domenica 18 settembre 2016

Recensioni e commenti su Hotel Vasteland




«AL DI LÀ DELLA SUPERFICIE DI CRISTALLO C’ERA UN MONDO UGUALE A QUELLO CHE SI TROVAVA AL DI QUA. UN MONDO SORPRENDENTEMENTE IDENTICO, EPPURE SPAVENTOSAMENTE A ROVESCIO.»

Heinrich Dammerschlaft apre gli occhi in una stanza dell’Hotel Vasteland. È confuso, spaesato, spaventato. Non sa come ci è finito, nè per quale motivo. Non sa neanche a chi appartenga il volto che lo fissa dallo specchio, non conosce neppure il suo nome. Così, dopo un totale reset delle informazioni contenute nella sua memoria, deve ricostruire tutto, tassello dopo tassello, evitando di sembrare un folle, cosa che complicherebbe ulteriormente la sua agghiacciante situazione. Ma, come se non bastasse, il corpo senza vita di una splendida donna.

In un incalzante ritmo che conduce oltre una linea di assurda credibilità, un romanzo straordinario che ricorda le atmosfere di Lewis Carroll.



Abbiamo letto con molto interesse il suo bellissimo testo e riteniamo che si tratti di un’opera notevole nella sua brevità, dalla prosa quasi poetica, incalzante e rapida, senza bisogno di orpelli stilistici spesso fini a se stessi, profondo, ricco di temi ed originale.



Genere letterario: Narrativa Crossover

Pubblico di riferimento: Colto

Punti rilevanti: Lettura a più livelli, contenuti, aspetto formale

Impianto tecnico e ampio, struttura ortogonale, con scenari descritti, interiori e suggeriti; ritmo cadenzato, leggibilità buona, comprensione buona ma esigente.



Un romanzo di ottima fattura. E non mi pare poca cosa. Un ingarbugliato gomitolo dalla dimensione onirica e sognante, eppure una vicenda di semplice umanità, seppure dalle mille sfaccettature, fatta di avversità, destino e di amore, di speranza d’amore, come ponte tra mondi differenti. Il testo segue più binari, filtrando le vicende in una sequenza di movimenti disparati, traslando e incrociando trame e sfumature in un articolato itinerario. Siamo di fronte ad un lavoro per alcuni aspetti netto, sintetico e senza eccessi, ma allo stesso tempo introspettivo, rarefatto e meditato. Un’esperienza letteraria dall’eloquio pregno. L’autore evita baratri scoscesi e filosofici, seppur avventurandosi in un esercizio d’equilibrio appena sull’orlo, come pure picchi di lirismo. Il finale rappresenta una soluzione a molte cose, un ciclico tornare all’incontro con la donna/mito, dopo la sofferta accettazione del (non) cambiamento, e il recupero della felicità. Stilisticamente come pure semanticamente è articolato e un po’ impegnativo. Linguisticamente è valido. Buono.

Tra Schnitzler e Baricco.



E' un modo mirabile di concepire un racconto, il cervello è in funzione, sempre.



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