Per
chi come me non ha dimestichezza con i paesaggi allucinati di H.P.
Lovecraft, ma è più a suo agio con le
inquietudini di un Philip Dick,
o è semplicemente più avvezzo alle visioni distopiche di Ray
Bradbury e del professor Huxley
(o finanche all'Ishiguro
di Non lasciarmi),
comprenderà facilmente il mio io, affamato di incubi contemporanei e
familiari, alquanto a disagio ad avventurarsi in certi territori di
confine fra irrealtà, psichedelia
e metafisica. Sapete, sono abituato alle solide mattonate sui denti
del presente.
Ma
è stata una piacevolissima sorpresa scoprire uno scrittore – e uno
scrittore di razza - in un collega di lavoro. Si tratta di Marco
Milani, vincitore del premio
Kipple 2014 con Black
Blade (Avatar Edizioni 2015), il romanzo
di cui oggi voglio parlarvi.
E
devo dire che il piacere non si è limitato al senso d'inatteso;
l'autore possiede il dono di una scrittura densa, ma scorrevole, con
trovate originali e quasi mai prevedibile. Marco - mi permetto un po'
di familiarità – escogita soluzioni strutturali di linguaggio
inconsuete, ardite o, a dir poco, geniali. Il romanzo, a dispetto
dell'osticità di alcuni temi, è leggibilissimo
dall'inizio alla fine. E se non l'ho divorato in tre giorni, poco ci
è mancato. Si riscontrano, non di rado, passaggi diretti, brecce,
varchi sensoriali attraverso flussi di coscienza, elucubrazioni
teoretiche e la pura azione. E questo dona ritmo al getto narrativo,
al flow degli
eventi, come l'alternanza dei segni di pausa e suono nella notazione
musicale tradizionale.
Potrei
definire il romanzo un poliziesco del futuro, ma sarebbe riduttivo,
quindi non vado in cerca di definizioni e categorie in cui potrei
inciampare e farmi male sul serio. Dunque, non è importante.
L'autore dice che si tratta di un'ucronia
(1) e tanto mi basta.
Alcuni
delitti efferati e apparentemente inspiegabili terrorizzano la
pianura padana in un futuro imprecisato, che forse è già il
presente. Ma la quarta dimensione, il tempo, non ha alcuna importanza
in una ucronia
e neppure per l'Universo intero, che si contrae, si dilata e implode,
infischiandosene del suo scorrere. Le modalità criminose sono
talmente inconsuete da far sospettare che dietro quelle morti vi sia
una mano non umana, forse, addirittura, un'entità in arrivo da
un'altra dimensione. Un personaggio misterioso, giunto sulla Terra
per imprecisati scopi, il cui vero volto è celato da una maschera,
“un involto utile per orchestrare
l'impietosità delle sue azioni”. E la
faccia che non ci è dato vedere è quella di una creatura assetata
di sangue, che si nutre soltanto di odio e dolore. Non ci sono
compromessi nella dedizione al male, l'inversione è totale. Purezza
spietata. Il perfetto assassino.
Un
solo indizio, letterario: l'entità proviene forse dal Necronomicon
di Lovecraft?
Com'è
arrivato fra noi? Il suo viaggio, attraverso varchi dimensionali, è
memorabile: “Scivolò avanti e
incontrollabili gli odori di combusto e morte furono solo l'inizio...
Sfiorare l'eterna verità di quei luoghi sacri con ricordi di
oscurità crescenti ed escrementi... Lo strappo avvenne a sinistra,
luce fastidiosa tra detriti e terreno morbido di sostanze
putrefatte... L'attrazione lo squassò come un terremoto e la
traversata fu completa, come chiudersi un portone alle spalle.”
E' una nuova nascita.
Scariche
di elettricità emotiva, segni premonitori nell'aria, foschi presagi.
Sta per accadere qualcosa di terribile. Talmente terribile che “Forse
anche Buddha se ne sarebbe preoccupato”.
Sulle
sue tracce, due poliziotti e un vecchio cieco, ma, complici le brume
della Bassa, particolarmente dense dalle parti di Ferrara, il mistero
s'infittisce e la creatura senza volto li metterà a dura prova,
scavando nelle coscienze ed evocando le paure più segrete. “Gli
mostrò immagini delle sue debolezze,... le rese salde attorno a
particolari terrificanti”. E al centro,
simbolo e metafora, la spada, una katana
giapponese (2). Sul filo della lama scorrerà l'inizio e la fine di
ogni cosa; perchè ciò che è stato conquistato con la spada, sarà
perduto con la spada.
Ma
non vorrei tacere della notevole propensione dell'autore a descrivere
paesaggi e dipingere scenografie con rapide pennellate sulla tela
urbana: “...una serata avvolta di tenebre
accennate, vibranti di baluginii luminosi, dorati e arteriosi...
soltanto paludi della tonalità del piombo... Una strada, verso
l'oscurità. Sulla strada, Lui.” E
ancora: “Il generico rossore tramutava in
rosa quelle che sembravano stelle... un globale senso di peculiarità
fuori quadro.”
Scrittura
raffinata.
Insomma,
un bel leggere. Mi ha ricordato a tratti le atmosfere di Un
oscuro scrutare (3), ma anche Blade
runner (4).
E la paura della morte negli anni balordi di fine secolo di Rumore
Bianco - l'Evento
Tossico Aereo - (5).
Un'opera
meditata, smussata, levigata e centellinata riga per riga, pagina
dopo pagina dal suo bravo autore, dove niente è scontato. E
soprattutto, nulla è ciò che sembra.
Il
mio sogno più bagnato è che Marco si metta presto a scriverne la
sceneggiatura, perchè è dai tempi di Nirvana
(6) che non vedo un bel film di fantascienza made
in Italy.
(1)
Un'ucronia (dal greco u = non e cronos =
tempo) è la narrazione di eventi storici
alternativi rispetto a quelli realmente accaduti.
(2)
Una katana e un
wakizashi
formano un daisho.
Non sono piatti da sushi bar,
ormai l'ho imparato anch'io, ma il corredo del perfetto samurai.
(3)
A scanner darkly,
Philip Dick (1977).
(4)
Film di Ridley Scott
del 1982, liberamente tratto da Gli
androidi sognano pecore elettriche? di
Philip Dick.
(5)
Titolo originale White Noise,
romanzo del 1985 di Don De Lillo.
(6)
Nirvana, film
del 1997 di Gabriele Salvatores.