La bettola
era affollata di avventori. Era venerdì sera, ora di punta. Contadini dalle
vesti lacere, stanchi della fatica dei campi e muratori, falegnami e altri
artigiani si potevano riconoscere dalla polvere, dalla segatura e da altri frammenti
del loro lavoro, impigliati nei capelli e nelle barbe. Prostitute siriane
facevano gruppo a sé. Ogni tanto una di esse si staccava dal gruppo vociante e
sguaiato, che costituiva anche il nucleo principale del locale, intorno al
quale gli avventori ronzavano come mosche, per andare a proporre a qualcuno di
essi prestazioni irripetibili.
Chini sui
loro bicchieri, su assi di legno inchiodati insieme da tempo immemorabile a
costituire un lungo bancone di bar, stavano tre personaggi pensierosi. Tra
questi e il resto della bettola c’era il vuoto e nessuno osava attraversarlo e
avvicinarsi, neppure le prostitute.
“Bello spettacolo,
oggi vero?” disse Frusciante.
“Già” rispose
Morales laconico. Aveva un’aria sofferente.
“Jeremiah,
un altro giro!” ordinò Kozlowski.
“Grazie
tenente!” esclamò tutto accaldato Frusciante.
“Cos’hai Morales?”
“Niente, ho
mal di testa. E’ tutto il giorno che ho mal di testa”
“Sei qui da
troppo tempo” disse Frusciante.
“Già, da
troppo” rispose laconico Morales, tornando a tuffare lo sguardo dentro il suo
bicchiere vuoto.
“Ecco un
altro giro signori!” esclamò Jeremiah il vinaio arrivando con le coppe.
“Questo è
quello buono, come le avevo promesso, tenente. Rosso scuro, come il sangue.
Alla vostra salute, signori!”
Nel
servirli, Jeremiah urtò il braccio di Morales, rovesciando parte del vino.
“Gesù
Cristo!” esclamò.
“Dove?” si
allarmarono i militari. L’oste sbiancò.
“Da nessuna
parte” rispose Morales abbassando il tono della voce “Imprecavo”
“E’ che
siamo tutti un po’ nervosi da questo pomeriggio” fece il tenente al vinaio,
tentando di giustificarsi.
“Ho mal di
testa” disse Morales.
“Questo le
farà bene, signore” disse l’oste “E’ di quello buono, che tengo in riserva”.
Poi,
avvicinandosi al tenente “Non lo servo mica a tutti” aggiunse sussurrando e
ammiccando “Dico bene, tenente?”
Il tenente non
rispose. Quell’ammiccare repentino e fraudolento gli aveva fatto venire i
brividi. Si volse e con un rapido roteare d’occhi scandagliò tutta la bettola. Meglio
darsi un’occhiata alle spalle, ogni tanto. Una delle prostitute siriane
ricambiò la sua ampia guardata con un’occhiata invitante. Il tenente declinò
l’invito abbassando lo sguardo sulla sua coppa di vino.
“Perché,
che è successo oggi pomeriggio?” chiese l’oste con malcelata indifferenza.
“Raccontagli
tenente”
“Si
raccontaglielo tenente” fece Morales “E raccontagli di come si è oscurato il
cielo, di come è caduta la folgore, di come si è rivoltata la terra!“ aggiunse dolorante.
In effetti, quel pomeriggio, una grossa nuvola nera si era levata a occidente e
aveva tagliato a metà il cielo. Era una nuvola strana, fosca e densa, gravida
di presagi, che gettava una mesta ombra oscura sulla terra e prometteva
tempesta. Le due metà del cielo si guardavano minacciose, come un occhio nero
guarda un altro occhio azzurro, come se l’inferno ed il paradiso si scrutassero
grandiosi e imponenti e si specchiassero l’uno nell’altro, due abissi gemelli e
antitetici. Poi, l’occhio nero aveva inghiottito quello azzurro e tutto era
sparito nella sua ombra, come se mai nulla fosse esistito sulla faccia della
terra.
“Taci
soldato!” fece imperioso il tenente “E’ segreto militare” aggiunse con un tono
che non ammetteva repliche.
Si fece
silenzio e spensero i loro pensieri nei bicchieri. L’oste se ne stava ritto in
piedi presso di loro, dall’altra parte del bancone, contemplandosi i piedi con
evidente imbarazzo. Si chiedeva perché mai gli fosse venuto in mente di porre quella
domanda, ma la sua curiosità aveva avuto il sopravvento e ora si arrovellava
cercando un plausibile e neutro argomento di conversazione per poter interrompere
quell’imbarazzante silenzio. Per sua sfortuna, Frusciante arrivò prima di lui.
“Io dico
che se l’è cavata bene oggi” disse.
Altro
silenzio trapassato da sguardi interrogativi. L’oste ebbe un presentimento e
tentò di arretrare, ma trovò subito il muro.
“Si, il
tizio oggi sulla croce” aggiunse Frusciante.
“Voglio
dire, non è da tutti, si è comportato in modo esemplare. Sai, quando ti
inchiodano le mani, non è un bel momento e poi, quando tirano su la croce, è la
parte più terribile, sapete, io ne ho
visti tanti e in quel momento tutti vorrebbero scendere, se potessero e fuggire
via lontano, ve lo assicuro e invece lui, lui neanche un lamento.” insistè Frusciante.
“Non so, ho
mal di testa” rispose Morales.
“Diceva che
era il figlio di Dio, ma allora, mi domando, se era davvero figlio di Dio,
perché non è sceso dalla croce e non ci ha inceneriti tutti con un solo
sguardo?” continuò Frusciante con noncuranza.
