Dream
when the day is thru, dream and they might come true. Things never
are as bad as they seem, so dream, dream, dream...
Sogna
quando il giorno volge al termine, sogna e i sogni potrebbero
avverarsi. Le cose non sono mai così brutte come sembrano, così
sogna, sogna, sogna...
(1)
Un
capolavoro acquista profondità, spessore e significato più gli anni
passano e gli eventi si confrontano con la massa mutevole delle
parole, con la sua potenza immutabile, con le sue verità, sfuggenti
o rivelate, scritte sull'acqua o sulla sabbia, oppure scolpite sulle
pagine come un testo sacro. Un libro di pietra, Pastorale
americana, romanzo
di fine millennio di Philip
Roth, è un buon libro
– molto più di un buon libro - e un buon libro non è mai immobile
e ha sempre qualcosa di nuovo da dire a ogni lettura, qualcosa che ci
era sfuggito o che magari prima non significava nulla e ora ha un
valore esiziale.
Un
romanzo sul buon pastore, una figura quasi irreale per quanto colma
di valori morali, che col vincastro guida il suo gregge, ma si
accorge troppo tardi che proprio fra le pecore che accudisce così
amorevolmente si nasconde il lupo che le sbranerà.
Si
era aperta una breccia nel loro fortilizio e ora che si era aperta
non si sarebbe più chiusa. I fuorilegge sono dappertutto. Hanno
varcato la soglia. (2)
Un romanzo sulla relazione,
speciale e ambigua, fra padre e figlia. Un padre che si consuma in un
atroce dilemma, stritolato fra i doveri inconciliabili verso la
società e i doveri, altrettanto inconciliabili, verso la famiglia.
Quali sono destinati a prevalere? Decidere è impossibile e il buon
pastore non sceglie, ma è scelto. E' scelto dal precipitare degli
eventi per il ruolo di muto spettatore. Da quella scomoda poltrona
assiste impotente alla devastazione della sua famiglia, del suo
mondo, della sua vita. Alla deflagrazione del sogno americano. La
felicità che era a due passi, pronta per essere raggiunta, è
spazzata via da una bomba che devasta e annienta ogni possibilità.
Fra padri e figli ci sono abissi
e catene, evitiamo gli abissi ma non riusciamo a sciogliere le
catene, anche quando ci accorgiamo di aver generato un mostro, o, da
figlio – ruolo che non mi è mai stato congeniale; sono nato padre,
il figlio proprio non lo so fare -, si diventa consapevoli che il
nostro genitore non è mai stato capace di guidare il gregge e il
vincastro era solo un peso morto che si trascinava dietro.
La
sua faccia era vuota di tutto tranne che dello sforzo per trattenere
le lacrime. Non poteva impedire più nulla. Non aveva mai potuto
farlo. Credi di poter proteggere una famiglia e non riesci a
proteggere nemmeno te stesso. (2)
Un
romanzo sulla decadenza, sulla decomposizione e lo sfacelo del sogno
americano, il
Paradiso perduto.
E la sfiducia nel prossimo, la lieve corteccia delle apparenze - Ma
che razza di maschera portano tutti! (2)
-, scrostata
la quale appare il tradimento e l'inganno, la vera natura degli
uomini e il nostro inferno.
Roth
ha avuto la capacità – e il coraggio – di scrivere la
conclusione oltre la conclusione, proprio nel momento in cui tutti,
scrittori e lettori, me compreso, si sarebbero fermati, sospesi in un
silenzio incerto.
Geniale
escogitare per il finale la soluzione più inverosimile. E liquidarla
in quattro righe, una per ogni bomba, una per ogni omicidio, laddove
qualunque altro scrittore ci avrebbe ricamato su pagine e pagine. Ma
per Roth
è sufficiente. Ogni cosa è stata detta, ogni cosa è stata svelata.
Tutto si è compiuto. Cala il sipario, su quelle quattro righe.
E
così, un errore dopo l'altro, la storia può precipitare nelle
nostre anime con tutto lo strepito e il fracasso che si conviene a un
masso scagliato dove fa più male.
Ecco
come sappiamo di essere vivi: sbagliando. (2)
(1)
Dream,
vecchia canzone di Johnny
Mercer. A volte gli
dei puniscono gli uomini facendo avverare i loro sogni. Non mi
ricordo chi l'ha scritto.
(2)
Passi scelti dal romanzo, nell'ottima ed efficace traduzione di
Vincenzo Mantovani, sempre all'altezza. E non dev'essere stato
facile.