Torno
di buona lena a occuparmi delle vicende di Nicolas Fante e Mary
Capoluongo, i genitori di John Fante, immortalati, e a volte
amorevolmente dileggiati, attraverso la lente (deformante o
abbellente) della scrittura e lo faccio mediante la lettura critica
(poco critica e molto ammirata) della raccolta di racconti Dago
Red. Preavviso che quando ho a che fare con Fante, non mi
riesce di essere imparziale. Vagolanti accenni di principi
emozionali, che noi umani chiamiamo brividi di piacere, vibrazioni
neurali che si dipartono dalle radici spinali rivelano quanto mi sia
caro questo scrittore.
Perchè?
Provo
a rispondere.
Sarà
l'origine in quel di Torricella Peligna (CH), dalle parti
nostre, come si dice, appunto, dalle parti mie.
E poi quel Nick Fante - così burbero, ruvido e grinzoso che pare
intagliato nel legno - che mi ricorda mio padre per certi aspetti,
solo per certi aspetti. Tanto avaro di parole, quanto capace di
sciogliersi in lacrime, come la neve sulle cime dei monti d'Abruzzo a
primavera, alla nascita del suo primo nipote.
Sarà
perchè John Fante scriveva come un dio ed è stato ingiustamente
dimenticato per anni come un'oscura divinità pagana scalzata dai ben
più potenti epigoni della religione del dio unico. Lo stesso che
pregava sua madre Mary nei giorni d'angoscia, fra conti che non
tornavano e soldi che non bastavano, con quell'approccio semplice e
diretto al Signore di tutte le cose, tipico del meridione (1). Sono
le parole con cui ci si rivolge a un vecchio e venerando avo
parcheggiato a spugnarsi le ossa davanti al focolare o a santi del
Paradiso come rispettabili ma permalosi zii di cui fosse necessario
propiziarsi le grazie.
Merito
di Charles Bukowski (altro dio-scrittore del mio
pantheon personale) averlo strappato alle sale buie e polverose delle
biblioteche pubbliche americane e svelato dagli immensi depositi dei
libri invenduti delle case editrici, un momento prima che arrivasse
il camion dei volumi destinati al macero.
Dago
Red è il vino prodotto dagli emigranti italiani, wop
(2) nello slang d'oltreoceano. Insomma il vino degli italiani, dei
dago (3) e qualcuno lo ha efficacemente tradotto con
Rosso del Terrone (4). L'originale titolo conferisce il giusto
complemento ai racconti, come un buon vinello rosso rubino a un
delizioso piatto di spaghetti al pomodoro. E le portate che Fante ci
serve sono quadretti familiari, a volte irresistibilmente comici,
altre inusitatamente drammatici, ritratti dalla sua personale
esperienza.
Un
mondo in cui italiani e irlandesi frequentavano le stesse scuole e le
stesse chiese - anche se la religiosità dei primi era a volte
considerata un misto di superstizione e paganesimo da questi ultimi -
e giocavano nella stessa squadra di football, gli irlandesi in
attacco e gli italiani in difesa. Però il capitano della squadra era
dei nostri.
Su
tutti si staglia la sagoma paterna, osservata da un punto di vista
basso, ma certamente privilegiato, quello del figlio. Figura a volte
esaminata con compassione: Le macchie di calce sulle mani e le
braccia rivelavano che aveva lavorato duro quel giorno. Sotto il
cappello una ciocca di capelli era incollata sulla fronte, dura di
sudore rappreso, patetica. Papà mi fece pena, allungato lì davanti
a me, le ossa doloranti, le mani deformate, così coraggiose, offese
da anni di fatica. Provai un dolore acuto nel petto, come un pianto
segreto, un gemito che avrei voluto mandare nella sera calda
(Una moglie per Dino Rossi). Altre con raffinato
sarcasmo: Papà brontolava e si lamentava, ma era un buon
segno, significava che era in buoni rapporti con l'universo
(ibidem), altre ancora con precisione psicologica: Dormiva
malamente; il suo corpo aveva bisogno d'esser fiaccato dal sole, i
suoi muscoli dovevano esser doloranti di fatica. Stando così in
ozio, il cervello gli si rivoltava contro, dando origine a
un'agitazione che non riusciva a controllare (Muratore
nella neve). E il conto finale: Mio padre continuerà a
riempirmi il bicchiere, e insieme berremo; sempre sentiremo quel
legame come un abisso dal quale non possiamo scappare. Parlerò di
me. Provocherò la sua invidia. Lui lo sa che anche in me c'è il
seme di una grandezza, ma crede che sia soffocato dalla slealtà. Le
mie speranze gridano al cielo, le sue si sono trasformate in
disperazione (Casa, dolce casa).
