“Se vivete tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata, ma sono sicuro che servirà da esempio.”
Così scriveva Giordano Cavestro tanti anni fa.
Giordano scrisse queste parole il 4 maggio 1944, poco prima di essere fucilato. Era un partigiano e aveva solo diciott’anni.
Queste sue ultime parole, quasi davanti al plotone di esecuzione, mi hanno toccato il cuore. Sono parole limpide, pure, sacre, parole di un ragazzo che neppure al cospetto della morte ha smesso di amare l’Italia. La nostra povera Italia. La nostra bella Italia.
Mi piacerebbe scrivere a Giordano, come si scrive a un amico lontano, mi piacerebbe raccontargli di come abbiamo amato questa terra, di come abbiamo eseguito il compito che ci ha idealmente affidato. Mi piacerebbe, ma non si può.
Non abbiamo saputo amare il nostro Paese e forse non ce la meritiamo una terra così bella.
Nei quasi settant’anni trascorsi dalla sua morte, non abbiamo fatto altro che levarci l’uno contro l’altro, nord contro sud, città contro campagne, ricchi contro poveri, condomini contro condomini. Non siamo stati italiani. Non le abbiamo voluto bene alla nostra Patria. L’abbiamo sporcata, squartata, bruciata, stuprata nel profondo, sommersa sotto il cemento, mortificata sotto gli abusi di potere, le stragi di Stato, il terrorismo di destra, il terrorismo di sinistra, il terrorismo senza colori, anzi di un colore solo: rossosangue, i delitti di mafia, gli omicidi eccellenti, i fondi neri, gli aerei che scompaiono in fondo al mare senza motivo, i servizi segreti deviati, le logge massoniche, la corruzione, i complotti, gli inciuci, il malaffare, quelli che se la ridono se il terremoto fa trecento morti pensando a quanto ci guadagneranno con la ricostruzione, le convergenze parallele che non convergono mai, la crisi, i puttanieri che si atteggiano a padri della Patria, la gerontoburocrazia senza merito, ma solo demeriti, la disoccupazione mostruosa, le carceri che scoppiano, le bombe pure, lo spread maledetto, il debito pubblico, le larghe intese……….
La nostra terra l’abbiamo venduta, ricomprata e di nuovo svenduta a pezzi al miglior offerente. No, non siamo stati degni di Giordano, di questo ragazzo con la morte negli occhi e l’Italia nel cuore.
Voglio immaginarmelo Giordano ai nostri giorni, un uomo avanti negli anni, ma ancora arzillo e combattivo, attorniato dai nipoti, a fare i conti a fine mese con la pensione che non basta mai, con le bollette da pagare, con i figli da aiutare per questa crisi nera e agra che ci sta togliendo anche il respiro, un simpatico nonnetto con ancora tante cose da insegnare, che guarda la televisione e oltre il tripudio di cosce, culi e tette, vede che a due mesi dalle elezioni, che qualcuno ha perso vincendo e qualcun altro ha vinto perdendo, abbiamo a malapena un Presidente, un Governo dimissionario che non può dimettersi e quattro urlatori da strapazzo in Parlamento.
Già, chissà cosa direbbe Giordano davanti a quest’Italia del ventunesimo secolo, così laida, così meschina, così misera. Forse tornerebbe con la memoria ai suoi diciotto anni, a quegli anni bui che strisciavano pesanti sulla nostra terra straziata dalle bombe e dai cingoli dei carri armati, la nostra Patria umiliata sotto pesanti stivali al passo dell’oca e scuoterebbe la testa deluso.
Allora, nelle nostre piccole vite, che non sono niente in confronto al suo dramma, nei gesti di tutti i giorni, nelle nostre incertezze e nelle nostre paure, sforziamoci di somigliargli almeno un po’. Cerchiamo di somigliare a lui che non ha avuto paura di amare l’Italia neppure davanti alle canne dei fucili.
Buona Festa della Liberazione.
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