sposati, hanno avuto figli, vanno in vacanza,
se la passano bene, mi pare. Una famiglia felice, che gode una felicità che io
non avrei saputo darle.
Mi
sono stufato di fare il guardone e penso che dovrei rimettere ordine nella mia
vita. Spengo il notebook e lo metto via. I miei occhi riprendono confidenza con
la penombra e scorgono un quotidiano che si solleva e si abbassa ritmico sul
prominente addome di un tizio che conosco appena e ronfa saporitamente. Lo
raccatto e inizio a sfogliarlo. Le solite notizie: lo spread diminuisce, la
depressione aumenta, la ripresa ci sarà, forse, il prossimo semestre. D’un
tratto, rivedo quel sorriso, nella pagina della cronaca nera.
Coniugi
trovati morti in casa. Si sospetta un caso di omicidio – suicidio.
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