La
figura di Mary ne risulta schiacciata, questa donna munita, religiosa
e dolcissima è appiattita dalla mole invadente e invasiva,
torrenziale e incontenibile, di un uomo irascibile e dolcissimo,
capace di passare da un opposto all'altro senza alcun apparente
motivo. Fante tenta di adorarla in un infantile, scanzonato, ma
sincero complesso edipico: Fissavo quella strana fotografia,
baciandola e piangendoci sopra, felice che un tempo fosse stata
reale. E mi ricordo di un pomeriggio che me la portai in riva al mio
ruscello, la sistemai su una pietra e ci pregai davanti. Mamma, però,
era in cucina, prigioniera di pentole e pignatte: una donna
qualunque. Eccola là, mia madre: la signora col cappello. Decisi che
se avessi mai visto mia madre bella com'era in quella foto, le avrei
chiesto immediatamente di sposarmi. Non mi aveva mai rifiutato nulla,
e sentivo che non mi avrebbe rifiutato come marito. Consultai il
catechismo per vedere se c'era una legge che vietava alle madri di
sposarsi coi propri figli. Non trovai nulla sull'argomento, e ne fui
soddisfatto (Rapimento in famiglia).
E
irresistibili quadretti d'infanzia: Rossa come una barbabietola
suor Cecilia alzò la mano per imporre il silenzio come fa Mussolini
nel cinegiornale “Pathè”...Suor Cecilia si arrotolò le maniche
nere, prese una specie di rincorsa, fece un suono lamentoso e con
tutta la forza mi appioppò uno schiaffone... Anche suor Cecilia
piangeva e io pensai, è matta, lo schiaffo l'ho avuto io, non lei
(Chierichetto).
E il
malessere, la malinconia che afferra la gola all'incontro con una
donna troppo bella, anche se avanti negli anni: Claudia mi
stava troppo vicino. Arrivava sempre zitta zitta e si fermava sulla
soglia. Io pensavo a quant'era bella, e tuttavia sapevo che quella
bellezza stava svanendo, la sua bellezza andava morendo come il sole
al tramonto sull'oceano Pacifico (L'iradiddio).
E per
finire, un bell'intermezzo dialettale abruzzese-americano in quel di
Boulder – Colorado: Addò sta il mio cuttone? Addò sta lu
tovagliuolo? Siete 'na maniata di animali fetenti. Papà è
n'animalone! (Casa, dolce casa), che mi ha
riportato a una memorabile cena con bagordi finali in un sobborgo di
Parigi di qualche anno fa, in cui non osò volare una sola mosca che
parlasse francese, ma si udì solo e soltanto il vernacolo
dell'Appennino meridionale, come una sorta di meno blasonato koinè
diàlektòs, un linguaggio di comunità valido in ogni tempo
e in ogni luogo...
Sono
affreschi molto vividi e reali dell'infanzia e della prima giovinezza
di uno scrittore in fieri, ma non per questo necessariamente veri.
Quanto Mary e Nicolas e quanto Fante stesso somigliano davvero agli
omologhi di carta? E' una domanda a cui - per il lettore - non è
lecito rispondere senza violare un fondamentale diritto di uno
scrittore: il diritto alla menzogna.
Il
diritto cioè di decorare la realtà, di mostrarla diversa, forse
migliore, forse peggiore, rispetto a quanto sia davvero, attraverso
le pagine di un libro, al solo fine di servire l'arte e realizzare un
capolavoro.
