La
poetica bianca e la poetica africana, l'arte occidentale e quella
australe. Due mondi, due universi, due blocchi contrapposti e
inconciliabili, se li guardassimo sotto la nostra lente di visi
pallidi, e la dicotomia, l'opposizione, il mondo dei blocchi. Invece,
è possibile (è necessario) leggere le due parti, insieme a molte
altre, come componenti del Tutto. E' quello che cerca
di spiegare Lèopold Sèdar Senghor, primo presidente del
Senegal indipendente, ma anche (e soprattutto) raffinato poeta (1).
Di lui avevo parlato ne L'impero del vento, raccontando
di come una sua poesia fosse divenuta l'inno ufficiale di una nazione
appena germogliata (2).
Ogni
forza, ogni energia, ogni cosa è di per sé un nodo di forze più
semplici, elementari, basiche, spesso contrapposte. Maschile e
femminile, ad esempio, luce e ombra, bene e male. Ma soltanto la loro
aspra lotta e poi il loro dialogo e infine, la loro unione porta alla
realizzazione di quella particolare forza, energia, oggetto, che è
simbolo di una realtà sottostante, del mondo del non visibile, del
quale costituisce il segno. “Ogni forma, ogni superficie,
ogni linea” sostiene Senghor “ogni colore e
ogni sfumatura, ogni odore e profumo, ogni suono, ogni timbro, ogni
cosa ha il suo significato”.
Sono
cresciuto alla tua ombra
la
dolcezza delle tue mani che bendavano i miei occhi
ed
ecco nel cuore dell'estate e del meriggio
ti
scopro dall'alto di un colle calcinato
terra
promessa
e
la tua bellezza mi fulmina in mezzo al cuore
come
il lampo di un'aquila
Gazzella
dalle giunture celestiali
le
perle sono stelle sulla notte della tua pelle
delizia
per i giochi della mente
riflessi
d'oro sulla tua pelle marezzata
all'ombra
della tua chioma
la
mia angoscia si rasserena ai soli vicini dei tuoi occhi
(Donna
nuda, donna nera)
Non
bisogna tenere l'oggetto a distanza per scrutarlo, osservarlo,
analizzarlo. Bisogna intuirlo ancor prima di sentirlo, assimilarne le
onde invisibili e i contorni, incorporarlo a sé in un estremo atto
d'amore. Oltrepassare il segno e il simbolo per afferrarne il senso.
Al di là del significante, è necessario sentire il
significato.
Ed
ero senza parole
di
fronte all'enigma del tuo sorriso
un
crepuscolo breve scivolò sul tuo viso
un
capriccio divino
dall'alto
della collina – rifugio di luce
ho
visto spegnersi lo splendore del tuo perizoma
e
il tuo cimiero come un sole
inabissarsi
nell'ombra delle risaie
Piangerò
nelle tenebre, nel grembo materno della terra
dormirò
nel silenzio delle mie lacrime
fino
a che sfiori la mia fronte
l'alba
di latte della tua bocca
(Ti
ho accompagnata al villaggio)
La
tua lettera di tenero pane
dolce
come il burro, sapido come il sale
e
la luce sul mare troppo verde e blu
la
ghirlanda dei battelli bianchi
verso
i fiumi del Sud, verso i fiordi del grande Nord.
La
tua lettera come un'ala chiara nel turbinio dei gabbiani
E'
bello, è triste
C'è
Gorèe, dove sanguina il mio cuore
la
casa rossa a destra, mattone sul basalto
la
casa rossa al centro, piccola fra due abissi d'ombra e luce
la
grande casa rossa dove ancora sanguina il mio amore
come
un abisso senza fondo
(Sono
le cinque)
Le
parole di Senghor sono estremi e simboli di un universo esistenziale,
ma unitario, una sorta di surrealismo mistico, un'arte non fine a se
stessa, ma funzionale, utile, collettiva, da osservare e ammirare, ma
da distruggere e abbattere quando non serve più.
Odiavo
un po' di più ogni giorno
il
viso d'oriente della fidanzata azzurra
questo
bacio di notte alla speranza delle stazioni
questa
lenta luna di manna nei reami della nostra infanzia
questa
luminosa estate senza notte
questo
eterno bacio degli sposi fidanzati
Non
vedevo che la tua assenza
(Questo
lungo viaggio)
Una
palma verde vela la febbre dei capelli
color
di rame la fronte curva
le
palpebre chiuse, coppa duplice e sorgenti sigillate
questa
falce sottile di luna
questo
labbro più nero e appena tumido
viso
di maschera chiuso all'effimero
senza
occhi, senza materia
che
non imbrattano belletti né rossetti
né
rughe né tracce di lacrime o di baci
(Maschera
negra a Pablo Picasso)
E
anche accorati atti d'accusa, una ribellione d'Africa, sobria,
discreta, ma decisiva.
Dimentico
le mani bianche che premendo il grilletto
fecero
crollare gli imperi
le
mani che fustigarono gli schiavi e vi flagellarono
le
mani bianche polverose che vi schiaffeggiarono
le
mani laccate e incipriate che mi hanno schiaffeggiato
le
mani sicure che mi spinsero alla solitudine e all'odio
le
mani bianche che abbatterono la foresta
e
domani batteranno carne nera
(Neve
su Parigi)
Dunque
è vero che la Francia non è più la Francia?
