Dopo
alcuni mesi di silenzio radio, rieccomi a presentare una mia nuova
fatica, stavolta non letteraria, ma musicale. Una sorta di ritorno
alle origini.
Si
tratta di Avvolgimi invisibile, il quinto capitolo
della saga Atròphia.
Questo
nuovo lavoro è stranamente lontano dalla mia solita
verve/indifferenza alternativa, ho esplorato sonorità, stili
e strutture di certo rock classico anni settanta (Il giardino
d'inverno, Samsara, Zyon), qualche episodio di umorismo nero
– o d'umor nero, se preferite – (Il segreto della stanza
42, Gwyneth is dead) e numerose aperture melodiche (Avvolgimi
invisibile, Kapput mundi, Ode notturna). E' quasi
un'introspezione consuetudinaria, automatica, se vogliamo, ma
ineluttabile. Del resto, non posso essere quello che non sono, così
come non posso non essere quello che sono.
Pare
scontato, ma non è affatto così.
Scrivere
a vuoto parole insulse soltanto per evitare l'angoscia di non saper
più annerire l'accecante biancore dei fogli è inutile. Stavolta la
furia creativa ha fatto vibrare corde vocali e corde di chitarre
elettriche, entrambe hanno strepitato, pianto e lanciato dissonanze
violentando il silenzio, cercando di volgere il caos al cosmos, una
lotta impari durata tre mesi, da marzo alla fine di maggio, nel solco
incarnato di una primavera volubile, di sole avaro e di fresco di
pioggia.
Sette
anni sono passati da Subliminale, anni in cui ho
affinato la mia viscerale diffidenza verso i popoli del nord, anni di
mesto rancore.
E'
stato questo lento scorrere a devastarmi nel profondo. Un vuoto
incolmabile, una foresta impenetrabile, un oscuro simulacro. Questo
sono. Mi rendo conto che mi sono lasciato indietro un mucchio di
macerie. Terra bruciata intorno, tempeste, distruzione. Ci sono
città, mondi interi, universi da ricostruire.
Ma
tutto questo ha dato vita ad Avvolgimi invisibile. E'
davvero mio, mi rendo conto che ci sono dentro fino ai capelli, mi
sovrasta come le onde di Kapput mundi.
Presto
ne sarò sommerso, mi mancherà l'aria, perderò i sensi. Laggiù, il
mondo equoreo mi attende.
Presto,
ma non ancora.
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