sabato 25 febbraio 2017

Don DeLillo, uno scrittore dal Molise per narrare l'american dream


E' un bene vivere nel luogo in cui si è scelto di vivere, non dove si è obbligati. Ma spesso non è così. Non scegliamo la nostra casa, la nostra strada, la nostra città e i nostri vicini, ma sono altri a decidere per noi, con minuscoli scatti d'ingranaggi che mettono in moto una ruota enorme e gigantesca, tutti insieme contribuiscono al nostro destino. Una sorta di lotteria esistenziale che assegna a ciascuno il prato in cui metterà radici.

Don DeLillo (nome completo Donald Richard DeLillo) è nato e cresciuto nel Bronx, ma i suoi genitori erano italianissimi, emigrati subito dopo la Grande guerra dal Molise, Montagano, per la precisione, in provincia di Campobasso. Come ogni italo-americano che si rispetti, ha frequentato scuole cattoliche fino agli studi universitari e l'influenza religiosa traspare in molte delle sue opere (1).

Terminati gli studi, iniziò a lavorare prima come custode di un parcheggio e poi come pubblicitario - risale a questa fase della sua vita il profondo interesse per l'arte e la musica, particolarmente al jazz (ahimè, un genere musicale che mi causa l'orticaria e la nevrosi) e (finalmente) alla scrittura.

Il suo talento trovò subito terreno fertile nel Nuovo continente e potè deflagrare come meritava. Chissà se sarebbe accaduto se fosse rimasto in Italia.

Nel 1971 ha pubblicato il suo primo romanzo, Americana (2), un'opera che è un'indagine sul malessere esistenziale, le paure e le patologie della società moderna, temi che si ritroveranno più avanti in altre sue opere.

Nel 1973 scrive Great Jones Street, la storia di una rockstar che abbandona la sua band nel momento di massimo splendore, decidendo di svanire dal mondo, nascondendosi in un anonimo appartamento di Great Jones Street, da cui il titolo. Credo che nel romanzo ci sia molto del Wakefield di Nathaniel Hawthorne, dai Twice told tales, come il tema dell'insopportabilità del quotidiano, del mal di vivere, del trionfo della noia e della fuga come soluzione ai problemi. Ma è impossibile sfuggire alle luci della ribalta e il nascondiglio è ben presto scoperto e il volontario esilio non salva la rockstar dalla curiosità morbosa della massa e dal turbinio di agenti, produttori e manager che cercano di guadagnare ancora un dollaro in più sfruttando il mito. Una narrazione spietata e ironica sullo starsystem e l'illusione del successo.

Erano somme che colavano dalla mia pelle come tanta pioggia. Somme che in realtà tornavano a me sotto forma di credito esistenziale. Pranzammo un'altra volta. Una band suonava musica da ipermercato dal vivo. Tornammo a casa in silenzio. Ci ritirammo nelle nostre rispettive camere, desiderando stare soli.

Alla fine degli anni settanta DeLillo intraprese un lungo viaggio in Medio Oriente e in India; successivamente si trasferì in Grecia, dove ha vissuto per alcuni anni.

Al ritorno negli Stati Uniti ha scritto Rumore bianco (titolo originale, White Noise) con cui, nel 1985, ha vinto il National Book Award. E' la critica spietata al capitalismo e al consumismo, un rumore bianco onnipresente, sottofondo della vita moderna e, per quanto mi riguarda, è il suo capolavoro. Il rumore bianco è la colonna sonora della società consumista, la televisione, la radio, la musica, la pubblicità, il traffico, il ronzio d'alveare che non ci abbandona mai e c'impedisce di ascoltare il silenzio.

E' il linguaggio delle onde e delle radiazioni, ovvero quello per il cui tramite i morti parlano con i vivi. Ed è lì che aspettiamo, tutti insieme, a dispetto delle differenze di età, i carrelli stracarichi di merci colorate. Una fila in movimento lento, gratificante, che ci dà il tempo di dare un'occhiata ai tabloid nelle rastrelliere.