E'
vero che l'odio dei banchieri ha comperato le sue braccia d'acciaio?
Sangue,
sangue nero dei miei fratelli
voi
macchiate l'innocenza delle mie lenzuola
voi
siete il sudore in cui si bagna la mia angoscia
siete
la sofferenza che arrochisce la mia voce
(Tyaroye)
Invano
fu stroncato il riso tuo
il
fiore più nero della tua carne.
(Assassini)
Ecco
il sole
che
inturgidisce il petto delle vergini
che
fa sorridere i vecchi sulle panchine
che
i morti desterebbe sotto una terra madre.
E
voi fratelli oscuri, nessuno vi ricorda.
Promisero
a cinquecentomila figli vostri la gloria di morire
Fra
poco, ringraziano fin d'ora gli oscuri futuri caduti
La
nera infamia
nella
solitudine della nera terra e della morte
nella
vostra solitudine senz'occhi e senza orecchi
senza
il calore dei vostri compagni stesi contro di voi
come
allora in trincea e un tempo alle riunioni di villaggio
anche
se non avete né occhi né orecchi
nel
vostro triplo recinto di buio
Accogliete
questo suolo rosso
questa
terra sotto il sole estivo
arrossata
dal sangue delle bianche ostie
(Ai
fucilieri senegalesi caduti per la Francia)
E poi inni alle origini primordiali della vita, all'archetipo, al significato unico e profondo di ogni cosa, un invito al ritorno all'essenza primeva.
Mi ha confuso la tua bellezza
queste
grandi ragazze d'oro dalle lunghe gambe
di
fronte ai tuoi occhi di metallo blu
il
tuo sorriso di brina
che
leva i suoi occhi di civetta fra l'eclisse del sole.
Non
un riso di bimbo in fiore, la sua mano nella mia fresca mano
Non
un seno materno, solo gambe di nylon
gambe
e seni senza sudore né odore
Non
una parola nell'assenza di labbra
solo
cuori artificiali pagati con moneta unica
e
non un libro in cui leggere la saggezza
La
tavolozza del pittore fiorisce di cristalli di corallo
e
le acque scure trasportano amori igienici
come
i fiumi in piena cadaveri di bambini
Ecco
il tempo dei segni e dei conti
Ho
visto prepararsi la festa della notte alla fuga del giorno
Tutti
gli elementi anfibi raggianti come soli
Lungo
i marciapiedi, ruscelli di rum bianco
ruscelli
di latte nero nella nebbia azzurra dei sigari.
Ascolto
la tua voce maschia di rame
la
tua voce vibrante d'oboe
l'angoscia
ostruita delle tue lacrime piombare in grossi grumi di sangue
L'idea
legata all'atto, l'orecchio al cuore, il segno al senso
Ecco
i tuoi fiumi sonori di caimani muschiati e di lamantini dagli occhi
di miraggio
E
nessun bisogno di inventare le sirene
Ma
basta aprire le orecchie a Dio
che
con un riso di sassofono creò il cielo e la terra in sei giorni
e
il settimo giorno dormì del grande sonno negro.
(A
New York)
Cullato
dall'urlo del vento, la faccia riversa
come
un leone notturno su tristi altipiani
Vago
intorno a qualche assenza
Tu
sola assente, o mia presenza
Tu
relitto di sabbia e di tenerezza, fiume di delizie
E
il verde che si rifiuta di diventare tenebra
I
primi Alisei viravano sibilando sulla loro coda
sulle
loro penne, sulle loro ali
Come
una falsa gioia
Soukeina
di seta nera, sorriso di sole sulle labbra di mare
Che
io mi fermi sotto la Via lattea
per
ascoltare nel vento fra i palmizi il lamento delle poetess.
(Elegia
degli Alisei a mia moglie Colette)
La
vera cultura è mettere radici e sradicarsi, dice Senghor. Mettere
radici nel più profondo della terra natia. Nella sua eredità
spirituale. Ma è anche sradicarsi e aprirsi alla pioggia e al sole,
ai fecondi rapporti con le civiltà straniere.
E'
possibile rimanere ancorati alle proprie origini e, al tempo stesso,
prendere il largo per orizzonti lontani.
Perchè
la libertà è deserto (3).
(1)
“La poesia ha perso uno dei suoi maestri, il Senegal un uomo
di stato, l'Africa un visionario e la Francia un amico”,
dichiarò alla sua morte Jacques Chirac, all'epoca alla
presidenza francese.
(2) In
piedi fratelli,
il
leone rosso ha ruggito
d’un
balzo si è slanciato,
dissipando
le tenebre.
Sole
sulle nostre paure,
sole
sulle nostre speranze.
Fibre
del mio verde cuore,
spalla
contro spalla,
in
piedi fratelli!
Uniamo
il mare e le sorgenti,
uniamo
le steppe e le foreste.
Salve
Madre Africa.
(3)
Elegia degli alisei a mia moglie Colette.
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