Ogni
operazione narrativa confina pericolosamente con la pattumiera zeppa
di stronzate e bugie. Si, stronzate e bugie. Gli scrittori trattano i
materiali dell'osservazione senza alcun rispetto per la verità,
perchè se la ripetessero non ci sarebbe narrazione, ma silenzio a
occhi sbarrati su immagini disperse, dice giustamente
Domenico Starnone.
A noi
non resta che il piacere della lettura. Ma quanto maggiore è quello
di scrivere? Immersi nel flusso dei pensieri che magicamente prendono
forma sulla virginea distesa di carta, quanti baratterebbero questo
piacere con innumerevoli altri? Ho sentito dire che qualcuno si
chiede perfino per quale motivo leggere, quando si possono scrivere
libri migliori.
Credo
che Fante avesse in comune con me una buona dose d'idealismo e la
tardiva consapevolezza che per vivere bisogna farne a meno. Come me,
aveva chiesto troppo alla vita. Sempre in movimento, sempre in cerca
di qualcosa, sempre oppresso da qualcosa. Un idealismo non politico,
ma religioso e familiare e pieno di contraddizioni, divulgato
attraverso il sistema codificato di crudeli menzogne che è l'arte,
in genere, e la scrittura, in particolare.
Uno
scrittore italiano, ma spietatamente americano, capace di mantenere
in bilico sulle righe il cattolicesimo ereditato da mamma Mary e il
tentativo di vivere nonostante questo, nonostante il senso permanente
di colpa indotto dalla religione e il continuo mercanteggiare con il
Padreterno (5).
Perchè
scegliere, sembra chiedersi, se le alternative sono sempre le stesse?
Gli italoamericani saranno sempre degli wop, dei dago
e continueranno a prenderle dagli irlandesi e giocheranno sempre in
difesa nella squadra di football parrocchiale. Il sogno americano è
un incubo dal quale ci si risveglia con la paura che sia vero, da
poveri cittadini di un (nuovo) mondo che non ci piace. Allora, meglio
osservare ogni cosa, fin nei minimi dettagli e mettere tutto in bella
copia, è questo il mestiere dello scrittore. E aggiungere una buona
balla, qua e là. Qualcuno leggerà, prima o poi.
E, se
scritta bene, la prenderà per vera.
Forse
è meglio fermarsi a prendere fiato un momento, dopo una folle corsa
sulla spiaggia con la nostra Camilla Lopez di turno, cercando
di non smarrire le sue tracce per non doverle poi chiedere alla
polvere e alle iucche sul ciglio della strada (6), lasciandosi
sopraffare dal suono del movimento interiore del sangue, troppo
simile alla profezia del mare che sussurra in una conchiglia trovata
per caso sulla riva.
(1)
Mary Capoluongo era lucana, mentre il padre di Fante era abruzzese.
Una coppia male assortita che visse anni avari e durissimi durante la
Grande Depressione e tuttavia resistette egregiamente alle intemperie
del Nuovo mondo.
(2)
W.O.P. era l'acronimo di without passport (senza
passaporto), forse in contrapposizione a W.A.S.P.
(white, anglosaxon, protestant = bianco, anglosassone e
protestante), e si pronunciava uapp, come guappo a
Napoli.
(3)
Dall'inglese dagger (accoltellatore), anche se altri
sostengono che fosse la contrazione di they go = se ne
vanno (sottinteso, finalmente).
(4)
Come non ricordare il Night Train,
il famigerato vino californiano di bassa qualità e prezzo ancor più
basso, buono solo per gli alcolizzati all'ultimo stadio?
(5)
Associare l'origine di un terremoto a un peccato mortale commesso con
una bella signora: “Ero stato io. Era mia la colpa.
Sei stato tu, Arturo, e questa è la collera di Dio”.
Non credo che a un buddista verrebbe in mente, scrive Alessandro
Baricco nella bella prefazione
a Chiedi alla polvere.
Neanche a un protestante. A un cattolico sì.
(6)
Chiedi alla polvere
(Ask the dust,
il titolo originale), romanzo del 1939.
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