Tutto ciò di cui abbiamo bisogno, che non sia cibo o amore, lo troviamo nelle rastrelliere dei tabloid. Storie di fatti soprannaturali ed extraterrestri. Vitamine miracolose, le cure per il cancro, i rimedi per l'obesità.

Il culto delle star e dei morti.

Gli interni nevrotici e gelidi che caratterizzano Rumore bianco, si ritrovano in Cosmopolis, romanzo del 2003, che si svolge tutto all'interno di una limousine in una insolita odissea newyorkese, e che si rivela sinistramente premonitore nell'anticipare la crisi economica del 2007 (a proposito, passerà alla storia come Grande depressione, Grande crisi economica, o Crisi economica globale?), segnata dal fallimento epocale della Lehman Brothers e dalla nazionalizzazione della Freddie Mac e Fanny Mae.

Don DeLillo è stato il cantore del sogno americano e della sua crisi, l'american beauty (3), nel devastante e profetico scorcio di fine millennio.

Le teorie del complotto divengono centrali nella vita dei personaggi che l'autore descrive. In Running Dog:

E' una Zumwalt automatica calibro 25. Di fabbricazione tedesca. Non ha la forza di arresto di un'arma a canna pesante, ma non ti capiterà mai di dover affrontare un rinoceronte, o no?

Un'arma mortale nascosta. Lo strumento definitivo per determinare l'appartenenza di un individuo a questo mondo. Era un segreto, una seconda vita, un secondo io, un sogno, un incantesimo, un intrigo, un delirio.

Made in Germany.”,

si narrano le vicende di un gruppo di esaltati a caccia di cimeli nazisti, sullo sfondo della spietata lotta fra l'individualismo e il controllo politico–burocratico-sociale.

DeLillo è stato il lucido osservatore della società americana nel rito di passaggio al Nuovo millennio e del suo immaginario collettivo, ha descritto i suoi costumi e la sua decadenza con una scrittura profonda e ironica, attraverso lo strapotere dei media, il manicheismo sociale, la religiosità, i riti profani come il Giorno del ringraziamento, il 4 di luglio e il Superbowl e le liturgie della politica (i caucus, le primarie e il complesso sistema elettorale statunitense), tentativi di rendere sacro qualcosa di infinitamente immorale.

La conquista del potere.



(1) Underworld del 1997. Un capolavoro della letteratura postmoderna, nel quale si sprecano teorie del complotto, dietrologie da guerra fredda, ossessione mediatica e degenerazioni della cultura popolare.

(2) Americana purtroppo è uscito in Italia soltanto nel 2000. DeLillo è stato scoperto molto tardi dalla madrepatria, ma questo è un destino comune a molti suoi figli.

(3) Ricordate il bellissimo film del 1999 di Sam Mendes, con Kevin Spacey, Annette Bening e Mena Suvari? E, sempre sullo scorcio di fine millennio, Strange days (4), duemila o non più duemila?

(4) Ancora una nota alla nota. Film del 1995 di Kathryn Bigelow, con Ralph Fiennes, Angela Bassett e Juliette Lewis, nonché stravolta canzone e omonimo album del 1967 dei Doors.


domenica 12 febbraio 2017

Un approccio alla teoria M.E.U.V. (Movimento per l'Estinzione Umana Volontaria)


Senso di insicurezza collettiva, di precarietà e spaesamento, progressivo affievolirsi dei legami di comunità, vicinato e famiglia, perdita del senso di appartenenza alla 'grande' e alla 'piccola' patria, fino a configurare una “solitudine del cittadino globale”.

E poi, il controllo della natura, l'organizzazione burocratica e gerarchica della società e del lavoro, la sistematizzazione di regole e controlli, la frammentazione del sapere. E, l'estrema difficoltà di applicare regole e controlli a gruppi che, per definizione, rifuggono da regole e controlli (immigrati che rispettano soltanto le tradizioni dei paesi di provenienza e non sono permeabili alle regole dei paesi d'arrivo, gruppuscoli di antagonismo anarcoide o antisistema, popolazioni nomadi che si trascinano per stanca convinzione da un campo all'altro) suscita senso di minaccia, paura e tendenze liberticide, o peggio, istinti di rivalsa e giustizia fai da te.

