Avvertenze:
testo esplicito, solo per maggiorenni.
Occhi
d’oro, espressione intelligente e spietata.
Se
lo sguardo di un lupo si è posato su di voi,non lo dimenticherete mai più.
(Anne Mènatory, L’arte di essere lupi)
Stavolta
per precauzione sono arrivato molto prima, ho scelto con cura il luogo, lontano
da sguardi indiscreti, all’ombra. C’è anche un po’ di brezza, ne sono felice,
ci rinfrescherà.
Ho
voglia di vederla al chiarore del giorno, ho bisogno di capire se i suoi occhi
alla luce del sole brillano come l’altra notte, nella penombra angusta dell’auto.
Voglio prendermi cura di te, le avevo detto e i suoi occhi si erano illuminati.
Non
ne posso più di aspettare, scendo e salgo dall’autovettura. Mi sistemo i
capelli e la camicia per piacerle. Ho la salivazione azzerata, non ne posso più,
ho voglia di vederla.
Colgo
un guizzo azzurro con la coda dell’occhio. E’ la sua auto! I battiti del mio cuore
hanno un’accelerazione inaudita. Scende fresca e pimpante, nonostante sia
appena emersa dal fiume torrido del traffico e si getta fra le mie braccia.
Sento che le sono mancato, ma se sapesse quanto è mancata a me! La stringo
forte e la bacio. Che bella che è! Alla luce del sole lo è ancora di più.
La
invito a entrare in macchina. Siamo all’ombra, è fresco e si sta bene. Ci
sentiamo come amanti clandestini e forse, lo siamo.
Le
accarezzo il viso e le tengo una mano, parliamo un po’. Il discorso è
interrotto di frequente da lievi baci. Vorrei convincermi che è tutto normale,
che è una donna come le altre, che non c’è niente di speciale. Ma allora,
perché il cuore mi batte all’impazzata quando la vedo, perché penso a lei notte
e giorno, perché mi è mancata in questo modo?
L’attraggo
a me. La sua pelle è fresca e calda, al tempo stesso. La voglio. I nostri baci
si fanno più profondi, i sospiri anche. Lei mi stringe, sento il suo corpo
morbido e caldo vicino al mio, è legata a me e io a lei. Non la lascerei per
niente al mondo. Non capisco più nulla, non so più dove sono, ho perso la
cognizione del tempo. So solo che sto con lei.
Affondo
i miei occhi nei suoi. Occhi d’oro di lupa ferita. Li sento penetrare in me e
rabbrividisco. Sono come artigli, denti affilati che dilaniano la mia carne. Cuspidi
del suo dolore. Lo sento forte, nelle viscere e nel cuore. La stringo forte fra
le braccia e sento che trema.
Vorrebbe
piangere.
Sussurro
il suo nome fra i suoi capelli, sulla sua pelle, tante volte, adoro farlo,
piace anche a lei. Mi sbottona la camicia e mi accarezza il torace, depone
lunghi, umidi baci sulla mia pelle, dalla base del collo al petto. Mi sento
sicuro, perché so di piacerle, almeno quanto lei piace a me. Vado in cerca
della sua pelle, le accarezzo la schiena. Le piace e gioisce, mentre ci
baciamo. L’armonia si fa più intensa. I suoi seni sono morbidi e pieni. I
capezzoli, boccioli di rosa, teneri e delicati. Lei sospira nella mia bocca,
non interrompiamo il bacio, non so più da quanto la sto baciando. Dio, che
voglia ho di lei!
Vorrei
prenderla adesso, alla luce del giorno, nel parcheggio deserto e desolato. Ma
non si può, meglio non rischiare. Infatti, arriva un’automobile. La stringo a
me e la proteggo con il mio corpo, perché nessuno la veda. Per fortuna, l’auto
sgomma via subito.
Avremo
mai un posto tutto per noi?
Avremo
mai un posto al mondo?
Non
mi bastano i suoi seni. Scendo al suo ventre, sfioro l’ombelico delicato e
scendo ancora. Lei apre le gambe e le serra intorno alla mia mano. Attraverso
il tessuto sento il vuoto dentro di lei e vorrei colmarlo. E’ morbida e piena,
intingo le dita nel suo dolce miele.
Lei
mi guida, devo conoscerla meglio, sapere come le piace. Si fida di me, sento
che si abbandona. Non mi bacia più, ma mi tiene stretto a sé. La sua mano
stringe la mia e segue il suo movimento. Socchiude la bocca, i suoi occhi sono
fessure. Vorrei tanto liberare la mia forza, perché lei prenda me, come sto
prendendo lei. Il suo lamento è come un canto, il suo sospiro un ululato che si
perde nella notte. Le sue braccia mi cingono in un nodo che non voglio
sciogliere. Sono zampe che hanno attraversato le steppe, la sua pelle ha il
sapore della neve. Mi fa male per quanto forte mi stringe.
Si
affloscia lentamente fra le mie braccia, come un palloncino che si sgonfia. E’
felice, si rifugia sul mio petto e sorride a occhi chiusi. La stringo. Attiro a
me il suo bel musetto e le bacio la bocca. Mi lecco le dita.
Hai
un buon sapore, sono le prime parole che pronuncio, non so da quanto. Forse da
sempre. Lei sorride ancora.
Ora
potrei cullarla e farla addormentare fra le mie braccia come una bambina, e vegliare
sul suo sonno all’infinito, e pronunciare le parole dell’amore, con le labbra a
sfiorarle la fronte. Depongo lievi baci sui suoi occhi, sul suo naso e sulla sua
bocca.
Guardo
l’orologio. E’ giunta l’ora della separazione. E’ terribile come una sentenza
di morte. Il sogno è finito.
Lei
è imbronciata, ma fuori dall’auto trova la forza per sorridermi ancora. La stringo
a me. La mia forza cerca il suo ventre. Lei risponde stringendomi forte, a sua
volta.
Le
ho regalato il cidì e le ho detto di ascoltare la canzone di “Settembre”, il mese in cui ci rivedremo.
Ora resta la parte più difficile. L’ultimo bacio è dolce e delicato, in
confronto il rimpianto è un sentimento confuso. Non c’è altro. La foresta la rivuole,
la steppa sarà presto chiazzata dalle sue orme. Sale in macchina e se ne va,
seguo il guizzo azzurro con la coda dell’occhio.
Sono
solo nel parcheggio assolato, non c’è più nessuno. Potrei essere l’ultimo uomo
sulla faccia della terra. Resto ancora a fiutare nell’aria e nel vento tracce
della sua presenza, a inseguire i suoi passi, lungo la strada che l’ha portata
via da me. Non c’è più nulla.
C’è
solo un uomo che s’interroga se lei è esistita davvero o se è stata soltanto un
sogno.
COPYRIGHT ANGELO MEDICI 2013
Tutti i diritti
riservati
Riproduzione
vietata