sabato 11 giugno 2016

Black blade





Per chi come me non ha dimestichezza con i paesaggi allucinati di H.P. Lovecraft, ma è più a suo agio con le inquietudini di un Philip Dick, o è semplicemente più avvezzo alle visioni distopiche di Ray Bradbury e del professor Huxley (o finanche all'Ishiguro di Non lasciarmi), comprenderà facilmente il mio io, affamato di incubi contemporanei e familiari, alquanto a disagio ad avventurarsi in certi territori di confine fra irrealtà, psichedelia e metafisica. Sapete, sono abituato alle solide mattonate sui denti del presente.
Ma è stata una piacevolissima sorpresa scoprire uno scrittore – e uno scrittore di razza - in un collega di lavoro. Si tratta di Marco Milani, vincitore del premio Kipple 2014 con Black Blade (Avatar Edizioni 2015), il romanzo di cui oggi voglio parlarvi.
E devo dire che il piacere non si è limitato al senso d'inatteso; l'autore possiede il dono di una scrittura densa, ma scorrevole, con trovate originali e quasi mai prevedibile. Marco - mi permetto un po' di familiarità – escogita soluzioni strutturali di linguaggio inconsuete, ardite o, a dir poco, geniali. Il romanzo, a dispetto dell'osticità di alcuni temi, è leggibilissimo dall'inizio alla fine. E se non l'ho divorato in tre giorni, poco ci è mancato. Si riscontrano, non di rado, passaggi diretti, brecce, varchi sensoriali attraverso flussi di coscienza, elucubrazioni teoretiche e la pura azione. E questo dona ritmo al getto narrativo, al flow degli eventi, come l'alternanza dei segni di pausa e suono nella notazione musicale tradizionale.
Potrei definire il romanzo un poliziesco del futuro, ma sarebbe riduttivo, quindi non vado in cerca di definizioni e categorie in cui potrei inciampare e farmi male sul serio. Dunque, non è importante. L'autore dice che si tratta di un'ucronia (1) e tanto mi basta.
Alcuni delitti efferati e apparentemente inspiegabili terrorizzano la pianura padana in un futuro imprecisato, che forse è già il presente. Ma la quarta dimensione, il tempo, non ha alcuna importanza in una ucronia e neppure per l'Universo intero, che si contrae, si dilata e implode, infischiandosene del suo scorrere. Le modalità criminose sono talmente inconsuete da far sospettare che dietro quelle morti vi sia una mano non umana, forse, addirittura, un'entità in arrivo da un'altra dimensione. Un personaggio misterioso, giunto sulla Terra per imprecisati scopi, il cui vero volto è celato da una maschera, “un involto utile per orchestrare l'impietosità delle sue azioni”. E la faccia che non ci è dato vedere è quella di una creatura assetata di sangue, che si nutre soltanto di odio e dolore. Non ci sono compromessi nella dedizione al male, l'inversione è totale. Purezza spietata. Il perfetto assassino.
Un solo indizio, letterario: l'entità proviene forse dal Necronomicon di Lovecraft?
Com'è arrivato fra noi? Il suo viaggio, attraverso varchi dimensionali, è memorabile: “Scivolò avanti e incontrollabili gli odori di combusto e morte furono solo l'inizio... Sfiorare l'eterna verità di quei luoghi sacri con ricordi di oscurità crescenti ed escrementi... Lo strappo avvenne a sinistra, luce fastidiosa tra detriti e terreno morbido di sostanze putrefatte... L'attrazione lo squassò come un terremoto e la traversata fu completa, come chiudersi un portone alle spalle.” E' una nuova nascita.
Scariche di elettricità emotiva, segni premonitori nell'aria, foschi presagi. Sta per accadere qualcosa di terribile. Talmente terribile che “Forse anche Buddha se ne sarebbe preoccupato”.
Sulle sue tracce, due poliziotti e un vecchio cieco, ma, complici le brume della Bassa, particolarmente dense dalle parti di Ferrara, il mistero s'infittisce e la creatura senza volto li metterà a dura prova, scavando nelle coscienze ed evocando le paure più segrete. “Gli mostrò immagini delle sue debolezze,... le rese salde attorno a particolari terrificanti”. E al centro, simbolo e metafora, la spada, una katana giapponese (2). Sul filo della lama scorrerà l'inizio e la fine di ogni cosa; perchè ciò che è stato conquistato con la spada, sarà perduto con la spada.
Ma non vorrei tacere della notevole propensione dell'autore a descrivere paesaggi e dipingere scenografie con rapide pennellate sulla tela urbana: “...una serata avvolta di tenebre accennate, vibranti di baluginii luminosi, dorati e arteriosi... soltanto paludi della tonalità del piombo... Una strada, verso l'oscurità. Sulla strada, Lui.” E ancora: “Il generico rossore tramutava in rosa quelle che sembravano stelle... un globale senso di peculiarità fuori quadro.
Scrittura raffinata.
Insomma, un bel leggere. Mi ha ricordato a tratti le atmosfere di Un oscuro scrutare (3), ma anche Blade runner (4). E la paura della morte negli anni balordi di fine secolo di Rumore Bianco - l'Evento Tossico Aereo - (5).
Un'opera meditata, smussata, levigata e centellinata riga per riga, pagina dopo pagina dal suo bravo autore, dove niente è scontato. E soprattutto, nulla è ciò che sembra.
Il mio sogno più bagnato è che Marco si metta presto a scriverne la sceneggiatura, perchè è dai tempi di Nirvana (6) che non vedo un bel film di fantascienza made in Italy.

(1) Un'ucronia (dal greco u = non e cronos = tempo) è la narrazione di eventi storici alternativi rispetto a quelli realmente accaduti.
(2) Una katana e un wakizashi formano un daisho. Non sono piatti da sushi bar, ormai l'ho imparato anch'io, ma il corredo del perfetto samurai.
(3) A scanner darkly, Philip Dick (1977).
(4) Film di Ridley Scott del 1982, liberamente tratto da Gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip Dick.
(5) Titolo originale White Noise, romanzo del 1985 di Don De Lillo.
(6) Nirvana, film del 1997 di Gabriele Salvatores.


sabato 4 giugno 2016

Magenta Sky


Scrivo delle angosce del presente, dei suoi sogni distrutti, dei suoi incubi terrificanti. Il mio mondo è l'alienazione, la crisi d'identità, l'impossibilità di amare, la distruzione dell'io. Ma non esplicito alcuna forma di ribellione a questa vita, a questo mondo, a questo sistema.

Mi limito a raccontarlo.

I nati sotto il segno dell'Acquario sono rivoluzionari, artisti oppure vagabondi. Non sono riuscito a fare la rivoluzione, come artista seguo percorsi ondivaghi e indecifrabili per primo a me stesso. Non mi rimane che fare il vagabondo.

Nulla si può cambiare, non c'è niente che possa mutare. Un vuoto scorrere sotto un cielo color magenta. Ogni speranza è morta, ogni sogno è infranto.

Non resta che scriverne.