E' la società post moderna, secondo Zygmunt Bauman (1), secondo il mio parere, l'evoluzione della crisi d'identità novecentesca, della caduta degli dei, del drammatico scontro fra libertà individuale e controllo sociale (vedi Magenta Sky, http://angelo-medici.blogspot.it/2016/06/magenta-sky.html), nella quale mi sento di annaspare a mio buon diritto. La verità è che sono figlio del mio tempo, la “solitudine globale” e lo spaesamento sono frutti avvelenati del Nuovo Millennio, anche se non sono esattamente novità.

E, l'aspra lotta fra libertà dell'individuo e controllo sociale è un tema classico della sociologia.

Sconfitto dall'irrisolvibile dicotomia fra l'essere e il dover essere, lacerato, diviso in due, le due metà tenute insieme da menzogne, sotterfugi e raggiri, l'individuo moderno si sta avvitando su se stesso, in una caduta a spirale senza scampo.

Amo tutto ciò che scorre, tutto ciò che ha in sé tempo e divenire, ciò che non è statico, freddo, immobile. Tutto ciò che riporta al principio. Ma qui non c'è inizio e non c'è fine. Neppure un lento scorrere, un flusso costante di tempo, universi e spiriti. E' tutto congelato, ibernato, sepolto sotto una coltre di uniforme biancore.

E già i sogni di cambiare il mondo, la pace universale, l’amore, la tutela dell’ambiente, la giustizia sociale (e già che ci siamo, la raccolta differenziata, tagliarsi le unghie delle mani e dei piedi una volta la settimana, la partita di calcetto con i colleghi), sono soltanto fantasmi con i quali cerchiamo di illuderci che la fine non sia vicina, dietro i quali vogliamo nascondere il fatto che l’umanità è al collasso, le società si stanno liquefacendo, la civiltà è sull’orlo dell’estinzione?

Inutile lottare, non serve a niente resistere, arrovellarsi, disperarsi. E’ tempo sprecato, accettiamo con rassegnazione la nostra fine imminente e smettiamo di pensare al futuro, che è una chimera, e, se siamo fortunati, durerà molto poco.

C'è tanta disperazione in tutto questo, nel significato letterale di assenza di speranze. Sono soltanto superstizioni?

La teoria M.E.U.V. (Movimento per l’Estinzione Umana Volontaria) si fa strada negli Stati Uniti d'America. I suoi seguaci scelgono di non riprodursi più per attenuare l’impatto dell’umanità sul pianeta. Un tentativo di lasciare un migliore ricordo di noi a chi ci succederà?

In fondo, siamo soli in mezzo all'oceano. Ognuno scelga come morire. Un colpo secco e atroce, oppure un lento deperire nel delirio. Non importa. Il futuro è il buio, il futuro è il nulla. La morte globalizzata, il nichilismo assoluto, l'annientamento del sé. Un immane suicidio collettivo, come non se ne vedevano dai tempi di Aum Shinrikyo o dall'allegra fattoria psicopatica di Waco, Texas.



(1) Sociologo e filosofo polacco, recentemente scomparso. Lasciata la Polonia a seguito dell'invasione tedesca, si arruolò nell'Armata Rossa. Rientrato in patria alla fine della guerra, ha insegnato all'università di Varsavia fino al riacutizzarsi dell'antisemitismo, poi a Tel Aviv e Leeds. Celebri le sue teorie sulla post-modernità e lo stato solido-liquido della società, ha cercato di spiegare i nostri tempi connettendo consumismo e creazione di rifiuti umani, globalizzazione e industria della paura attraverso lo smantellamento progressivo del sistema di sicurezze e una vita liquida, sempre più frenetica, nella corsa disperata ad adeguarsi al gruppo sociale per non esserne esclusi.