“Balle,
tutte balle!” fece il tenente.
Il
bettoliere si fece ancora più pallido e tentò di scomparire nell’ombra.
“E poi,
tutta quella folla, tutta quella gente che è venuta a vederlo morire sulla
croce. Non c’è mai nessuno alle esecuzioni, solo i parenti stretti, a volte
neppure quelli, perché provano vergogna.” incalzò Frusciante.
L’oste
prese a tremolare nell’ombra, ma nessuno potè vederlo.
“E c’erano tante
donne e come piangevano! Ho sentito dire che gli uomini della sua banda l’avevano
abbandonato, l’hanno tradito e lasciato solo lì a morire. Ma le donne no, loro
lo hanno seguito fino all’ultimo. E il resto della storia la conoscete già, tuoni,
fulmini e saette e tutta la gente che scappava, che confusione! Insomma, è
stato proprio un bello show!” andava
avanti Frusciante imperterrito e non c’era verso di farlo tacere. Era piuttosto
brillo.
“Sentite,
dobbiamo proprio parlarne?” chiese implorante Morales “Ho mal di testa!”
“Ha ragione”
ammise subito Kozlowski “Basta così soldato!” intimò a Frusciante.
Poi,
rivolto a tutti “E adesso ascoltatemi bene. Il tizio sulla croce non era figlio
di Dio, figlio di Dio è solo l’Imperatore e questo è il motivo per cui era
sulla croce. Era solo un millantatore, un agitatore sociale, andava dicendo in
giro che tutti gli uomini sono liberi e uguali. E questo è l’altro motivo per
cui era sulla croce. E vi pare poco? Tutti gli uomini sono liberi e uguali? Queste
sono idee pericolose, qualcuno prima o poi finisce per crederci e si mette in
testa di fare la rivoluzione! Al giorno d’oggi si va sulla croce per molto meno.”
Mentre Kozlowski
così tuonava, l’oste rabbrividiva nella sua ombra e si fece silenzio
nell’osteria. Perfino le prostitute ascoltavano il tenente, mute e immobili
come splendide statue silenziose.
“Era un
delinquente, un farabutto, un bugiardo ipocrita come tutti gli altri, ecco
cos’era, altro che figlio di Dio! E non è sceso dalla croce, non ha lanciato
fulmini dagli occhi e fiamme dal culo e la pioggia, il temporale e il terremoto
quando è spirato sono stati solo coincidenze. Era un uomo come tutti gli altri,
come me e come voi!”
Fece una
pausa per prendere fiato “Anche se devo ammettere che è stato piuttosto in
gamba oggi sulla croce”
“Allora
perché ho mal di testa?” chiese Morales “E perché mi sento un vuoto dentro,
così profondo che nemmeno questo buon vino riesce a colmare?”
“Perché mi
sento male da morire?”
“Sei qui da
troppo tempo” rispose Frusciante.
“Si” fece
eco il tenente “Sei qui da troppo tempo.”
“E’ lei che
è qui da troppo, tenente!” dichiarò Morales con tono inaspettatamente duro.
“Ed è da
troppo tempo nell’esercito. Ha combattuto troppe guerre e si è chiuso in sé
stesso, perché ha perso la fiducia nei suoi simili” concluse con sicurezza,
guardandolo dritto negli occhi, piantandogli addosso quei suoi occhi azzurri
intensi, non più offuscati dal mal di testa e ora limpidi come un’accusa.
Il tenente
lo guardò con meraviglia, ma in cuor suo sapeva che il soldato aveva detto il
vero. Era e sapeva di essere un uomo colmatosi di odio e abituatosi a odiare. L’impatto
profondo con la vita lo aveva fatto crescere, diventare adulto in poco tempo,
sacrificando a essa i suoi anni migliori. Attraverso gli occhi azzurri di Morales
rivedeva la sua gioventù, la sua vita sprecata al servizio dell’Impero, tutte
le battaglie che aveva combattuto, i compagni che aveva perso, i nemici
sconfitti, in un enorme cumulo di morti, morti, morti, morti ovunque e sopra di
loro la perfida ingannatrice con la falce in pugno e il suo sussurro indecifrabile
nella bocca senza labbra. E adesso, in quella notte di un venerdì fuori dal
tempo, in quella bettola lurida e nauseabonda dall’altra parte del mare, si
accorse di avere appena avuto un altro scontro con la vita e di essere diventato
vecchio in un colpo solo. Ma non rispose a Morales, si limitò a sorridere e disse:
“Torniamo
in caserma”
“Sei
fortunato Jeremiah, oggi è giorno di paga” aggiunse lasciando un gruzzolo di
monete sonanti sul bancone.
“Grazie,
signor tenente!” disse una voce dall’ombra. L’oste si era accorto che erano in
quantità superiore al dovuto.
“I soldi sono
come la merda, Jeremiah, più li maneggi, più ti sporchi.” fece il tenente rovesciando
indietro la testa ed esplodendo in una grassa risata.
L’oste li seguì
con lo sguardo mentre si allontanavano verso l’uscita e gli altri clienti si
scansarono per lasciarli passare. Uscì dall’ombra ed emise un sospiro di
sollievo. Si sentì lieve e poco importante, quasi fosse stato trasparente nella
sua bettola di infimo ordine. Poi contò con cura le monete che gli avevano
lasciato i soldati, le fece tintinnare nella mano e sorrise soddisfatto.
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