E'
difficile mettere un mondo in un libro, ma Jovine ci è
riuscito. Un piccolo mondo antico, meridionale e molisano, un
Mezzogiorno misconosciuto ai più, già a quell'epoca, quando, allora
come ora, la Storia scorreva altrove. Un mondo meridionale e
contadino, in cui il tempo pare essersi fermato ai tempi della mitica
'gnora Ava, l'età dell'oro in cui i mazzamaurriè
(1) si divertivano a fare piccoli dispetti nelle case e un contadino
poteva innamorarsi di una ninfa dei boschi. Un universo in palmo di
mano, che sarebbe stato, di lì a poco, spazzato via dalla furia
della modernità e dal vento della rivoluzione, come altri microcosmi
in epoche successive, anch'essi in bilico fra la dura realtà dei
campi, le superstizioni e le leggende - come non pensare al Singer
de L'ultimo demone? (2) -.
Anche
Jovine è scomparso, è svanito prima di essere scoperto, in
quest'Italia che “coperta di capolavori, non sa né amarli né
perfino conservarli e lascia un Tintoretto scomparire a poco a poco
sotto la pioggia...” (3). Spentosi il clamore del Premio
Viareggio 1950, il silenzio ritessè una tela di polvere sulle sue
opere. Scivolò presto nel dimenticatoio, in compagnia di tanti
giganti; sopra tutti, John Fante (4), lo scrittore più famoso
caduto in oblio e Pascal d'Angelo, il poeta con picco e pala
(the pick and shovel poet) (5), guarda caso, tutti
abruzzesi e molisani.
Signora
Ava è stato definito (6), per la ricchezza espressiva, la
lucidità narrativa, l'universalità del dramma e il suo realismo
magico, il nostro Cent'anni di solitudine (7). Io credo
che non vi sia alcuna esagerazione. Anche perchè mi scatena un
piacere sottile e perverso accostare la letteratura italo-meridionale
a quella sudamericana.
Il
romanzo di Jovine costituisce l'episodio meno celebre, ma
centrale, in un trittico ideale aperto da I vicerè
di De Roberto e chiuso da Il gattopardo
di Tomasi di Lampedusa. Un affresco niente affatto
patriottico e celebrativo, e per questo motivo, tanto aderente alla
realtà storica dei giorni fatidici e feroci in cui nacque l'Italia.
Cambiare
tutto perchè nulla cambi.
In
realtà, le cose cambiarono, e come cambiarono! Mutarono
drasticamente, e niente fu più lo stesso. Soprattutto per la povera
gente. Dagli errori di allora nacque l'Italia di oggi, una donna
invecchiata precocemente, con il bel volto deturpato dalle cicatrici
e un po' zoppa, figlia illegittima di quegli anni.
Signora
Ava, rispetto agli altri due romanzi, è l'unico scritto
dalla parte dei poveretti, dei contadini e dei cafoni, che subirono
sulla loro pelle le novità del Risorgimento.
“Concetta,
alta, solenne, col capo chiuso in bende nere, gridò: Allegri
figlioli, è arrivata la repubblica!” Una sagoma scura e
dolente, che sembra ritagliata con forbici d'ingegno direttamente
dalle pagine di una tragedia greca, fa il suo ingresso sulla scena,
annunciando quello che non venne.
I
poveri cafoni l'avrebbero scoperto presto e a loro spese.
Di lì
a poco una guerra civile avrebbe dilaniato l'Italia
meridionale – come altro si può chiamare lo scontro aspro e
sanguinoso fra i nuovi padroni e i vecchi sudditi, passato alla
storia come brigantaggio? -, si sarebbero aperte le cateratte
dell'emigrazione, a milioni avrebbero attraversato gli oceani per le
Americhe e l'Oceania. La nuova Italia nasceva piena di debiti e senza
neppure gli occhi per piangere. E la casata maledetta che permise
tutto questo fece ridere a crepapelle Guglielmo, imperatore di
Germania, quando iscrisse d'ufficio la nostra Patria al club
delle potenze coloniali: “L’Italia, un paese
che cercava le colonie in Africa, quando le colonie ce le aveva a
casa propria.”
Se
l'arte è un lavoro di scelta, come nel gioco delle carte, bisogna
saper 'scegliere e scartare'.
E Francesco Jovine è un grande giocatore. Eccovi qualche
bella giocata.
La
campagna addormentata sotto la neve: “Tutto bianco, tutto
bianco avanti, indietro, all'infinito: il Signore fa di un colore
unico le cose veramente misteriose, terribili. La varietà dei colori
il Signore la offre per il nostro gioco di vecchi bambini. Ma il
mare, il cielo, la neve, un colore solo.”
Il
sentore della fine: “La morte non aveva persuaso i nostri
muscoli e le nostre anime che quello era il luogo per ricongiungerci
col Tutto”.
Riflessioni
sul senso della vita e della morte: “...si nasce dalle
tenebre e ci si prepara lentamente a morire. Tra i due punti, tra il
nascere e il morire c'è la vita: il nostro lungo errore. La morte ci
riporta al punto di partenza ed elimina l'errore... La vita, troppo
lunga, piena di rumori, di urla, di risa, di vanità, di delitti”.
E
micro incursioni etico-esistenzialiste e sogni cosmogonici di
concordia discors: “...buono, cattivo,
angelico, diabolico, fuggire, credere, dubitare, sperare: ogni tanto
tutto si fonde; per un attimo nasce l'armonia...”.
Grandi
pagine di letteratura dal Molise, una terra ancora poco conosciuta.
E un
accorato appello ai tecnocrati del Ministero della Pubblica
istruzione. Per favore, mandate in pensione I promessi sposi
e rimpiazzatelo con Signora Ava.
Folletti
delle credenze popolari del Molise, simili ai troll.
Isaac Singer
scriveva in una lingua che non esisteva più, l’antico yiddish
e
raccontava di un mondo che, al pari del suo linguaggio, non c’era
più: il mondo contadino dell’Europa orientale, popolato da angeli
e demoni.
Marcel
Proust, Lettere.
Capolavori dimenticati come Chiedi alla polvere, Sogni
di Bunker Hill e Full of life chiedono
vendetta. Per la (ri)scoperta di Fante siamo tutti debitori a
Charles Bukowsky.
-
Goffredo
Fofi, Prefazione a Signora Ava (Donzelli Editore,
2010).
Gabriel
Garcia Marquez; titolo originale Cien anos de soledad
(1967).